Saggio di Giovanni Scuderi per il Seminario Internazionale sul pensiero di Mao
Mao è un grande Maestro del proletariato internazionale delle nazioni e dei popoli oppressi

 
Il fondamentale e prezioso saggio che qui di seguito pubblichiamo è stato scritto il 22 giugno 1993 dal Segretario generale del PMLI, compagno Giovanni Scuderi, per il Seminario internazionale sul pensiero di Mao tenutosi a Gelsenkirchen in Germania nei giorni 6-7 novembre e fu pubblicato in un volume, edito dai promotori del Seminario, che raccoglieva una selezione di scritti su Mao di dirigenti di Partiti marxisti-leninisti, di accademici e intellettuali di vari paesi.
Si tratta di un’esposizione stimolante che porta a sintesi un argomento vasto qual è quello del contributo originale e particolare teorico e pratico, ideologico e politico, apportato da Mao al tesoro comune del marxismo-leninismo.
Forte di una sicura, approfondita e esauriente conoscenza dell’attività, dell’opera e del pensiero di Mao, il compagno Giovanni Scuderi appassiona il lettore accompagnandolo nell’affascinante viaggio della magistrale applicazione del marxismo-leninismo operata da Mao alla peculiare situazione e alla complessa e impegnativa rivoluzione cinese; e al tempo stesso spiega quali sono le caratteristiche che rendono il pensiero di Mao uno sviluppo ulteriore e creativo del marxismo-leninismo.
Il saggio del compagno Giovanni Scuderi è la dimostrazione scientifica che solo impugnando gli insegnamenti di Mao sulla continuazione della rivoluzione sotto la dittatura del proletariato, sulla Rivoluzione culturale e sulla lotta contro il revisionismo moderno comunque mascherato è possibile mantenere intatta e incrollabile la nostra fiducia nel socialismo, farlo tornare di moda nel proletariato e tra i popoli oppressi dal capitalismo e dall’imperialismo e riportarlo alla vittoria in Italia e in tutto il mondo.
 
 
L’iniziativa internazionalista proletaria del Centro Studi Sociali di fornire una tribuna ai rappresentanti dei Partiti, delle Organizzazioni e dei Gruppi marxisti-leninisti dei vari paesi in occasione del centenario della nascita di Mao Zedong è molto importante. È un modo proficuo e militante per rendere un omaggio collettivo a un grande maestro della rivoluzione e nel contempo riflettere sui suoi insegnamenti universali da applicare nella realtà dei rispettivi paesi.
Scambiare opinioni è un metodo marxista-leninista. Non per un bisogno puramente di conoscenza, intellettuale e culturale, ma per imparare gli uni dagli altri, verificare la giustezza delle proprie idee ed eventualmente correggerle se risultano errate.
Se noi siamo stati invitati a parlare di Mao, dopo 17 anni dalla sua morte, è segno evidente che il suo pensiero e la sua opera meritano ancora oggi la massima considerazione da parte di tutti coloro che nel mondo operano instancabilmente per il trionfo della causa del socialismo. Bisogna però intenderci bene sulla valutazione generale da dare al pensiero e all’opera di Mao. È questa una questione fondamentale che determina la qualità del Partito del proletariato e della sua linea, nonché il successo o meno della sua azione politica.
Se non si ha infatti una visione corretta, materialistica, del pensiero e dell’opera di Mao è facile cadere nel revisionismo di destra o di “sinistra”, arrecando così gravi danni al proletariato del proprio paese e degli altri paesi.
Per noi marxisti-leninisti italiani Mao è un grande maestro del proletariato internazionale, delle nazioni e dei popoli oppressi.
 

1. Il pensiero di Mao rappresenta lo sviluppo del marxismo-leninismo
Il pensiero di Mao ha arricchito e sviluppato il marxismo-leninismo nei campi teorico, filosofico, economico, politico e militare, dando le giuste risposte ai principali problemi della lotta di classe contemporanea. Esso è valido e attuale non solo nei paesi del Terzo mondo ma anche in quelli capitalistici e imperialistici.
Il pensiero di Mao, in particolare, è essenziale e insostituibile per la rivoluzione socialista e per la costruzione del socialismo, campi in cui, con la teoria della continuazione della rivoluzione sotto la dittatura del proletariato e con l’esperienza pratica della Grande rivoluzione culturale proletaria, fornisce alla classe operaia inediti e fondamentali strumenti per difendere e costruire il socialismo contro i tentativi dei revisionisti e dei controrivoluzionari di restaurare il capitalismo.
Il pensiero di Mao non è un concentrato eclettico delle idee di più persone, ma il frutto di una elaborazione personale di Mao fatta sulla base del marxismo-leninismo e dell’esperienza della rivoluzione cinese e di quella mondiale. Esso si è formato nel crogiolo della Grande rivoluzione cinese, ma questo fatto storico non ne limita affatto la sua validità universale, anzi gli dà il crisma della verità e della giustezza. Infatti niente può essere ritenuto valido ed efficace se non è comprovato dalla realtà, dalla pratica sociale. Del resto l’autorità del pensiero di Lenin non discende proprio dalla vittoria della Grande rivoluzione d’Ottobre?
Naturalmente nel pensiero di Mao va distinta la parte che è legata strettamente alle situazioni contingenti della Cina, dalla parte che ha un carattere universale a livello di principio, metodo, analisi e indicazioni generali e orientative. Di questa seconda parte vanno afferrati l’essenza, lo spirito e il nocciolo rivoluzionario per applicarli dialetticamente e correttamente alla propria realtà nazionale.
Lo stesso principale artefice della rivoluzione cinese, conversando con i rappresentanti di alcuni Partiti comunisti latino-americani in visita in Cina il 25 settembre 1956, ha sottolineato che “l’esperienza della rivoluzione cinese: creare basi d’appoggio nelle campagne, accerchiare le città partendo dalle campagne e infine conquistare le città, in molti dei vostri paesi probabilmente non è applicabile, ma può servirvi come elemento di riferimento. Mi permetto di esortare tutti i presenti a guardarsi dal trasportare meccanicamente l’esperienza cinese. Qualunque esperienza straniera può servire solo come elemento di riferimento, non deve essere presa come un dogma. Bisogna assolutamente integrare due fattori, la verità universale del marxismo-leninismo, la situazione specifica del vostro paese”.
Non è facile applicare correttamente il marxismo-leninismo-pensiero di Mao alla realtà del proprio paese, ma questa è la condizione fondamentale per assolvere con successo tutti i nostri compiti rivoluzionari sui piani organizzativo, politico, sindacale e della lotta armata.
Mao ha imparato tanto bene gli insegnamenti appresi da Marx, Engels, Lenin e Stalin che, attraverso una straordinaria, lunga e complessa esperienza rivoluzionaria senza precedenti nella storia, con estrema naturalezza e senza alcuna ambizione in merito, ha raggiunto l’altezza dei suoi maestri facendo compiere al marxismo-leninismo un grande sviluppo, rendendolo pienamente corrispondente alle necessità della lotta rivoluzionaria contemporanea. Cosicché oggi non ci può essere marxismo-leninismo autentico se non si include in esso il pensiero di Mao, e se non si ritiene che questo pensiero costituisca un proseguimento e uno sviluppo della teoria rivoluzionaria del proletariato.
Il trattino che mettiamo tra marxismo-leninismo-pensiero di Mao rappresenta l’espressione politica e grafica della continuità e dello sviluppo che esiste tra il marxismo-leninismo e il pensiero di Mao.
Il marxismo-leninismo e il pensiero di Mao non sono due cose a sé, distinte e separate, ma due componenti formanti una sola unità dialettica. Come sarebbe sbagliato staccare il pensiero di Mao dal marxismo-leninismo e considerarlo a sé, un’esperienza rivoluzionaria particolare da tenere facoltativamente presente, altrettanto sbagliato sarebbe restringere il marxismo-leninismo al solo pensiero di Marx e Lenin. In tal caso vorrebbe dire da una parte privarsi della più recente e autorevole interpretazione del marxismo-leninismo data da Mao, e dall’altra permettere che il marxismo-leninismo gradualmente inaridisca e muoia. Infatti senza il pensiero di Mao, esso non sarebbe più all’altezza della situazione odierna, incapace di rispondere in pieno alle nuove esigenze rivoluzionarie. Sarebbe carente in particolare sulle questioni che riguardano la costruzione del socialismo e del Partito, l’economia socialista, il materialismo dialettico e il materialismo storico, l’analisi dell’attuale situazione internazionale, la strategia e la tattica della lotta contro l’imperialismo e il colonialismo, e la lotta contro il revisionismo moderno e il neorevisionismo.
In genere tutte le centrali revisioniste e neorevisioniste hanno lo stesso interesse a stendere un velo sul pensiero di Mao, perché sanno bene che se esso penetra nelle masse su larga scala riemerge inevitabilmente il marxismo-leninismo con tutta la sua luce e forza d’attrazione, e allora le loro fasulle teorizzazioni perderebbero lo smalto e apparirebbero per quello che effettivamente sono, delle mistificazioni ideologiche e politiche escogitate al solo scopo di impedire alla classe operaia di abbattere il capitalismo e di prendere il potere politico.
Considerare il pensiero di Mao come un elemento costitutivo e inseparabile del marxismo-leninismo e uno sviluppo di questo è perciò una questione di fondamentale importanza da cui dipende la vittoria della rivoluzione proletaria mondiale, il trionfo del marxismo sul revisionismo, la corretta costruzione dei Partiti marxisti-leninisti e l’unità e la cooperazione tra questi Partiti. Alla luce dei fatti, possiamo ben dire che chi non fa questa scelta difficilmente potrà tenere a lungo testa al revisionismo, e prima o poi cadrà inevitabilmente nella reazione.
Il pensiero di Mao, naturalmente, non è l’ultima parola del marxismo. Questo si sviluppa continuamente nella lotta e si arricchisce incessantemente del contributo dei vari Partiti autenticamente marxisti-leninisti. A un certo punto della storia, avvicinandosi l’epoca del comunismo, è probabile che il popolo in quel momento più avanzato ed emancipato darà vita a un altro grande maestro del proletariato, che porterà ancora più avanti il marxismo. Ma finché la teoria rivoluzionaria del proletariato non raggiungerà una nuova sintesi superiore e più avanzata, il pensiero di Mao rappresenta la vetta più alta del marxismo-leninismo.
Siamo ancora nell’epoca dell’imperialismo e della rivoluzione proletaria, e finché non passa quest’epoca il marxismo-leninismo-pensiero di Mao sarà sempre attuale e valido ovunque.

