Biden lancia a Tokio l'Indo-Pacifico per contenere la Cina
Il capofila dell'imperialismo americano tenta di abbattere l'influenza e la penetrazione del socialimperialismo cinese nella regione

 
L'imperialismo americano, col viaggio di Biden in Corea del Sud e Giappone dal 20 al 24 maggio, ha messo in evidenza che anche nel pieno della guerra in Ucraina la sua priorità strategica resta il contenimento dell’ascesa del socialimperialismo cinese nell'Indo-Pacifico, accelerata dal nuovo imperatore Xi Jinping per spingersi alla conquista dell'egemonia mondiale lungo la nuova Via della Seta.
In più di una occasione durante gli oramai tre mesi della guerra di aggressione dell'armata del nuovo zar Putin all'Ucraina, Washington che è impegnata nel determinante sostegno militare a Kiev ha lanciato messaggio chiari per tenere lontano dal conflitto Pechino, l'alleato strategico di Mosca. E per ammonirlo a non ripetere l'esperienza con un invasione dell'isola di Taiwan che secondo una recente dichiarazione della vicedirettrice della CIA, in audizione alla Commissione Forze armate del Senato statunitense, Avril Haines, starebbe preparando entro il 2030. Gli Usa sono pronti a rispondere militarmente con un aiuto militare al governo di Taiwan in caso di attacco cinese, confermava il presidente americano Joe Biden in visita a Tokyo il 23 maggio, ricevendo come risposta da Pechino che se gli Usa giocano con il fuoco usando una questione interna come Taiwan per contenere la Cina "ne resteranno bruciati".
La guerra diretta tra le superpotenze imperialiste è oramai argomento di comune dibattito, una opzione come un'altra che avvicina un pericolossissimo conflitto mondiale nelle nuove condizioni dei rapporti internazionali determinate dalla criminale invasione dell'Ucraina da parte di Putin.
Per l'imperialismo americano il tentativo di abbattere l'influenza e la penetrazione del socialimperialismo cinese nella regione viaggia intanto sul consolidamento delle alleanze politiche e militari, dal Quad con Giappone, India e Australia alla Nato asiatica, l'Aukus, con Australia e Gran Bretagna e con la creazione di nuove alleanze economiche che non ricalchino lo schema ritenuto oramai superato dalla Casa Bianca dei consueti accordi di libero scambio multilaterali e centrati sullo sviluppo degli affari facilitato dalla riduzione dei dazi ma che seguano l'obiettivo di costruire un blocco commerciale e economico fra paesi che sono alleati a tutti i livelli. A questo obiettivo risponde il nuovo accordo economico regionale, l’Indo-Pacific Economic Framework (IPEF), indicato come "la nuova piattaforma economica che sarà introdotta per ostacolare l'espansionismo della Cina" da Biden a Tokyo. E che non riguarda solo l'area Asia-Pacifico ma la regione Indo-Pacifico per tirare dentro l'altro gigante imperialista, l'India di Modi.
Il primo viaggio asiatico di Biden da quando è presidente era stato preceduto dal summit a Washington del 13 e 14 maggio con i rappresentanti dei Paesi dell’ASEAN, l'Associazione degli Stati del sud-est Asiatico sorta nel 1967 e costituita da Brunei, Cambogia, Filippine, Indonesia, Laos, Malaysia, Myanmar, Singapore, Thailandia, Vietnam, da dove non era uscita una dichiarazione comune su una contrapposizione alla Cina e neanche sulla guerra in Ucraina come avrebbe voluto la Casa Bianca. Che ha deciso di puntare su altre alleanze.
"Oggi a Tokyo, in Giappone, il presidente Biden ha lanciato l'Indo-Pacific Economic Framework for Prosperity (IPEF) con una dozzina di partner iniziali: Australia, Brunei, India, Indonesia, Giappone, Repubblica di Corea, Malesia, Nuova Zelanda, Filippine, Singapore, Thailandia e Vietnam. Insieme rappresentiamo il 40% del PIL mondiale", annunciava con enfasi il comunicato della Casa Bianca del 23 maggio per dare la notiza sul primo passo "dell'accordo economico del XXI secolo", che al momento tiene fuori Taiwan, necessario non solo per aumentare la presenza di Washington nell'area ma anche per blindare la collaborazione tra i fidati alleati dell'imperialismo americano sulle questioni ritenute strategiche contro il socialimperialismo cinese. Il 26 maggio anche Fiji aderiva come quattordicesimo membro fondatore.
