Varato dal Cdm del 30 giugno
Il nuovo decreto bollette è solo un pannicello caldo
Secondo l'Autorità per l'energia le bollette di luce e gas sono già arrivate a costare oltre 2.700 euro a famiglia
Intanto Draghi tresca con Grillo per sostenere il suo governo e far fuori Conte

“Sono stati approvati provvedimenti urgenti per sostenere il potere di acquisto delle famiglie, abbattiamo l’Iva e rafforziamo il bonus sociale, interveniamo per incrementare lo stoccaggio di gas naturale e gli aiuti alle famiglie sulle bollette. In mancanza di queste approvazioni ci sarebbe stato nei prossimi giorni un disastro, con aumenti fino al 45%. È questo il motivo per cui sono tornato prima da Madrid”. Così Mario Draghi ha annunciato, in conferenza stampa, il decreto appena approvato dal Consiglio dei ministri del 30 giugno per calmierare le bollette energetiche del terzo trimestre 2022. Il provvedimento è stato subito firmato dal capo dello Stato e inserito sotto forma di emendamento al dl Aiuti varato il 2 maggio e in corso di conversione in parlamento.
 

Iva e oneri di sistema
Il decreto stanzia 3,04 miliardi per far fronte al caro energia (ma erano 3,27 nella prima bozza) e replica in buona parte le misure già adottate nei mesi scorsi. Il primo articolo azzera gli oneri di sistema applicati a famiglie e attività non domestiche con potenza disponibile fino a 16,5 kW, e anche a quelle superiori a tale potenza generalmente riconducibili a negozi, piccole e medie utenze artigianali, commerciali e professionali, capannoni e magazzini. Nel complesso questo tipo di intervento vale 1,9 miliardi. Il secondo articolo conferma anche nel terzo trimestre la riduzione dell’Iva al 5% per le bollette del gas e avrà un costo di 480 milioni. Per quanto riguarda le bollette del metano il decreto stabilisce che l'Autorità per l'energia (Arera) mantenga inalterate le aliquote relative agli oneri di sistema per il settore del gas naturale: ciò per una spesa di 292 milioni a cui si aggiungono altri 240 milioni per gli scaglioni di consumo fino a 5.000 metri cubi all’anno. Per le imprese ad alto consumo energetico c'è un credito d'imposta del 20% per l'energia consumata nel secondo trimestre, e del 15% per il consumo di gas naturale.
 

Bonus per famiglie disagiate
Il provvedimento rinnova per il terzo trimestre anche il bonus per le bollette di luce e gas destinato alle famiglie disagiate, in misura tale da non aumentare la spesa rispetto al trimestre precedente. Il bonus per l’energia è riconosciuto ai clienti domestici economicamente svantaggiati e ai clienti domestici in gravi condizioni di salute con un reddito Isee non superiore a 12 mila euro, esteso retroattivamente al primo trimestre con una riduzione del massimale Isee a 8 mila euro.
 

Extragettito e stoccaggio gas
Per quanto riguarda la tassa sugli extraprofitti delle compagnie energetiche, che dovrebbe finanziare in parte le misure per attenuare il caro energia, il governo la riconferma ma con due importanti modifiche a loro vantaggio: il posticipo e il restringimento del periodo di applicazione della tassa, che nella precedente versione andava dal 1° luglio al 31 marzo 2023, e adesso va dal 1° ottobre al 31 dicembre 2022; e l'esclusione dalla tassa della quantità di gas stoccato.
Per accelerare lo stoccaggio di gas il provvedimento finanzia con 4 miliardi di euro, attraverso un fondo istituito presso la Cassa depositi e prestiti, il Gestore dei servizi energetici affinché concorra all’obiettivo di sicurezza nazionale del riempimento dei serbatoi al 90% entro l’autunno.
 