 

2. Il contributo di Mao alla concezione proletaria del mondo
Mao ha dato un contributo storico al processo di emancipazione ideologica del proletariato iniziato da Marx ed Engels e proseguito da Lenin e Stalin e alla lotta contro la concezione borghese del mondo sul piano filosofico, teorico e culturale. Egli è stato il più grande teorico proletario rivoluzionario dei nostri tempi.
Grazie al suo apporto straordinario e incalcolabile, la concezione proletaria del mondo è divenuta più chiara e più facilmente accessibile alle masse, ha subìto un grosso sviluppo sulla base delle nuove esperienze del proletariato internazionale e cinese, con particolare riferimento alla lotta contro il revisionismo moderno, e si è arricchita di nuove cognizioni ed elementi che le consentiranno di affrontare con successo le grandi lotte di classe del Duemila.
Il primo grande, evidente e innegabile merito di Mao a livello internazionale è quello di aver rilanciato la concezione proletaria del mondo appannata e progressivamente stravolta e rinnegata da parte dei revisionisti moderni.
Mao ha ereditato, difeso e sviluppato la concezione proletaria del mondo per quanto riguarda la filosofia (in particolare la teoria della conoscenza, la dialettica e le contraddizioni nella natura e nella società), l’ideologia, la cultura, la letteratura, l’arte, l’educazione, la morale, i costumi e le abitudini. Addentrandosi con ciò in settori nuovi, esplorati per la prima volta dal marxismo-leninismo.
Spiegare in questa circostanza tutto quello che egli ha elaborato e scoperto è impossibile. Possiamo solo elencare le sue opere filosofiche, ed illustrare qualche punto della concezione di Mao del mondo.
Le opere filosofiche di Mao rese finora pubbliche sono: Sulla pratica (luglio 1937), Sulla contraddizione (agosto 1937), Sulla giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo (27 febbraio 1957), Da dove provengono le idee giuste (maggio 1963).
Le prime due opere sono state scritte nel periodo della prima guerra civile rivoluzionaria per combattere il dogmatismo e l’empirismo esistenti allora nel Partito comunista cinese. Le altre due sono state scritte nel periodo della costruzione del socialismo in Cina per combattere il revisionismo di destra che prendeva campo nel Partito sotto la spinta di Liu Shaoqi e Deng Xiaoping.
Altri brani fondamentali riguardanti la concezione proletaria del mondo si trovano nelle seguenti opere: Sulla nuova democrazia (gennaio 1940), Riformiamo il nostro studio (maggio 1941), Discorsi alla Conferenza di Yenan sulla letteratura e l’arte (maggio 1942), Discorso alla Conferenza nazionale di propaganda del Partito comunista cinese (12 marzo 1957).
Importanti sono anche gli “scritti più letti” durante la Grande rivoluzione culturale proletaria: In memoria di Norman Bethune (21 dicembre 1949), Al servizio del popolo (8 settembre 1944), Come Yu Kung rimosse le montagne (11 giugno 1945) nei quali viene tracciata l’immagine ideale del marxista-leninista e della persona nuova socialista.
Nel complesso delle opere su menzionate si ritrovano in sintesi e in forma chiara tutte le grandi scoperte sul materialismo dialettico e storico di Marx, Engels, Lenin e Stalin, arricchite dagli apporti inediti di Mao.
Per dare un saggio della potenza del pensiero di Mao circa la dialettica e le contraddizioni, citiamo un brano ripreso dall’opera “Sulla contraddizione”: “La legge della contraddizione inerente alle cose, cioè la legge dell’unità degli opposti, è la legge fondamentale della natura e della società, e quindi anche del pensiero. Essa è in opposizione con la concezione metafisica del mondo. La sua scoperta ha costituito una grande rivoluzione nella storia della coscienza umana.
Secondo il materialismo dialettico, la contraddizione esiste in tutti i processi che si verificano nelle cose oggettive e nel pensiero soggettivo, essa penetra tutti i processi dal principio alla fine: in questo consiste il carattere universale e assoluto della contraddizione. Ogni contraddizione e ciascuno dei suoi aspetti hanno le loro proprie caratteristiche: in questo consiste il carattere particolare e relativo delle contraddizioni. Agli opposti è inerente in determinate condizioni l’identità che rende possibile la loro coesistenza in una singola entità, e inoltre la loro trasformazione nei rispettivi opposti: anche in questo consiste il carattere particolare e relativo della contraddizione. Ma la lotta degli opposti è ininterrotta; essa continua tanto durante la coesistenza degli opposti quanto durante la loro reciproca trasformazione, momento in cui questa lotta si manifesta con una evidenza particolare: in questo consiste ancora il carattere universale e assoluto della contraddizione. Quando studiamo il carattere particolare e relativo della contraddizione dobbiamo tener presente la differenza fra la contraddizione principale e quelle secondarie, fra l’aspetto principale e quello secondario della contraddizione e la lotta degli opposti, dobbiamo tener presente le differenze fra le varie forme di lotta; altrimenti gli errori sono inevitabili”.
Rispetto ai Maestri del proletariato internazionale precedenti, Mao si è trovato in una posizione nuova, portare la rivoluzione socialista nella sovrastruttura e nel profondo dell’essere umano.
La Grande rivoluzione culturale proletaria, da egli ideata, promossa e diretta, è stato lo strumento che gli doveva consentire di trasformare la sovrastruttura per renderla conforme alla base socialista e di rivoluzionare la mente e la coscienza delle masse e delle nuove generazioni, e così estirpare le radici dell’ideologia borghese e del revisionismo.
“La Grande rivoluzione culturale proletaria – sottolinea Mao – è una grande rivoluzione che tocca l’uomo in quanto ha di più profondo, e tende a risolvere il problema della sua concezione del mondo” .(1) Si trattava evidentemente di un avvenimento senza precedenti nella storia, la cui validità rimane intatta e fonte di ispirazione e di insegnamenti per tutti coloro che lottano per il socialismo e per un mondo nuovo, nonostante che tale esperienza sia stata violentemente interrotta dalla restaurazione del capitalismo in Cina.
Le teorizzazioni inedite di Mao sulle classi, la contraddizione di classe e la lotta di classe nella società socialista rimarranno comunque in eterno come il suo più grande e prezioso contributo dato al materialismo dialettico e storico. La teoria dei due tipi di contraddizioni scoperte da Mao nella società socialista – le contraddizioni in seno al popolo, che vanno risolte con la dialettica, il ragionamento e la convinzione, e le contraddizioni antagonistiche tra il nemico e noi, che vanno risolte con la forza e la rivoluzione -, costituisce la stella polare di coloro che costruiscono la società socialista.
Ma anche di chi, come noi, si trova nella fase della lotta per il socialismo ed ha lo stesso problema, sia pure in forma diversa, della risoluzione dei due tipi di contraddizione. Infatti mentre dobbiamo convincere le masse di sinistra con la dialettica, le argomentazioni, i fatti, l’esempio e l’azione che la via dei partiti revisionisti e neorevisionisti non porta al socialismo, non bisogna deflettere dallo stare all’opposizione del sistema capitalistico per combatterlo e distruggerlo.
Sulla base dell’esperienza storica, Mao sottolinea che “Nella società divisa in classi, le rivoluzioni e le guerre rivoluzionarie sono inevitabili, che senza di esse è impossibile compiere un salto nello sviluppo della società, è impossibile rovesciare le classi dominanti reazionarie e permettere al popolo di prendere il potere. I comunisti devono denunciare la propaganda menzognera dei reazionari, i quali affermano per esempio che la rivoluzione sociale non è necessaria, né realizzabile; i comunisti devono attenersi fermamente alla teoria marxista-leninista della rivoluzione sociale per aiutare il popolo a comprendere che la rivoluzione sociale non solo è assolutamente necessaria ma anche pienamente possibile”. (2)
Mao si è battuto affinché su ogni tema e questione risultassero chiari i termini della contraddizione e le differenti vedute del proletariato rispetto alla borghesia e la lotta di classe non conoscesse soste. In tal modo egli ha fatto una grande opera di pulizia e riordino ideologico secondo lo spirito dei delegati del Congresso di fondazione della Lega dei comunisti (1847), in pratica la prima Organizzazione marxista internazionale, che adottarono la storica parola d’ordine “Proletari di tutti i paesi, unitevi” , sopprimendo quella idealistica precedente che suonava così: “Che gli uomini siano fratelli”.
Riguardo la natura umana, Mao ha detto: “Esiste una natura umana? Certamente sì, ma solamente una natura umana concreta e non una natura umana astratta. Nella società divisa in classi esiste solo una natura umana con un carattere di classe, e non una natura umana al di sopra delle classi”.( 3)
L’unità del genere umano, della specie, esiste dunque solo sulla carta, meglio nei sogni idealistici, nella realtà, come chiunque può constatare con mano, l’umanità è profondamente spaccata e divisa. Bisogna allora partire da qui, da questa realtà generata dalla divisione in classi della società, se si vuole veramente raggiungere l’unità dell’umanità e la fraternità universale.
 

3. Le calunnie dei revisionisti non potranno cancellare il pensiero e l’opera di Mao
L’elaborazione teorica e politica di Mao e la sua azione pratica rappresentano la risposta più calzante e la smentita più bruciante alle tesi dell’omuncolo di Pechino, Deng Xiaoping, secondo il quale il marxismo-leninismo non può dare le risposte a tutti i nuovi problemi, per cui oggi occorrono “nuovi principi” e “nuove conclusioni”.
Costui ha avuto persino l’ardire di salire in cattedra e di decretare “errati”, “avventuristi” ed “estremisti” gli atti più qualificanti compiuti da Mao durante il periodo della costruzione del socialismo in Cina. Attraverso un mucchietto di carta straccia, che è stato pomposamente chiamato “Risoluzione su qualche questione della storia del nostro partito dopo la fondazione della Repubblica popolare”, la banda di Deng Xiaoping si è illusa di poter cancellare la validità dell’opera e del pensiero di Mao dall’estate del 1955 al 9 Settembre 1976. In pratica la cooperazione agricola, la trasformazione dell’artigianato e del commercio individuale, il Grande Balzo in avanti, le Comuni popolari, la linea generale della costruzione del socialismo in Cina, la lotta contro le cricche revisioniste di Peng De Haui, Liu Shaoqi e Deng Xiaoping e la lotta contro il revisionismo internazionale capeggiato prima di Krusciov e poi da Breznev.
