Putin convoca il vertice della CSTO per rafforzare il sistema di sicurezza tra la Russia e i suoi alleati regionali
La Bielorussia richiama all'ordine i membri non russi dell'alleanza

 
Una nota del Cremlino del 16 maggio dava conto dello svolgimento a Mosca della riunione dei capi di Stato dell'Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO) in coincidenza con il 30esimo anniversario della firma del Trattato e del 20esimo anniversario della costituzione del suo organo dirigente, il Consiglio di sicurezza collettiva (CSC), cui avevano partecipato i leader dei paesi membri, Russia, Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan. La CSTO è l'alleanza militare imperialista costituita il 15 maggio 1992 e formata nei primi anni di vita da nove paesi della dissolta Unione sovietica che per similitudine viene anche definita la Nato russa; il Consiglio è stato istituito il 14 maggio 2002 (si veda la scheda a parte).
L'attenzione principale del vertice è stata rivolta alle questioni della cooperazione fra i paesi membri, ai problemi internazionali e regionali di attualità e alle misure per migliorare ulteriormente il sistema di sicurezza collettiva, informava la nota del Cremlino che metteva al terzo posto quello che in realtà era il punto centrale del vertice convocato da Putin per rafforzare il sistema di sicurezza tra la Russia e i suoi alleati regionali. Da un punto di vista militare i cinque paesi non russi dell'alleanza contano numericamente e qualitativamente ben poco rispetto allo stato guida, l'imperialismo russo, ma al nuovo zar Putin serviva lo stesso una immagine dello schieramento dei suoi alleati vicini, non sempre perfettamente allineati con Mosca e nell'occasione richiamati all'ordine dalla fida Bielorussia, da contrapporre a quella dello schieramento degli imperialisti occidentali che uniti dietro gli Usa stanno bloccando le sue ambizioni espansioniste manifestate con la criminale invasione dell'Ucraina.
Al termine del vertice i leader dei sei paesi hanno firmato una dichiarazione sull'anniversario dell'organizzazione e una risoluzione per premiare i partecipanti alla cosiddetta "missione di pace" nella Repubblica del Kazakistan nel gennaio scorso. Quell'intervento militare era stato deciso da Putin per aiutare il dittatore kazako Tokayev a concentrare le sue truppe sulla ex capitale Almaty e in alcune zone del paese per soffocare la rivolta popolare innescata dall'aumento del prezzo del gas. Il nuovo zar del Cremlino non voleva avere altri problemi sui confini asiatici per potersi concentrare su quelli europei e decise di spegnere sul nascere le fiamme di una nuova pericolosa crisi ai confini del suo impero.
Proprio il senso dell'intervento militare in Kazakistan del gennaio 2022 camuffato da operazione di mantenimento della pace era ribaltato di significato e citato come un esempio della volontà dei paesi membri di sostenere che "non c'è alternativa ai mezzi politici e diplomatici per la soluzione dei problemi internazionali, compresi quelli attuali che sarebbero generati da una tendenza a usare la forza nelle situazioni di crisi o la minaccia di usare la forza per risolvere i conflitti in violazione della Carta delle Nazioni Unite ". Dalle parole ai fatti: la brutale represione della rivolta popolare in Kazakistan e la guerra scatenata da Putin in Ucraina sono i due esempi che smascherano la pagliacciata imperialista messa in scena nel teatrino del Cremlino il 16 maggio e illustrata nella dichiarazione finale.
Dove i partner della Russia in sintonia con la propaganda del Cremlino appoggiavano "ogni tentativo di glorificare il nazismo e diffondere il neonazismo " e appoggiavano quella presunta missione di sradicamento del nazismo in Ucraina che il nuovo zar Putin ha assunto senza che nessuno glielo abbia chiesto per tentare di dare un volto nobile a una criminale aggressione e invasione di un paese sovrano.
Un appoggio senza indugi che era chiesto dal primo intervento in programma nella sessione a porte aperte tenuta sotto la presidenza di turno del primo ministro della Repubblica di Armenia, Nikol Pashinyan, quello del presidente della repubblica di Bielorussia, Alexander Lukashenko. Il dittatore bielorusso sparava a alzo zero sulla Nato riprendendo uno per uno tutti i capitoli della propaganda di Mosca contro la Nato e gli Usa, arricchiti dall'esperienza del suo paese finito sotto i tentativi di ingerenza occidentali dopo le contestatre elezioni presidenziali del 2020, definiti "una guerra ibrida su larga scala scatenata contro di noi, in primo luogo contro la Russia e la Bielorussia" . Altre non precisate "azioni ostili " sarebbero venute negli utlimi due anni dall'Ucraina a causa di nazionalismo, nazismo e russofobia che soffiano a Kiev. In Kazakistan siano stati bravi a reagire compatti, sosteneva Lukashenko, mentre questa unità non si è realizzata nei "recenti eventi ", dal voto nelle organizzazioni internazionali all'adesione a parte delle sanzioni decise da Usa e Ue. La Bielorussia richiamava all'ordine i membri non russi dell'alleanza e li incitava a respingere compatti "la pressione dell'occidente nello spazio post-sovietico " e a non lasciare sola la Russia "nel manifestare la sua preoccupazione e nel combattere il tentativo di allargamento della Nato ".
Una strigliata ai partner non russi della CSTO veniva anche dal primo ministro armeno Pashinyan che ricordava il loro mancato contributo nei 44 giorni della guerra del 2020 nel Nagorno-Karabakh avviata dall'Azerbaigian con l'appoggio del padrino turco Erdogan e risolta dall'intervento di Putin. Il presidente del Kazakistan Kassym-Jomart Tokayev ringraziava per il fodamentale aiuto di gennaio e puntava l'attenzione sulla sicurezza dei confini meridionali dell'Asia Centrale, quello del piccolo Kirghizistan, Sadyr Japarov, chiedeva aiuto per gli effetti delle sanzioni che starebbero già creando problemi energetici e alimentari alla popolazione; si limitava a uno stringatissimo faremo la nostra parte il presidente della repubblica del Tagikistan Emomali Rahmon.
Il presidente russo Putin riprendeva il filo centrale del vertice ma teneva fuori dalla sessione a porte aperte qualsiasi commento sulla "operazione militare speciale " della Russia in Ucraina; ribadiva la necessità di "continuare ad agire come partner nei diversi settori dello sviluppo militare e della difesa e di rafforzare le nostre azioni coordinate nell'arena mondiale ", su tutti i fronti e non solo quelli asiatici. Così come l'importanza di costruire una cooperazione con i "nostri partner naturali " nell'Organizzazione della Cooperazione di Shanghai (SCO), che comprende anche Cina, India e Pachistan, e nella Comunità degli Stati Indipendenti (CSI) alla quale proponeva di concedere lo status di osservatore.
A difesa dell'Ucraina aggredita la Nato si è ricompattata dietro la leadership degli Usa, l'aggressore Putin vuole una risposta identica dai suoi alleati regionali, dallo schieramento che lo dovrebbe sostenere senza indugi e che comprenderebbe anche la Moldavia, a un tiro di cannone delle armate russe entrate nel sud dell'Ucraina, quale membro della CSI, l'organizzazione fondata nel dicembre 1991 una volta crollata l'URSS socialimperialista e della quale sono rimasti a far parte anche i sei paesi CSTO e l'Azerbaigian. Non senza difficoltà, visto che persino alla votazione in sede Onu sulla mozione di condanna dell'aggressione russa all'Ucraina, Armenia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan si sono astenuti mentre solo Russia e Bielorussia hanno votato contro.

25 maggio 2022