Caro bollette e inflazione
Draghi si è vantato di aver fatto con quest'ultimo intervento “provvedimenti che hanno stanziato per le famiglie 14 miliardi, e continueremo a stanziarne; per le bollette abbiamo stanziato 30 miliardi dall’inizio dell’anno e con i provvedimenti di luglio questo importo salirà ancora”. Sarà anche vero, ma ciò non toglie che, almeno per quanto riguarda le famiglie di lavoratori e pensionati, le misure del governo siano state poco più di un pannicello caldo, rispetto all'aumento vertiginoso delle bollette di elettricità e gas; e dell'inflazione che ha ricominciato a galoppare con una furia che non si vedeva da 36 anni ad oggi.
La stessa Arera, nel sottolineare che con questo intervento nel terzo trimestre di quest'anno ci sarà solo un aumento dello 0,4% delle bollette elettriche e nessun aumento per il gas, stima che per una “famiglia-tipo” la spesa per la bolletta elettrica, nel periodo 1° ottobre 2021-30 settembre 2022, salirà a circa 1.071 euro (+91% rispetto ai dodici mesi precedenti), e a ben 1.696 euro (+70,7%) per quella del gas. Ma quel che è peggio è che i rincari energetici si ripercuotono su tutti gli altri prezzi, spinti a loro volta anche da altri fattori come la guerra, la siccità e la speculazione finanziaria sui mercati internazionali, contribuendo alla fiammata inflazionistica che in Italia ha raggiunto, secondo l'Istat, l'8,3% a giugno, falcidiando ulteriormente salari, stipendi e pensioni.
Già con il tasso di inflazione del 6,7% registrato a marzo l'Unione consumatori stimava una perdita secca di potere d'acquisto, per una famiglia media, di 1.700 euro all'anno, e per una famiglia con due figli di ben 2.600 euro all'anno. A fronte di tutto ciò il bonus di 200 euro concesso a luglio ai lavoratori dipendenti, autonomi e pensionati fino a 35 mila euro di reddito, è appena una mancetta. Senza contare che ne sono stati esclusi ingiustamente, dato che i 200 euro sono elargiti come sgravio fiscale sul reddito, tantissimi lavoratori senza o a basso reddito, come quelli della sanità messi a riposo forzato senza stipendio perché non vaccinati, i disoccupati senza indennità di disoccupazione al giugno 2022, i lavoratori del settore sport, gli occasionali e tutti i lavoratori precari con redditi inferiori a 5 mila euro.
 

Draghi, Conte e la crisi di governo latente
Più che dal nuovo decreto bollette la conferenza stampa di Draghi è stata monopolizzata dal nuovo scontro con Conte e dalle possibili ripercussioni sulla tenuta del governo, in seguito alla bomba politica scoppiata mentre il banchiere massone era al vertice Nato di Madrid, e che lo ha costretto a tornare in Italia con un giorno d'anticipo. Il 29 giugno, mentre Grillo era ancora a Roma ad incontrare Conte e i suoi parlamentari, il sociologo vicino al M5S, Domenico De Masi, aveva rivelato nella trasmissione “Un giorno da pecora” una confidenza fatta dal comico ad alcuni parlamentari del Movimento, secondo la quale Draghi gli aveva chiesto di scaricare Conte. La stessa notizia veniva ripresa il giorno dopo da “La Stampa” come proveniente da una “fonte qualificata” del Movimento. E quello stesso giorno “Il Fatto Quotidiano” intervistava il prof. De Masi, che non solo confermava la confidenza di Grillo, in quanto fatta direttamente anche a lui, ma aggiungeva alcuni particolari che rendevano ancor più clamorosa la notizia.
“Grillo mi ha detto che ha rapporti frequenti con Draghi – rivelava infatti il sociologo - , cosa che ha raccontato anche ai deputati delle commissioni, mi risulta. Mi ha spiegato che il premier gli manda messaggi sulle cose da fare, sui provvedimenti da approvare, insomma sul rapporto da tenere con il governo”. Alla domanda se Grillo acconsente a questo rapporto De Masi rispondeva: “Gli ho posto il tema e lui mi ha risposto: 'Finora Draghi mi ha dato tutto quello che gli ho chiesto sul piano politico da quando siamo al governo'. E ha aggiunto: 'Io e il premier ci capiamo, siamo tutti e due nonni'”. E alla domanda se tra le richieste di Draghi c'era anche quella di liberarsi di Conte, il sociologo rispondeva: “Si. Secondo Grillo Draghi gli ha chiesto di rimuoverlo dal M5S, perché inadeguato”. Grillo non vuole uscire dal governo per il motivo che “non si esce dalla maggioranza per un inceneritore” (quello voluto a Roma da Gualtieri, previsto nel decreto Aiuti e avversato dal M5S, ndr), ma in realtà, secondo il giudizio di De Masi, perché “il suo no allo strappo dipende dal suo rapporto con Draghi”.
 