Bersaglio principale di quella illegale, arbitraria e unilaterale “Risoluzione” antimarxista e antisocialista, naturalmente non poteva non essere che la Grande rivoluzione culturale proletaria, i cui principi, elaborati personalmente da Mao, vengono definiti addirittura “non conformi né al marxismo-leninismo né alla realtà cinese”. È sempre così, quando i comunisti cominciano a pestare sul serio i calli della borghesia, ecco che gli strilli dei servi arrivano al cielo nel tentativo di proteggere i loro padroni.
Per coprire le proprie colpe passate e i propri intrighi e loschi obiettivi attuali, l’arcirevisionista Deng afferma che Mao avrebbe commesso dei “grossi errori” negli ultimi anni della sua vita. Ma allo stato degli atti gli errori menzionati rappresentano invece dei grandi meriti teorici, politici e storici di Mao. Con ciò non vogliamo dire che il fondatore della Nuova Cina non abbia mai commesso errori, perché quando ha sbagliato si è prontamente autocriticato e corretto, non certo però per abbandonare la via socialista ma per correggerne la rotta e avanzare con più sicurezza.
È cosa comune cadere in errore. Anche Marx ha fatto qualche sbaglio, per esempio all’inizio non credeva alla Comune di Parigi ma poi l’ha appoggiata ed esaltata, e sulla base di questa esperienza ha teorizzato la necessità della dittatura del proletariato, della violenza rivoluzionaria di massa e del Partito comunista. Perfino Lenin ha commesso degli errori, per esempio dopo la Rivoluzione di Febbraio del 1917 pensava che il proletariato potesse andare al potere per via pacifica, ma non gli ci volle molto per ricredersi e lanciare e guidare personalmente la rivoluzione socialista.
I Maestri del proletariato internazionale non hanno perciò avuto mai alcuna difficoltà a riconoscere e correggere i propri errori, e quando non l’hanno potuto fare ci hanno pensato i loro successori a mettere le cose a posto. Per quanto riguarda Mao, sulla base delle nostre conoscenze attuali, non ci sembra che ci sia nulla da rettificare nel suo pensiero e nella sua opera. Comunque, se ci dovesse essere qualcosa da rivedere non sarà certo compito dei rinnegati giudicarlo, ma dei Partiti autenticamente marxisti-leninisti con un giudizio collettivo.
I revisionisti non hanno alcun interesse a correggere gli errori reali dei grandi Maestri marxisti, il loro obiettivo, com’è il caso di Deng, è solo quello di rovesciare la linea proletaria rivoluzionaria, distruggere la teoria rivoluzionaria del proletariato e dare via libera al capitalismo, allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e all’egemonismo. D’altra parte, come è possibile dare un benché minimo credito a Deng che Mao ben dipingeva con queste magistrali pennellate?: “È uno che non afferra la lotta di classe, non ha mai parlato di quest’asse principale. È rimasto ancora al ‘gatto bianco e nero’, senza preoccuparsi se si tratta di imperialismo o di marxismo”. “Non sa niente di marxismo-leninismo, rappresenta la borghesia. Ha giurato controvoglia di ‘non rimettere in causa i giusti verdetti’, non gli si può far credito”. (4)
Checché ne dica l’omuncolo di Pechino, Mao, fino all’ultimo giorno della sua vita, è sempre stato lucido e coerente col marxismo-leninismo e col suo stesso pensiero. La sua lungimiranza, che non era frutto di un dono divino ma gli derivava dalla profonda conoscenza e padronanza della dialettica e della realtà, era proverbiale. Da tempo aveva capito chi era Deng, ed era anche convinto che non sarebbe stata sufficiente una sola rivoluzione culturale per estirpare radicalmente il capitalismo dalla Cina e spazzare via i rappresentanti della borghesia che si erano annidati ai vertici del Partito e dello Stato.
In una lettera famosa del 6 luglio 1966 scrisse: “Nel mondo ci sono più di cento partiti comunisti e la maggioranza di essi non crede più nel marxismo-leninismo; ha fatto a pezzi Marx e Lenin: perché non potrebbe succedere anche a noi?” E così purtroppo è avvenuto poco dopo la morte di Mao a causa del tradimento dei revisionisti moderni. Il capo banda della borghesia cinese, Deng Xiaoping, infatti ha fatto a pezzi il pensiero e l’opera di Mao restaurando il capitalismo in Cina e trasformando il glorioso Partito comunista cinese in un partito revisionista, anticomunista e fascista. Con ciò è tutto finito? No, non lo crediamo. Né in Cina né in tutto il mondo. La rivoluzione è inarrestabile, può marcare il passo, subire delle sconfitte, ma nessuno è in grado di soffocarla per sempre.
I grandi Maestri del proletariato possono essere calunniati e rinnegati dai revisionisti, ma questi non riusciranno mai a cancellare il loro pensiero e le loro opere. Finché sulla terra ci sarà un solo sfruttato e oppresso il loro pensiero rimarrà vivo e illuminerà il cammino verso la libertà, la giustizia sociale, l’emancipazione e la pace.
Tuttavia gli eredi diretti dei grandi Maestri del proletariato, i Partiti e le Organizzazioni autenticamente marxisti-leninisti del mondo, hanno il dovere di salvaguardare il pensiero e dell’opera di Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao e difenderli come la propria stessa vita dagli attacchi diretti e indiretti dei revisionisti e dei neorevisionisti.
La lotta per la difesa aperta del pensiero e l’opera di Mao è fondamentale per ripulire i Partiti marxisti-leninisti dai capitolazionisti, dai revisionisti e dai neorevisionisti incalliti e incorreggibili, per demarcare nettamente il campo dei marxisti-leninisti dai revisionisti e dai neorevisionisti comunque camuffati, per creare, non appena saranno maturi i tempi e ci saranno tutte le condizioni necessarie, l’Internazionale marxista-leninista sulla base dei marxismo-leninismo-pensiero di Mao, dell’internazionalismo proletario e della lotta conseguente contro l’imperialismo, il colonialismo, il razzismo e l’apartheid.
Nessuna forza autenticamente marxista-leninista – in qualsiasi paese essa operi e qualunque siano le circostanze interne e internazionali – può ignorare e sottovalutare la lotta contro il revisionismo e il neorevisionismo. Perché, come dimostra la pratica, se non si combattono queste pericolose correnti borghesi infiltrate nelle file del proletariato e dei marxisti-leninisti non è possibile fare bene la lotta di classe e la rivoluzione, difendere la dittatura del proletariato e assolvere i propri doveri verso l’internazionalismo proletario.
 

4. Mao alfiere della lotta contro il revisionismo moderno
Come nel passato solo difendendo e ponendo alla loro guida il pensiero di Marx, Engels, Lenin e Stalin, i comunisti furono in grado di individuare, opporsi e liquidare le varie cricche opportuniste di destra e di “sinistra” che cercavano con mille sofismi e teorizzazioni pseudo-rivoluzionarie di disorientare, dividere e far capitolare i Partiti del proletariato e i paesi socialisti di fronte all’imperialismo, così oggi solo conoscendo a fondo e ponendo al posto di comando in ogni campo anche il pensiero di Mao, i marxisti-leninisti possono avere una conoscenza approfondita, completa e scientifica sul piano teorico e politico del revisionismo moderno, sapere come combatterlo e sbarrargli la strada nel Partito e fra le masse popolari, in modo che esso non addormenti il loro spirito e non corrompa la loro coscienza e la rivoluzione possa riprendere liberamente il suo corso.
La brillante elaborazione teorica e politica di Mao sul revisionismo moderno, che ha raggiunto il suo apice con lo stupendo capolavoro strategico e tattico della Grande rivoluzione culturale proletaria, con la quale è stato risolto in maniera geniale il fondamentale problema storico della continuazione della rivoluzione sotto la dittatura del proletariato, costituisce il bilancio generale dell’esperienza acquisita fino ad oggi dai marxisti-leninisti di tutto il mondo nella lotta contro gli antichi revisionisti e un nuovo inestimabile arricchimento del tesoro comune del marxismo-leninismo per quanto riguarda la questione capitale della lotta contro il revisionismo moderno, una fonte inesauribile di insegnamenti a carattere universale e una potente guida per l’azione.
Senza il grande contributo dato da Mao nella lotta contro il revisionismo moderno, all’interno e all’esterno della Cina, all’interno del Partito Comunista Cinese e dell’allora movimento comunista internazionale, senza la sua confutazione organica delle tesi antimarxiste dei revisionisti kruscioviani sulle fondamentali questioni della natura dell’imperialismo, della rivoluzione proletaria, del carattere del Partito comunista e della dittatura del proletariato, la classe operaia internazionale brancolerebbe ancora nel buio. Mao, mostrando in teoria e in pratica come si fa a tener testa ai revisionisti moderni e come si può sconfiggerli, è divenuto oggettivamente l’alfiere del marxismo-leninismo e la guida del proletariato internazionale, e il suo invicinbile pensiero lo strumento insostituibile per inchiodare i revisionisti al loro tradimento e annientare tutti gli ostacoli che essi pongono sulla via della rivoluzione.
Come Lenin si levò risolutamente in difesa del marxismo e per denunciare gli antichi revisionisti Bernstein e Kautzky, che avevano capitolato di fronte all’imperialismo e avevano svenduto gli interessi del proletariato al nemico di classe, riunendo così il proletariato internazionale sulle giuste posizioni comuniste e facendo compiere alla rivoluzione un grandioso balzo in avanti, allo stesso modo Mao ha affrontato coraggiosamente in difesa del marxismo-leninismo i moderni revisionisti, con alla testa il rinnegato Krusciov, che in tutto il mondo si adoperavano freneticamente a snaturare il marxismo-leninismo, a disgregare l’allora capo socialista e a frenare lo sviluppo della rivoluzine. Egli ha riportato in questa epica lotta importanti vittorie, ispirando la nascita di nuovi Partiti marxisti-leninisti e facendo conoscere alla rivoluzione un nuovo vigoroso sviluppo.
L’odierna situazione internazionale è radicalmente diversa rispetto a quella che ha lasciato Mao. Allora, nel settembre del ‘76, si registrava con sommo piacere che la tendenza principale nel mondo era la rivoluzione. Era evidente che il pensiero di Mao e la Grande rivoluzione culturale proletaria esercitavano una potente influenza sul proletariato internazionale e sui popoli e le nazioni oppresse, nonostante che l’Urss avesse vent’anni prima già ammainato di fatto la bandiera del socialismo e che i revisionisti frenassero ovunque la rivoluzione.