Nell'incontro a Tokyo con il premier nipponico Fumio Kishida, Biden ha ribadito che l'imperialismo americano è pronto a aiutare militarmente Taiwan ed è determinato a difendere il Giappone, il suo alleato strategico per difendere la stabilità della regione messa in crisi dall'espansionismo del socialimperialismo cinese. E vorrebbe premiarlo anche con la concessione di un seggio di membro permanente del Consiglio di sicurezza "riformato" delle Nazioni Unite. Intanto l'alleanza Usa-Giappone è "la pietra angolare" anche del patto a quattro del Quad che nella riunione del 24 maggio tra Biden, Kishida, il presidente indiano Narendra Modi e il neo premier australiano, il laburista Anthony Albanese, decideva di investire 50 miliardi di dollari in cinque anni in infrastrutture nell'Indo Pacifico. Investimenti in particolare nelle reti 5G per contrastare i paralleli investimenti e la penetrazione cinese negli Stati insulari del Pacifico che ha ribaltato a favore di Pechino una situazione che vedeva fino a tre anni fa la maggior parte di questi paesi avere rapporti diplomatici con Taiwan; lo scorso mese la Cina ha portato a casa anche il primo accordo di carattere militare con le Isole Salomone.
L'Indo-Pacific Economic Framework rilancia a un livello superiore la strategia economica americana di contenimento dell'espansione della Cina nell’Indo-Pacifico messa in piedi dall'amministrazione Obama fin dal 2011 ma azzoppata nel 2017 dal ritiro di Trump dall’accordo di libero scambio Trans-Pacific Partnership (TTP) che vedeva i paesi asiatici assieme a Messico, Canada, Perù, Australia e Nuova Zelanda. Il patto restava col nome di Comprehensive and Progressive Trans-Pacific Partnership (CPTPP) a cui la Cina presentava domanda di adesione nel settembre 2021, in risposta alla creazione dell'alleanza militare regionale tra Stati Uniti, Australia e Regno Unito (AUKUS).
Ma Pechino non attendeva l'esito della domanda e rilanciava con la creazione del Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP), entrato in vigore a inizio 2022, che unendo la Cina, i 10 paesi membri dell’ASEAN, Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda, ossia circa un terzo del Pil mondiale è il più grande accordo commerciale al mondo. E soprattutto vede per la prima volta in alleanze economiche regionali la presenza contemporanea di Giappone, Corea del Sud e Cina. Mancava l'India di Modi che ritiene più opportuno giocare su più tavoli, dal mantenimento dei rapporti con la Russia all'ingresso nell'IPEF, per i propri interessi imperialisti.
Alla mossa di Biden sul lancio dell'IPEF rispondeva prontamente la Cina con il viaggio dal 25 maggio al 4 giugno tra le isole Figi, Kiribati, Papua Nuova Guinea, Samoa, Timor Est, Tonga e Vanuatu del ministro degli Esteri Wang Yi per presentare una proposta per la stipula di un accordo quinquennale che permetterebbe al governo cinese di fornire addestramento alle polizie locali e prevedrebbe una cooperazione in vari campi, dal supporto informatico allo sviluppo di infrastrutture. Le indiscrezioni su un progetto non ancora reso noto ufficialmente sono bastate a far suonare più di un campanello di allarme negli Usa e in Australia, i due paesi imperialisti che finora sono stati gli unici garanti della protezione militare degli stati insulari del Pacifico. Un ruolo messo in discussione da Pechino già con l'accordo con le Isole Salomone che consente l'invio di uomini e mezzi nell'arcipelago a protezione dei propri interessi economici, un primo passo che potrebbe aprire la strada alla costruzione di una vera e propria base militare nella regione, la seconda fuori dalla Cina.

1 giugno 2022