“È stato Draghi a suggerire la scissione di Di Maio”?
Lo stesso Conte confermava le rivelazioni di De Masi, che del resto Grillo avrebbe fatto anche a lui, oltre che al presidente della Camera Fico e a diversi parlamentari pentastellati, e dicendosi “sconcertato dalle parole di Draghi contro di me”, dichiarava: “Ciò che è successo è molto grave, c'è in ballo il funzionamento della democrazia”. Dopodiché saliva al Quirinale per andare a sfogarsi con Mattarella, il quale però, facendogli presente la gravità della situazione nazionale e internazionale, riusciva a rintuzzare, almeno per il momento, le sue minacce di uscire dalla maggioranza e fornire solo un “appoggio esterno” al governo.
Secondo altre indiscrezioni filtrate dal Movimento, Draghi avrebbe addirittura chiesto a Grillo di aderire alla scissione di Di Maio, così da portar fuori dal M5S la maggior parte dei parlamentari e isolare l'avvocato. Lo avrebbe raccontato Grillo ad alcuni Cinquestelle “di peso”. Nonostante la smentita (molto tardiva) del premier, Conte ci crede e anzi è convinto che dietro la scissione dimaiana ci sia la sua mano: “Una scissione così non si coltiva in poche ore, c’era un’agenda personale che viene da fuori. È stato Draghi a suggerirlo? Ne parlerò con lui lunedì”, ha dichiarato infatti il capo del M5S riferendosi all'incontro “di chiarificazione” col premier fissato per il 4 luglio, poi spostato al 6 a causa della sciagura sulla Marmolada che richiedeva la presenza del premier sul posto.
Che Draghi non sopporti Conte è risaputo, e che abbia sempre snobbato le sue richieste e le istanze di bandiera del M5S, altrettanto. L'ultimo caso è l'aver accolto un emendamento del “centro destra” al decreto Aiuti che peggiora ulteriormente il Reddito di cittadinanza: si potrà perdere anche per il rifiuto di 2 offerte “congrue” (qualunque cosa significhi) provenienti da privati, e non solo dai centri per l'impiego. Per cui non si fa fatica a credere che Draghi abbia chiesto a Grillo di sbarazzarsi di Conte, e anche che ci sia lui dietro l'operazione di Di Maio.
Nella conferenza stampa Draghi ha continuato a negare il suo intervento su Grillo per far fuori Conte (“non ho mai fatto queste dichiarazioni. Mi dicono che ci sono riscontri oggettivi: vediamoli, io non li trovo, li aspetto)”; ha detto di essere “ottimista” sul fatto che Conte e il M5S non usciranno dalla maggioranza, e ha ribadito più volte che senza il M5S il governo finisce qui: “Il governo non sarebbe nato senza i 5 Stelle e allo stesso modo non andrà avanti senza di loro. Il governo non si accontenta di un appoggio esterno, perché valuta troppo il contributo del M5S”, ha detto il premier con un elogio apparente del ruolo del Movimento, che in realtà suona come un ricatto a Conte: se tu rompi ti assumi anche la responsabilità di portare il Paese alle elezioni anticipate in piena emergenza.
 

La costruzione silenziosa del “partito di Draghi”
Conte deve decidere se cedere ancora una volta a questo ricatto per non sporcare la sua “immagine istituzionale”, o ascoltare le sempre più numerose voci nel Movimento che gli chiedono di rompere e passare all'opposizione, per cercare di frenare l'emorragia di voti confermata anche alle ultime comunali. Nell'incontro con Draghi cercherà di mettere dei paletti su alcuni temi di bandiera, come sull'inceneritore di Roma, sul Reddito di cittadinanza, sul prossimo quarto decreto per l'invio delle armi all'Ucraina, che si dice conterrà armamenti più offensivi e pesanti, e così via. Tutte richieste però su cui il premier è poco o punto disposto a cedere. D'altra parte Conte sa che se strappa con Draghi si gioca l'alleanza col PD, che lo ha già duramente avvertito con Letta e Franceschini, e che perderà istantaneamente altre decine di parlamentari che passeranno a Di Maio. Per cui i suoi margini di manovra sono strettissimi, se non quasi nulli.
Vedremo se l'ex premier avrà il coraggio di andare fino in fondo col suo rivale. In ogni caso questa vicenda ha chiarito meglio sia il senso dell'operazione scissionista di Di Maio, fatta sotto l'egida del premier, sia delle tresche di Draghi con Grillo, che mirano entrambe all'emarginazione di Conte e di ciò che resta del M5S, facendo fallire anche il progetto di alleanza col PD. Tutto ciò nel quadro della costruzione silenziosa di quel “partito di Draghi” - che potrebbe riunire i dimaiani con tutti i gruppi centristi di Renzi, Calenda, Toti, e Tabacci con i sindaci Sala, Gori e Brugnaro, l'ala draghiana di Forza Italia (Brunetta, Gelmini e Carfagna) e quella governista della Lega (Giorgetti, Zaia, Fedriga) - per assicurare, insieme al PD di Letta, una continuità a questo governo e al banchiere massone anche dopo le prossime elezioni politiche, qualunque ne sia il risultato. E garantire così la “governabilità” del regime capitalista neofascista.

6 luglio 2022