Attualmente invece poche sono le fiamme rivoluzionarie e la scena sembra essere dominata dal capitalismo, dall’imperialismo e dal neocolonialismo. Tutto per colpa delle cricche revisioniste dei vari paesi che in un primo tempo si sono camuffate dietro il marxismo-leninismo sabotando la rivoluzione e spacciando riformismo, parlamentarismo e pacifismo per marxismo-leninismo “creativo”, e successivamente sono passate armi e bagagli nel campo della borghesia e del capitalismo giungendo a restaurare il capitalismo là dove erano al potere e a sciogliere i partiti comunisti storici.
Finché era vivo Mao e le masse volevano la rivoluzione, costoro facevano di tutto per sembrare dei veri comunisti e reagivano duramente verso i marxisti-leninisti che li smascheravano. Ne sanno qualcosa i militanti del PMLI per le aggressioni subite nelle fabbriche, nelle scuole e nelle piazze durante il Sessantotto e negli anni Settanta.
Oggi questi rinnegati e traditori della causa del socialismo fanno a gara per dimostrare che non sono mai stati dei comunisti classici, tutt’al più dicono di essere dei “comunisti democratici” o dei “neocomunisti”, in ogni caso diversi da Lenin, Stalin e Mao.
Mao si era accorto subito chi erano i revisionisti moderni e immediatamente aveva lanciato forti segnali di avvertimento denunciando la loro natura borghese e controrivoluzionaria. Nel marzo del ‘57, appena tredici mesi dopo che essi avevano usurpato il potere in Urss, così li definiva: “Negare i principi fondamentali del marxismo, negare le sue verità universali, questo è il revisionismo. Il revisionismo è una concezione borghese. I revisionisti annullano le differenze tra il capitalismo e il socialismo, le differenze tra la dittatura borghese e la dittatura proletaria. In realtà quello che auspicano è la linea capitalista, non quella socialista. Nelle condizioni attuali il revisionismo è molto più dannoso del dogmatismo. Oggi abbiamo un compito importante sul fronte ideologico: sviluppare la critica del revisionismo”. (5)
Rimane comunque il fatto che non si può capire l’attuale situazione se non si prende coscienza della natura del revisionismo moderno e del ruolo che ha giocato nella distruzione degli Stati socialisti e dei partiti comunisti storici.
All’origine di questo tradimento controrivoluzionario senza precedenti nella storia sta il XX Congresso del PCUS. Da qui bisogna partire per ricostruire la storia degli ultimi 37 anni, per stabilire chi aveva ragione e chi aveva torto e chi sta veramente dalla parte del socialismo e chi solo a parole, per far luce sul ruolo controrivoluzionario e anticomunista delle cricche revisioniste dei vari paesi che hanno condiviso la linea di Krusciov e la cosiddetta destalinizzazione, e infine per fare un serio bilancio critico di se stessi e della propria militanza, passata e presente, in riferimento alla lotta a livello nazionale e internazionale tra marxisti-leninisti e revisionisti. Solo così possiamo essere certi di non sbagliare sui piani ideologico, politico e organizzativo, e di demarcare nettamente le nostre posizioni da quelle dei revisionisti; sia verso coloro che continuano a camuffarsi da comunisti, sia verso coloro che si sono riciclati come socialisti, sia infine verso coloro che si presentano nelle vesti di “neocomunisti” e di “rifondatori del comunismo”.
Questi ultimi non sono altro che dei neorevisionisti, una nuova forma di revisionismo escogitata dagli imbroglioni politici per imbrigliare il proletariato rivoluzionario nelle pastoie del capitalismo e dell’imperialismo.
La differenza fondamentale tra questa nuova forma di revisionismo e quella precedente sta nel fatto che mentre il revisionismo moderno pretendeva di rappresentare, dove i revisionisti erano al potere, il marxismo-leninismo autentico e il vero socialismo, e rivendicava, anche nei paesi capitalistici, di essere il vero partito comunista, il neorevisionismo rinnega integralmente, e la combatte, l’esperienza storica della dittatura del proletariato, si pone apertamente al di fuori e contro il marxismo-leninismo-pensiero di Mao e si prefigge di elaborare una nuova concezione del “comunismo” sulla base del parlamentarismo, della democrazia, e del legalitarismo costituzionale borghesi e della nonviolenza.
Il neorevisionismo, di cui una delle centrali più importanti è in Italia ed è rappresentata dal Partito della rifondazione comunista di Armando Cossutta e Sergio Garavini, è collegato internazionalmente attraverso i partiti revisionisti vecchi e nuovi e la cosiddetta “Quarta internazionale” trotzkista. Questa situazione apre a livello nazionale e internazionale una nuova fase della lotta contro il revisionismo, quella contro il neorevisionismo.
Se non si parte dal XX Congresso del PCUS, svoltosi nel febbraio del ‘56, non è assolutamente possibile capire gli avvenimenti successivi in Urss e nei paesi socialisti dell’Est europeo, a cominciare dalla controrivoluzione ungherese dell’ottobre del ‘56 dai moti reazionari in Polonia e nella Germania dell’Est. In quegli anni infatti, approfittando della morte di Stalin, l’imperialismo mondiale promosse una ribellione anticomunista in diversi paesi socialisti cui i revisionisti dettero mano fronte.
Col coraggio e l’iniziativa tipici degli autentici capi proletari rivoluzionari, non temendo l’isolamento e l’ostracismo pur di difendere il marxismo-leninismo, il proletariato, la rivoluzione e il socialismo, Mao bollò immediatamente il XX Congresso del PCUS, anche se non affondò fino in fondo il coltello, poiché sperava che i revisionisti sovietici si ravvedessero e correggessero i loro errori.
L’Unione Sovietica infatti poteva ancora essere salvata, il campo socialista, forte di un miliardo di abitanti, poteva estendersi ulteriormente, i partiti storici comunisti dell’Occidente, tutti o in gran parte, potevano essere mantenuti sulla via rivoluzionaria o recuperati. Allora, come diceva Mao, “Il vento dell’Est prevale sul vento dell’Ovest” : quasi mezzo mondo era socialista, i popoli del Terzo mondo erano nettamente orientati verso il socialismo, il proletariato di molti paesi capitalistici, specie dell’Occidente e dell’Italia, lottava concretamente per il socialismo. Bastava qualche altra circostanza favorevole per avere tutto il mondo socialista. Ma ciò non hanno voluto i revisionisti dei vari paesi con in testa quelli sovietici.
Al Comitato centrale del Partito Comunista Cinese del novembre 1956, Mao così si espresse: “Vorrei dire qualcosa sul XX Congresso del Partito comunista dell’Unione Sovietica. Secondo me ci sono due spade: una è Lenin, l’altra è Stalin. Adesso i russi hanno gettato via quella spada che è Stalin. L’hanno raccolta Gomulka e certi ungheresi per colpire l’Unione Sovietica, per combattere il cosiddetto stalinismo. I partiti comunisti di diversi paesi europei criticano anche loro l’Unione Sovietica. Il loro leader è Togliatti. Anche l’imperialismo ha raccolto questa spada per lanciarsi all’attacco, Dulles l’ha presa e se n’è servito per qualche manovra. Questa spada non è stata data in prestito, bensì gettata via. Noi in Cina non l’abbiamo gettata via. Noi in primo luogo abbiamo difeso Stalin e in secondo luogo abbiamo criticato i suoi errori, abbiamo scritto l’articolo Sull’esperienza storica della dittatura del proletariato. Non abbiamo fatto come certuni che hanno screditato e distrutto Stalin, abbiamo agito in base alla situazione reale.
Si può dire che alcuni dirigenti sovietici hanno in qualche misura gettato via anche quella spada che è Lenin? Secondo me lo hanno fatto in misura notevole. La rivoluzione d’Ottobre è ancora valida? Può costituire o no un modello per tutti i paesi? Nel rapporto di Krusciov al XX Congresso del Partito comunista dell’Unione Sovietica si dice che si può conquistare il potere seguendo la via parlamentare, ossia che i vari paesi possono fare a meno di prendere esempio dalla rivoluzione d’Ottobre. Una volta aperta questa breccia, sostanzialmente si è gettato via il leninismo”. (6)
Questo straordinario brano contiene tutti gli elementi storici, politici e ideologici per comprendere che tutte le sventure e i rovesci del proletariato sovietico e internazionale provengono dal XX Congresso del PCUS.
L’elemento più importante che Mao mette in evidenza è il fatto che già nel ‘56 i revisionisti sovietici avevano spezzato le spade di Lenin e Stalin, cioè l’ideologia del proletariato, l’arma più potente che possiede il proletariato per conquistare e mantenere il potere politico.
In pratica i kruscioviani spezzando le due spade rosse avevano disarmato il proletariato, dato campo libero alla ideologia e alla cultura borghesi e iniziato l’opera di restaurazione del capitalismo, continuata poi da Breznev, Andropov e Cernenko e che è stata completata da Gorbaciov e Eltsin.
Una volta spezzate le spade rosse era inevitabile che si impugnassero le spade bianche. Da quando Marx ed Engels hanno elaborato il socialismo scientifico la storia conosce solo o le spade del proletariato o le spade della borghesia.
E le spade rosse del proletariato, è bene ribadirlo e convincersene fino in fondo, sono cinque e corrispondono ai nomi di Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao. Spezzare una qualsiasi di esse vorrebbe dire romperne la concatenazione, compiacere la borghesia e precludersi per sempre la strada del socialismo.
L’abbattimento delle statue di Lenin e dei simboli del comunismo in Urss è solo un fatto materiale, poiché essi erano già stati abbattuti dal XX Congresso.
Noi marxisti-leninisti italiani non abbiamo aspettato che Gorbaciov mostrasse per intero la faccia per giudicarlo. Nel grande documento del Comitato centrale del PMLI del 25 marzo 1990, dal titolo “Combattiamo la battaglia di maggio sotto la bandiera dei Comitati popolari e del socialismo” già facevamo un bilancio della sua nefasta opera con queste parole: “Le responsabilità maggiori di quanto è accaduto ad Est cadono sulle spalle del neoliberale Gorbaciov, che ha distrutto fin dalle fondamenta teoriche, politiche e organizzative il Partito e lo Stato di Lenin e Stalin. Con la famigerata ‘perestrojka’ – che non è affatto, come sostiene quel consumato imbroglione di Cossutta, una ‘seconda rivoluzione’, dopo quella del ‘17, una ‘innovazione del socialismo per gli anni del 2000’ (dalla Relazione alla II Assemblea generale dei soci dell’Associazione culturale marxista, Milano 20.5.89) -, il nuovo zar del Cremlino è andato ben oltre Krusciov nella restaurazione del capitalismo in Urss e nell’opera di corruzione e sobillazione revisioniste dei governanti e dei dirigenti del partito dei paesi già socialisti.
Senza il suo esempio e le sue pressioni verso i suoi compari esteri perché lo imitassero, certamente l’Est, compresa l’Urss, non si troverebbe ora in braccio al capitalismo e all’imperialismo occidentale”.
Non si può quindi parlare di crollo del socialismo e del comunismo, ma del fallimento storico dei revisionisti che non sono riusciti nemmeno a conservare il potere e sono stati costretti a passarlo a settori classici borghesi e ad altre correnti della borghesia.
 

5. La teoria della continuazione della rivoluzione sotto la dittatura del proletariato
Nel corso della sua vita, Mao ha accumulato molti meriti storici, il primo dei quali è quello di aver guidato il popolo cinese, un quarto dell’umanità, a liberarsi dalle catene del feudalesimo, dell’imperialismo e del capitalismo, attraverso la rivoluzione armata di nuova democrazia e la rivoluzione socialista.
Durante il periodo della costruzione del socialismo in Cina il merito più grande è costituito dall’elaborazione della teoria della continuazione della rivoluzione sotto la dittatura del proletariato. Nessuno prima di lui aveva immaginato, pensato e osato tanto.
Attraverso questa grande teoria, egli ha spiegato per tempo qual è la contraddizione principale nel socialismo, come può avvenire la restaurazione del capitalismo e cosa bisogna fare per prevenirla e per salvaguardare e sviluppare il socialismo.
Lenin aveva detto chiaramente che non c’è una muraglia cinese tra il capitalismo e il socialismo e che è sempre possibile una restaurazione del capitalismo. Stalin aveva combattuto e vinto tutta una serie di traditori e rappresentanti della borghesia quali Trotzki, Bucharin, Zinoviev, Kamenev e Rykov. Ma erroneamente riteneva che con la loro sconfitta fossero scomparse le classi in Urss. Solo un anno prima della morte nella sua opera “Problemi economici del socialismo nell’Urss” accenna all’esistenza delle classi e alle contraddizioni di classe nel socialismo.
Padroneggiando da maestro il materialismo dialettico, al quale apporta contributi fondamentali, Mao analizza a fondo l’esperienza del proletariato al potere in Urss, in Cina e negli altri paesi socialisti, individua che nel socialismo la contraddizione principale è quella tra il proletariato e la borghesia e indica quali sono i metodi e i mezzi per impedire la restaurazione del capitalismo e per continuare la rivoluzione.
Studiando l’esperienza storica del proletariato dalla Comune di Parigi in poi, Mao aveva capito perfettamente che la conquista del potere politico da parte del proletariato è solo l’inizio e non la fine della rivoluzione socialista. Con grande lungimiranza mette in guardia il Partito, il proletariato e l’intero popolo cinese a non fermarsi al primo passo della rivoluzione, ad andare fino in fondo e a stare attenti a non farsi corrompere dalla borghesia.
Nell’immediata vigilia dell’ingresso trionfale a Pechino, egli rivolge al Comitato centrale del Partito la seguente esortazione: “Molto presto saremo vittoriosi in tutto il pae-se. Questa vittoria aprirà una breccia nel fronte orientale dell’imperialismo e avrà un grande significato internazionale. Non occorrerà molto tempo e molti sforzi per ottenere questa vittoria, ma occorreranno molto tempo e molti sforzi per consolidarla. La borghesia nutre dubbi sulla nostra capacità di costruire. Gli imperialisti fanno affidamento sull’eventualità che noi un giorno o l’altro chiederemo loro l’elemosina per sopravvivere. Con la vittoria possono sorgere nel Partito stati d’animo di questo tipo: arroganza, pretesa di essere un grand’uomo, inerzia e riluttanza a fare progressi, ricerca di agi e avversione a continuare una vita dura. Con la vittoria, il popolo ci sarà riconoscente e la borghesia si farà avanti per lusingarci. È stato provato che il nemico non può batterci con la forza delle armi. Tuttavia, le lusinghe della borghesia possono conquistare quelli fra noi che non hanno una forte volontà. Possono esserci comunisti che, pur non essendo stati vinti dai nemici armati e avendo anzi meritato il nome di eroi per aver affrontato questi nemici, non sono tuttavia capaci di resistere alle pallottole ricoperte di zucchero; essi cadranno sotto questi colpi. Dobbiamo prevenire una situazione di tale genere. La conquista della vittoria in tutto il paese è solo il primo passo di una lunga marcia di diecimila li. Anche se possiamo essere fieri di questo passo, esso è relativamente piccolo; ciò che ci renderà ancora più fieri deve ancora venire. Fra qualche decina di anni la vittoria della rivoluzione democratica popolare in Cina, vista in retrospettiva, apparirà come il breve prologo di una lunga opera. Un’opera comincia con il prologo, ma il prologo non ne è il punto culminante. La rivoluzione cinese è una grande rivoluzione, ma la strada che dovremo percorrere dopo la rivoluzione sarà più lunga, e il lavoro sarà maggiore e più arduo”. (7)
Successivamente Mao, di fronte ai primi grandi assalti dei revisionisti cinesi che mettevano in discussione la via socialista e il potere del proletariato nel Partito e nello Stato, non a caso nel periodo del XX Congresso del PCUS, riprende e sviluppa questi concetti e afferma: “Nel nostro paese l’ideologia borghese e piccolo-borghese, l’ideologia antimarxista dureranno a lungo. Il regime socialista è già fondamentalmente instaurato nel nostro paese. Nel campo della trasformazione del regime di proprietà dei mezzi di produzione, abbiamo conseguito in linea di massima una vittoria, ma sul fronte politico e ideologico non abbiamo ancora vinto del tutto. Nel campo ideologico non è ancora veramente deciso chi vincerà tra proletariato e borghesia”. (8)
Poi passa a denunciare coloro che si oppongono alla rivoluzione socialista spiegandone il perché usando questo concetto: “La rivoluzione socialista è una cosa nuova per tutti noi. In passato abbiamo fatto solo la rivoluzione democratica, che era una rivoluzione di carattere borghese, non mirava a distruggere la proprietà individuale, né quella del capitalismo nazionale, ma solo quella dell’imperialismo, del feudalesimo e del capitalismo burocratico. Molte persone dunque sono riuscite a superare quella prova. Tra di loro, alcune non erano entusiaste di una rivoluzione democratica a carattere radicale e hanno superato la prova a stento; altri l’hanno superata perché erano disposti a impegnarsi per una rivoluzione di quel tipo. Adesso bisogna superare la prova del socialismo e alcuni hanno difficoltà a farlo” .(9)
Ad un certo punto Mao dirà chiaro e tondo che gli oppositori della rivoluzione socialista si trovano anche all’interno del Partito: “Dopo la rivoluzione democratica, gli operai, i contadini poveri e medio-poveri non si sono fermati, hanno voluto continuare la rivoluzione. Ma alcuni membri del Partito non desideravano andare oltre, ce ne sono che hanno fatto persino marcia indietro e si sono opposti alla rivoluzione. Perché questo? Divenuti dei grandi dirigenti, vogliono proteggere gli interessi della loro casta” .(10)
Finalmente nell’agosto del 1962, riprendendo e sintetizzando tutto ciò che egli aveva detto fino a quel punto sul socialismo, in particolare nella grande opera “Sulla giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo” , Mao stabilisce la linea fondamentale del socialismo con queste precise parole: “La società socialista abbraccia un periodo storico molto lungo, nel corso del quale esistono ancora le classi, le contraddizioni di classe e la lotta di classe, esiste la lotta tra le due vie, il socialismo e il capitalismo, ed esiste il pericolo di una restaurazione del capitalismo. Dobbiamo comprendere che questa lotta sarà lunga e complessa, aumentare la vigilanza, e svolgere un lavoro di educazione socialista. Dobbiamo comprendere e risolvere in modo giusto le contraddizioni di classe e la lotta di classe, distinguere le contraddizioni fra il nemico e noi e le contraddizioni in seno al popolo e dare ad esse una giusta soluzione. Altrimenti un paese socialista si trasformerà nel suo opposto, cambierà natura e si avrà la restaurazione. D’ora in poi, dobbiamo parlare di questo problema ogni anno, ogni mese e ogni giorno, in modo da averne una comprensione abbastanza chiara e seguire una linea marxista-leninista”. (11)
Con ciò viene battuta decisamente la linea borghese e controrivoluzionaria della cricca revisionista di Liu Shaoqi e Deng Xiaoping che sosteneva che la contraddizione principale in Cina era “la contraddizione tra il regime socialista avanzato e le forze produttive sociali arretrate” e non quella tra il proletariato e la borghesia. Ossia sosteneva che si doveva sviluppare il capitalismo e spingere il proletariato a dedicarsi solo alla produzione e ad abbandonare la rivoluzione.
 

6. La Grande rivoluzione culturale proletaria
La Grande rivoluzione culturale proletaria è stata lo sbocco inevitabile e conseguente della teoria della continuazione della rivoluzione sotto la dittatura del proletariato.
Una volta individuato il nemico principale, scoperti i suoi piani, visti i pericoli che si correvano e constatata la necessità di dare un nuovo impulso alla rivoluzione e alla costruzione del socialismo, occorreva agire immediatamente sulla base di una strategia e una tattica rivoluzionarie adeguate. E Mao agì inventando di sana pianta la Rivoluzione culturale proletaria. Una rivoluzione proletaria vera e propria diretta contro la borghesia, con la caratteristica che si svolgeva in un paese socialista, un avvenimento che non ha precedenti nella storia. Fino ad allora infatti in nessun paese socialista si era mai pensato che fosse necessaria una nuova rivoluzione per annientare i nemici di classe e salvaguardare e sviluppare il socialismo.
Mao spiega che “La Grande rivoluzione culturale proletaria è, in fondo, una grande rivoluzione politica che il proletariato conduce nelle condizioni del socialismo, contro la borghesia e tutte le altre classi sfruttatrici, la continuazione della lunga lotta che oppone il Partito comunista cinese e le larghe masse popolari rivoluzionarie che esso dirige alla reazione del Kuomintang, la continuazione della lotta di classe tra il proletariato e la borghesia” .(12)
In precedenza il Partito comunista cinese era stato investito da grandi battaglie di linea, come quella storica del ‘58 contro Peng Dehuai per il grande balzo in avanti e per le comuni popolari, ma mai la lotta di classe era stata portata a livello della Rivoluzione culturale.
“Nel passato, - diceva Mao nel febbraio 1967 - abbiamo condotto la lotta nelle campagne, nelle fabbriche, nel campo della cultura, e abbiamo attuato il movimento di educazione socialista; ma tutto ciò non ha potuto risolvere il problema, perché non abbiamo trovato una forma e un metodo capaci di mobilitare le larghe masse in modo aperto e completo, da basso in alto, per denunciare il nostro lato tenebroso” .
Questa forma di mobilitazione delle masse su larga scala per difendere e sviluppare il socialismo è stata poi trovata dallo stesso Mao con la Rivoluzione culturale proletaria. Un contributo enorme alla teoria e alla pratica del marxismo-leninismo poiché si affida in prima persona alle larghe masse, e non solo al Partito e allo Stato, il compito di difendere il socialismo dagli assalti della borghesia spodestata e della nuova borghesia che si crea nel socialismo.
La Rivoluzione culturale dà pieno sfogo alla carica rivoluzionaria delle masse e al loro entusiasmo verso il socialismo. I traditori e i rinnegati vengono smascherati, denunciati e destituiti e quella parte del potere perduto viene riconquistato attraverso la mobilitazione di centinaia di milioni di masse, le quali possono esprimersi liberamente nei grandi dibattiti pubblici e con i dazebao, cioè i manifesti a grandi caratteri scritti a mano.
Proverbiale la partecipazione di milioni di studenti al movimento delle Guardie rosse al fine di estromettere la borghesia dall’insegnamento e dare a questo un carattere proletario rivoluzionario; così come i grandi movimenti di massa perché “l’agricoltura impari da Dazhai e l’industria da Daquing”, due esperienze modello, allo scopo di sviluppare l’agricoltura e l’industria sulla base della linea economica di Mao.
Le masse messe in movimento su larga scala sotto la direzione del proletariato e del suo Partito, nel corso della lotta tra le due linee, le due classi e le due vie, fanno nuove esperienze e si assumono nuove responsabilità dirigenti attraverso propri rappresentanti nei Comitati rivoluzionari, nuovi organi di governo nati nel corso della Rivoluzione culturale, i cui membri venivano eletti con sistemi di elezioni simili a quelli della Comune di Parigi.
La Rivoluzione culturale era diretta contro la borghesia, si è detto. Ma chi era esattamente questa borghesia, dove si trovava? Ce lo dice Mao: “I rappresentanti della borghesia infiltrati nel Partito, nel governo, nell’esercito e nei diversi ambienti culturali, formano un’accozzaglia di revisionisti controrivoluzionari. Se si presentasse l’occasione, prenderebbero il potere e trasformerebbero la dittatura del proletariato in dittatura della borghesia. Abbiamo scoperto alcuni di questi individui; altri non sono ancora stati scovati; altri ancora, per esempio gli individui tipo Krusciov, godono ancora della nostra fiducia, vengono formati come nostri successori e si trovano attualmente in mezzo a noi”. (13)
Questa denuncia può non impressionare oggi, alla luce dei fatti successi in Cina e negli altri paesi già socialisti, ma allora fece un grande scalpore. Come era possibile che dei compagni, addirittura dei dirigenti del Partito che avevano superato tante dure prove della rivoluzione, fossero dei borghesi, dei controrivoluzionari? Se però ci riflettiamo un po’ capiamo che solo degli idealisti potrebbero pensare che nel Partito del proletariato sia tutto puro e immacolato, immune dall’influenza borghese, dal revisionismo, dall’individualismo, dall’arrivismo, dal burocratismo e dall’egoismo.
La Rivoluzione culturale aveva lo scopo di schiacciare il revisionismo, riprendere quella parte del potere usurpata dai rappresentanti della borghesia infiltratisi nel Partito, consolidare e sviluppare la base economica ed esercitare la dittatura totale del proletariato nella sovrastruttura, cioè la politica, l’ideologia, la cultura, l’insegnamento, l’arte e le istituzioni statali.
Dovunque doveva entrare la scopa d’acciaio del proletariato per far completa pulizia delle vecchie impostazioni, concetti e misure della borghesia e per rivoluzionare tutto sulla base del marxismo-leninismo-pensiero di Mao.
L’obiettivo finale era quello di trasformare la coscienza delle masse secondo la concezione proletaria del mondo e di formare e di educare milioni di successori della causa della rivoluzione proletaria. Un compito gigantesco e complesso, ma assolutamente necessario per poter continuare la rivoluzione e avanzare verso il comunismo. Un’impresa di portata storica, già tentata da Lenin e Stalin ma non in queste proporzioni e completezza di strategia, che se Mao avesse avuto il tempo materiale di portarla a termine prima di morire, sicuramente sarebbe stato impossibile da parte dei revisionisti e della borghesia riprendere il potere e distruggere quanto era già stato costruito in senso rivoluzionario nell’economia, nello Stato e nella società.
Mao ha sempre considerato la trasformazione degli uomini come uno dei due aspetti della trasformazione socialista, l’altro è la trasformazione del sistema: base economica e sovrastruttura. Non a caso esplicitamente egli afferma che “la Grande rivoluzione culturale proletaria è una grande rivoluzione che tocca l’uomo in quanto ha di più profondo, e tende a risolvere il problema dalla sua concezione del mondo” .(14)
Molte sono le misure pratiche che vengono prese a tale proposito, fra cui la partecipazione dei quadri e dei giovani intellettuali al lavoro produttivo collettivo, lo studio del materialismo dialettico e storico da parte degli operai e dei contadini, la creazione fra costoro di contingenti di artisti, poeti e pittori, l’istituzione dei “medici scalzi”, cioè di gruppi di giovani medici che vanno a svolgere la loro opera nelle più lontane campagne, la formazione di scuole metà studio-metà lavoro, la diffusione a livello di massa delle opere dei cinque Maestri, la scelta degli studenti tra gli operai e i contadini che hanno un’esperienza pratica.
Fare la rivoluzione per trasformare il mondo e se stessi, in sintesi questo è il concetto di fondo che Mao voleva che fosse acquisito dall’intero popolo cinese.
Riguardo al lavoro produttivo dei quadri, per cui si erano create delle apposite strutture denominate scuole del “7 Maggio”, Mao così ne spiegava il significato e i motivi: “È assolutamente necessario mantenere il sistema di partecipazione dei quadri al lavoro produttivo collettivo. I quadri del nostro Partito e del nostro Stato sono semplici lavoratori e non signori che gravano sulle spalle del popolo. Partecipando al lavoro produttivo collettivo, i quadri mantengono ampi, costanti e stretti legami con i lavoratori. Questa è una misura di fondamentale importanza in un sistema socialista perché aiuta a vincere la burocrazia e a prevenire il revisionismo e il dogmatismo” .(15)
Mentre per la rieducazione dei giovani intellettuali, Mao indicava la seguente misura: “È veramente necessario che i giovani intellettuali vadano in campagna per farsi rieducare dai contadini poveri e dai contadini medi dello strato inferiore” . (16)
Tutto il Partito, tutto il paese, tutto il popolo, tutte le istituzioni dovevano partecipare a questo movimento di trasformazione del sistema e di se stessi. Esso aveva anche un altro obiettivo concreto, cioè risolvere gradualmente le contraddizioni tra industria e agricoltura, città e campagna, lavoro intellettuale e lavoro manuale.
A tale proposito Mao lancia una direttiva molto importante in cui stabilisce: “L’Esercito Popolare di Liberazione deve essere una grande scuola. In questa scuola si deve studiare politica, materie militari, culturali; si può occupare di produzione agricola e sussidiaria e anche gestire fabbriche piccole e medie per produrre alcune cose di cui ha bisogno e altre da vendere allo Stato per un valore equivalente. Questa grande scuola può anche occuparsi del lavoro di massa, partecipare al movimento socialista nelle fabbriche e nelle campagne... L’esercito deve inoltre prendere parte in ogni momento alle lotte della rivoluzione culturale per criticare la borghesia. In questa maniera l’esercito può impegnarsi al tempo stesso nello studio, nell’agricoltura, nell’industria e nel lavoro di massa. Naturalmente questi compiti devono essere coordinati in modo appropriato...
Gli operai, che sono impegnati principalmente nell’industria, devono studiare nello stesso tempo materie militari, politica e cultura. Devono occuparsi del movimento di educazione socialista e criticare la borghesia. Dove ci siano le condizioni, devono occuparsi della produzione agricola e sussidiaria, come si fa nel campo petrolifero di Daqing.
I contadini delle comuni, che sono impegnati principalmente nell’agricoltura (comprese la silvicoltura, la pastorizia, le attività sussidiarie, l’itticoltura) devono studiare nello stesso tempo materie militari, politica e cultura. Quando ci siano le condizioni devono gestire collettivamente piccole fabbriche; devono anche criticare la borghesia.
Questo vale anche per gli studenti: impegnati principalmente nello studio devono apprendere nello stesso tempo altre cose, ossia il lavoro dell’industria, dell’agricoltura e le materie militari. La durata degli studi deve essere ridotta, bisogna portare la rivoluzione nell’insegnamento, il dominio degli intellettuali borghesi nelle nostre scuole non deve più continuare a esistere.
Anche quelli che lavorano nel commercio, nei servizi, negli organi di partito e di governo devono fare altrettanto purché le condizioni lo consentano”. (17)
Forse la misura strategica di Mao più importante, e sulla quale presumibilmente egli faceva il massimo affidamento, visto il suo rapporto privilegiato con le giovani Guardie rosse, è stata quella della formazione ed educazione di milioni di successori alla causa della rivoluzione proletaria.
Su questo punto egli ha scritto un memorabile passo che raccoglie l’essenza della lezione della restaurazione del capitalismo in Urss e della lotta di classe che infuriava in Cina e negli altri paesi socialisti.
“Perché ci sia la garanzia che il Partito e il paese non cambino colore - rileva Mao - dobbiamo non solo avere una linea e una politica giuste, ma anche formare ed educare milioni di successori della causa della rivoluzione proletaria.
In ultima analisi, formare i successori della causa rivoluzionaria del proletariato vuol dire decidere se ci sarà o no chi può portare avanti la causa della rivoluzione marxista-leninista iniziata dalla vecchia generazione di rivoluzionari proletari, se la direzione del nostro Partito e dello Stato resterà o no nelle mani dei rivoluzionari proletari, se i nostri discendenti continueranno o no ad avanzare lungo la giusta strada tracciata dal marxismo-leninismo, o, in altre parole, se riusciremo o no a prevenire la nascita del revisionismo kruscioviano in Cina. In breve, si tratta di una questione di estrema importanza, una questione di vita o di morte per il nostro Partito e il nostro paese. È una questione di fondamentale importanza per la causa rivoluzionaria proletaria nei prossimi cento, mille o diecimila anni”. (18)
Contrariamente a quanto sostengono i trotzkisti, gli “ultrasinistri” e gli anarchici, per la loro antica avversità nei confronti del Partito marxista-leninista e il suo ruolo dirigente nella rivoluzione e nel socialismo e per il loro opportunismo verso i rivoluzionari piccolo-borghesi refrattari alla disciplina proletaria e al centralismo democratico, il Partito Comunista Cinese ha avuto un ruolo centrale nella Rivoluzione culturale.
Basti pensare che tutte le decisioni riguardanti la Rivoluzione culturale sono state prese dall’Ufficio politico, dal Comitato centrale e dai Congressi del Partito, a cominciare dai due documenti storici che tracciano la linea della Rivoluzione culturale, cioè la Circolare dei 16 maggio 1966 e la Decisione in 16 punti dell’8 agosto dello stesso anno redatte sotto la direzione personale di Mao e adottate dal Comitato centrale.
Basti pensare che nei grandiosi movimenti delle Guardie rosse e di ogni altro movimento di massa era presente con ruolo di avanguardia il Partito. Basti pensare che in tutte le istituzioni dello Stato e nei nuovi organi rivoluzionari, quali i Comitati rivoluzionari, operava direttamente il Partito con ruolo dirigente, conformemente all’indicazione di Mao secondo cui “Dei sette settori seguenti: l’industria, l’agricoltura, il commercio, la cultura e l’insegnamento, l’esercito, il governo e il Partito, il Partito è quello che deve esercitare la sua direzione su tutti gli altri”. (19)
Questo indipendentemente dal fatto che una parte del Partito, soprattutto ai massimi vertici, fosse oggetto degli attacchi di Mao e della Rivoluzione culturale.
Non era certo un fatto nuovo che il Partito fosse investito dalla lotta di classe. Infatti finché era vivo Mao il Partito Comunista Cinese ha conosciuto undici importanti lotte fra le due linee, lotte inevitabili e necessarie come riflesso della lotta di classe esistente nella società. Specie se si considerano le dimensioni del Partito Comunista Cinese che da alcune decine di membri, forse cinquanta, all’atto della fondazione avvenuta il 1° luglio 1921, era passato poco prima della Rivoluzione culturale, a 17 milioni di membri, di cui solo 3 milioni e 400 mila avevano preso la tessera prima della fondazione della Repubblica popolare cinese proclamata il 1° Ottobre 1949, tra essi coloro che erano entrati nel Partito negli anni Venti erano poco più di 700.
Le ultime tre, quelle contro le cricche revisioniste di Liu e Deng, di Lin Biao, di Deng, si sono svolte durante la Rivoluzione culturale. Sostanzialmente tali cricche si opponevano alla trasformazione della rivoluzione democratica in rivoluzione socialista negando che nel socialismo la contraddizione principale continua ad essere quella tra proletariato e borghesia e ritenendo che il compito principale fosse quello di sviluppare la produzione e non quello di lottare contro la borghesia.
La lotta contro la cricca di Liu e Deng si è conclusa col IX Congresso nazionale del Partito tenutosi dal 1° al 24 aprile 1969, la lotta contro la cricca di Lin Biao al X Congresso tenutosi dal 24 al 28 agosto 1973, mentre la lotta contro la cricca di Deng è rimasta aperta per la sopraggiunta morte di Mao, il quale tuttavia alla riunione dell’Ufficio politico del Partito, tenutasi il 7 aprile 1976, aveva fatto approvare una risoluzione che decretava “la destituzione di Deng Xiaoping da tutte le sue funzioni all’interno e all’esterno del Partito e la conservazione della sua posizione di membro del Partito in osservazione”.
In particolare Deng si opponeva alla direttiva di Mao secondo cui “La lotta di classe è l’asse intorno a cui ruota tutto il resto” .(20)
Il proletariato cinese è stato la forza dirigente della Rivoluzione culturale, così come lo era stato nella rivoluzione di nuova democrazia, nonostante allora fosse costituito da 4 milioni di operai, mentre negli anni Sessanta il suo numero ammontava sui 15 milioni in un paese sterminato con una popolazione a stragrande maggioranza contadina.
A riprova che non è il numero, bensì la sua collocazione economica, la sua ideologia e le sue caratteristiche di classe, che assegnano al proletariato il ruolo egemone nella rivoluzione proletaria.
“Il nostro - diceva Mao - è un paese di settecento milioni di abitanti e la classe operaia è la classe dirigente. Bisogna valorizzare in pieno la funzione dirigente della classe operaia nella Grande rivoluzione culturale proletaria e in tutti i settori di attività. Anche la classe operaia deve elevare ininterrottamente la propria coscienza politica nel corso della lotta” . (21)
Da notare come Mao leghi il ruolo dirigente della classe operaia con la necessità della trasformazione di se stessa nel corso della lotta. In effetti la pratica dimostrava che la classe operaia per poter svolgere bene le sue funzioni dirigenti nell’economia, nello Stato, nella cultura, nel Partito doveva essere in grado di tenere testa, anche sul piano ideologico, ai volponi revisionisti.
Perciò Mao non perdeva l’occasione per esortare la classe operaia a studiare seriamente e approfonditamente il marxismo-leninismo per elevare la propria coscienza politica e accrescere la propria cultura rivoluzionaria. Nella sua grande opera già citata ricorreva persino alla sua esperienza personale per convincere la classe operaia a trasformare se stessa e diceva: “Nella lotta di classe e nella lotta contro la natura, la classe operaia trasforma la società intera e allo stesso tempo trasforma se stessa. Lavorando, la classe operaia deve continuamente imparare, ed eliminare progressivamente i propri difetti; la classe operaia deve incessantemente progredire. Prendiamo noi che siamo qui presenti, ad esempio: molti di noi ogni anno fanno qualche progresso, cioè ogni anno si trasformano. Un tempo io avevo una quantità di idee non marxiste e solo in seguito ho assimilato il marxismo. Ho studiato un po’ di marxismo sui libri iniziando così a trasformare la mia ideologia, ma la trasformazione si è realizzata soprattutto nel corso di una lotta di classe prolungata. E io devo continuare a studiare se voglio ancora progredire, altrimenti tornerei indietro” . (22)
Mao era sicuro che con una classe operaia ben preparata ideologicamente, culturalmente e politicamente non c’era roccaforte borghese che potesse rimanere in piedi. Tutto poteva essere assaltato e conquistato dalla classe operaia, persino l’insegnamento. E così, non curandosi della rabbia, degli strilli e dello scandalo della borghesia cinese e internazionale, emana la stupenda direttiva della direzione delle scuole e delle università da parte della classe operaia, costituita dalle seguenti parole: “Per compiere la rivoluzione proletaria nell’insegnamento bisogna che la classe operaia ne assuma la direzione; bisogna che le masse operaie vi si associno, e realizzino in stretta collaborazione con i combattenti dell’Esercito popolare di liberazione, la triplice unione rivoluzionaria, raggruppando anche gli elementi attivi che, tra gli studenti, insegnanti e lavoratori della scuola, sono decisi a portare fino in fondo la rivoluzione proletaria nell’insegnamento.
Le squadre operaie di propaganda dovranno rimanere a lungo nelle scuole e partecipare a tutti i compiti di lotta-critica-trasformazione. Dovranno inoltre dirigere per sempre le scuole. Nelle campagne tocca agli ex contadini poveri e medio poveri, i più solidi alleati della classe operaia, occuparsi delle scuole” . (23)
Se la classe operaia è stata la forza dirigente della Rivoluzione culturale, le giovani Guardie rosse, ragazze e ragazzi uniti come una sola entità, ne sono i pionieri, la più importante forza d’urto. Le prime cannonate a livello di masse partono dalle scuole e dalle università. Incoraggiati dal dazebao di Mao intitolato “Fuoco sul quartier generale!” , scritto il 5 agosto 1966 in appoggio al dazebao redatto da ventitre studenti e insegnanti di ambo i sessi dell’università di Pechino, decine di milioni di studenti si slanciano con ardore nella Rivoluzione culturale.
La parola d’ordine di Mao che lancia alle Guardie rosse “È giusto ribellarsi contro i reazionari” , e non semplicemente “è giusto ribellarsi” come propagandano opportunisticamente i trotzkisti e gli anarchici in Italia e altrove, risuona in tutte le scuole e le università della Cina che diventano delle polveriere. Il 1° agosto 1966 Mao scrive alle Guardie rosse della scuola media annessa all’università Qinghua di Pechino: “Le azioni rivoluzionarie delle Guardie rosse esprimono l’indignazione e la condanna nei confronti della classe dei proprietari fondiari, la borghesia, l’imperialismo, il revisionismo e i loro lacchè, che sfruttano e opprimono gli operai, i contadini, gli intellettuali rivoluzionari; esse dimostrano che è giusto ribellarsi contro i reazionari. Vi esprimo il mio caloroso appoggio” . (24)
Su questa base le Guardie rosse si sollevano come un sol uomo attaccando ovunque, dentro e fuori le scuole e le università, le autorità scolastiche e universitarie e i rappresentanti della borghesia infiltratisi nel Partito. In 6 occasioni, a partire dal 18 agosto 1966 e nei mesi successivi dell’anno, Mao riceve in piazza Tian An Men 13 milioni di Guardie rosse e altre masse rivoluzionarie.
Le gesta eroiche delle Guardie rosse fanno il giro del mondo, entusiasmando e influenzando enormemente anche le masse studentesche italiane che ne emulano le imprese nella Grande Rivolta del Sessantotto.
L’Esercito popolare di liberazione, fondato ed educato da Mao come una forza di combattimento e insieme una forza di lavoro e di produzione, integrato con le masse e al servizio di esse, ha svolto un ruolo monto importante nella Rivoluzione culturale. Esso ha appoggiato attivamente le masse rivoluzionarie e la trasformazione socialista dell’agricoltura e dell’industria, mentre ha sviluppato l’opera di trasformazione di se stesso proletarizzandosi, una manifestazione in questo senso è l’abolizione dei gradi, e mettendo al primo posto la politica proletaria rivoluzionaria e lo studio del marxismo-leninismo-pensiero di Mao.
Veramente si può dire, alla luce dei fatti, che attraverso la Rivoluzione culturale la costruzione del socialismo in Cina ha conosciuto un nuovo sviluppo. Tuttavia Mao era cosciente che quanto era stato fatto non era sufficiente e in grado di impedire una volta per tutte la restaurazione del capitalismo.
Fin da quando lancia la prima Grande rivoluzione culturale proletaria, Mao riteneva che sarebbe stato necessario farne altre in seguito e entro breve tempo, affermando che “La Grande rivoluzione culturale in corso non è che la prima di questo genere; sarà necessario intraprenderne delle altre. Nella rivoluzione la questione di sapere di chi sarà la vittoria non sarà risolta che al termine di un lungo periodo storico. Se non agiamo come si deve, la restaurazione del capitalismo può prodursi in ogni momento. I membri del Partito e il popolo intero non devono credere che tutto andrà bene dopo una, o due o anche tre o quattro grandi rivoluzioni culturali. Restiamo in guardia e non allentiamo mai la nostra vigilanza”. (25)
Coerente con questa linea, Mao negli ultimi mesi della sua vita lanciò delle importanti direttive, quali lo studio degli insegnamenti di Marx, Engels, Lenin e Stalin sulla dittatura del proletariato, prendere la lotta di classe come asse, la limitazione del diritto borghese, considerare ancora il revisionismo come nemico principale da combattere, ridurre le tre differenze (fra industria e agricoltura, città e campagna, lavoro intellettuale e lavoro manuale). Ma vedendo gli ostacoli che opponeva la cricca di Deng si rendeva sempre più conto che occorreva mobilitare di nuovo le larghe masse popolari in una nuova grande rivoluzione culturale proletaria.
Non ne ebbe però il tempo, e dopo la sua morte, in giro di poco più di due anni, i revisionisti capeggiati da Deng ripresero integralmente il potere facendo piombare la gloriosa Cina socialista di Mao in una tenebrosa dittatura fascista.
Ancora una volta si dimostra vera e scientifica la tesi di Mao secondo cui “Noi abbiamo già riportato una grande vittoria. Ma la classe sconfitta continuerà a dibattersi. Questa gente esiste ancora, e anche questa classe. Perciò non possiamo parlare della vittoria finale. Non potremo parlarne neppure nei prossimi decenni. Non dobbiamo perdere la vigilanza. Secondo il punto di vista leninista, la vittoria finale in un paese socialista non solo richiede gli sforzi del proletariato e delle larghe masse popolari del proprio paese, ma dipende anche dalla vittoria della rivoluzione mondiale e dall’abolizione del sistema di sfruttamento dell’uomo sull’uomo su tutta la Terra, in modo che tutta l’umanità raggiunga l’emancipazione. Perciò parlare alla leggera della vittoria finale della rivoluzione nel nostro paese è erroneo, va contro il Leninismo e non corrisponde neanche ai fatti” . (26)
Il che non significa che non si può realizzare il socialismo in un solo paese, ma solamente che la vittoria definitiva del socialismo si può avere quando in tutto il pianeta sventola la bandiera rossa.
Con la caduta del grande bastione rosso della Cina, dopo quello sovietico vent’anni prima, si conclude una fase della storia della dittatura del proletariato, ora si tratta di aprirne un’altra forti dell’esperienza accumulata nel passato.
Non sappiamo quanto tempo passerà prima di allora, ma è certo che si aprirà una nuova fase della storia della dittatura del proletariato. Dalla Comune di Parigi all’Ottobre sovietico passarono 46 anni e altri 32 prima dell’Ottobre cinese. Quanti altri anni dovremo ancora aspettare prima del trionfo dell’Ottobre in un altro paese? Noi in Italia ce la mettiamo tutta per affrettarne i tempi, quanto prima il proletariato si sveglierà e ce ne darà la forza tanto prima sventolerà la bandiera rossa in Italia.
 

7. La nostra fiducia verso il socialismo rimane intatta e incrollabile
La restaurazione del capitalismo nei paesi già socialisti, con tutti gli avvenimenti e gli sconvolgimenti che ciò ha comportato, non ha mutato il nostro atteggiamento verso il socialismo, la nostra fiducia in esso rimane intatta e incrollabile.
Sulla base degli insegnamenti di Mao sulla teoria della continuazione della rivoluzione sotto la dittatura del proletariato e sulla Rivoluzione culturale, nonché sulla base del confronto dell’Urss e della Cina rispettivamente prima e dopo la morte di Stalin e di Mao, noi sappiamo bene che non è stato il socialismo a portare la miseria, la fame, la disoccupazione, lo sfruttamento, l’oppressione e la disgregazione sociale e statale a quei popoli, ma la dittatura della borghesia attraverso i revisionisti.
Indubbiamente la dittatura fascista dei revisionisti nei paesi già socialisti ha arrecato dei danni incalcolabili all’immagine, al prestigio e all’onore del socialismo, tuttavia gradualmente e attraverso l’esperienza, i debiti raffronti e lo studio della storia e della lotta tra marxismo-leninismo-pensiero di Mao e revisionismo, i popoli prenderanno coscienza della differenza sostanziale che esiste tra il capitalismo e il socialismo e finiranno per riporre di nuovo la fiducia in quest’ultimo. Noi siamo profondamente convinti che il socialismo ritornerà presto di moda, di gran moda.
Infatti chi vuole l’emancipazione del proletariato e di tutta l’umanità, l’estinzione dello Stato e dei partiti, l’autogoverno del popolo, l’abolizione delle classi, dei conflitti di classe, della guerra di qualsiasi tipo, giusta e ingiusta, rivoluzionaria e controrivoluzionaria, e di ogni forma di violenza, la soppressione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo e della proprietà privata capitalista, la giustizia sociale, la completa e autentica parità tra la donna e l’uomo, il benessere dei lavoratori, l’abolizione del sottosviluppo e degli squilibri territoriali, il risanamento ecologico, non può non volere il socialismo. Cioè quel sistema sociale che consente, attraverso l’esercizio della dittatura del proletariato, di passare al comunismo dove finalmente, gradualmente e per fasi successive, si può realizzare tutto ciò.
I nostri modelli di socialismo sono quelli costruiti da Lenin e Stalin e da Mao, anche se il nostro disegno di socialismo, delineato al III Congresso nazionale del PMLI, svoltosi nel dicembre 1985, corrisponde alla realtà del nostro Paese e non è una copia meccanica di quelli.
Certo è che da quelle due grandi esperienze storiche, noi abbiamo ricavato la profonda convinzione che al centro di tutte le nostre attenzioni nel socialismo ci deve essere la rivoluzione ininterrotta secondo la teoria di Mao, il pieno coinvolgimento delle masse rivoluzionarie nella costruzione del socialismo, la trasformazione della concezione del mondo delle masse, la proletarizzazione del Partito.
In particolare, le masse sotto la guida del proletariato devono dirigere e controllare tutti i settori dell’economia, dello Stato, della politica e ogni altra parte della sovrastruttura, e i dirigenti del Partito e dello Stato devono essere dei veri proletari nell’ideologia, nella politica e nella pratica sociale, vivendo in mezzo agli operai con gli stessi salari e negli stessi alloggi.
Dato lo scempio compiuto dai revisionisti nella coscienza delle masse e l’influenza nefasta che esercitano gli avvenimenti in Urss, siamo perfettamente consapevoli che il socialismo non è dietro l’angolo, pur tuttavia è sempre oggettivamente la mèta storica del proletariato. In Italia dovremo superare diversi tornanti storici prima di conquistarlo.
Il primo di questi tornanti è costituito dalla presa di coscienza da parte del proletariato che se vuole andare al potere non ha altra strada che quella del socialismo, che non si raggiunge pacificamente e per via parlamentare.
L’esperienza indonesiana del ’65, quella del Cile del ’73, e quella del “Piano Solo” e di “Gladio” in Italia hanno chiaramente dimostrato che è sempre pronto lo sterminio dei marxisti-leninisti e dei rivoluzionari per impedirgli di prendere il potere sia pure per via legale e parlamentare.
Il secondo tornante storico, che potrebbe procedere parallelamente al primo, è costituito dalla presa di coscienza da parte degli operai avanzati, degli intellettuali, delle ragazze e dei ragazzi rivoluzionari che solo il PMLI è fermamente intenzionato a percorrere fino in fondo la strada della rivoluzione socialista, ed è quindi l’unico partito che merita il loro appoggio e la loro militanza.
Una volta superati questi due tornanti storici dovrebbe essere più facile e più spedito il cammino del proletariato e l’opera di accumulazione delle forze sociali e politiche necessarie alla rivoluzione.
Tutto dipende dalla possibilità che la voce del PMLI giunga al più presto in ogni città, e ovunque vi siano dei pionieri pronti a raccoglierla e disposti a compiere ogni sacrificio per la causa del socialismo.
L’Italia non ha mai avuto dei veri pionieri della causa del socialismo. Non lo sono stati Andrea Costa, Camillo Prampolini, Turati, Treves, Leonida Bissolati, Antonio Labriola, Pietro Nenni e Sandro Pertini, né Amedeo Bordiga, Antonio Gramsci e Palmiro Togliatti, né tanto meno lo sono Ingrao e i leader dell’assurdo, fuorviante e controrivoluzionario Partito della rifondazione comunista. I fatti dimostrano che lo possono essere solo coloro che impugnano con forza le rosse bandiere dei cinque Maestri del proletariato internazionale e del PMLI.
La lotta contro il presidenzialismo e il neofascismo rende quanto mai urgente questa presa di coscienza da parte di coloro che già oggi credono nel socialismo e degli elementi avanzati del proletariato, delle masse e della gioventù, una particolare speranza noi riponiamo nelle ragazze e nei ragazzi.
Se infatti non si scatenano le fabbriche, le scuole, le università e le piazze è impensabile fermare i neofascisti, i presidenzialisti e i piduisti che, con la connivenza e l’inerzia degli imbelli PDS e PRC, hanno rimesso, un po’ per volta, la camicia nera all’Italia. Non è difficile prevedere che se non si ricorre alla dura lotta di classe, quanto prima verrà realizzata integralmente la seconda repubblica.
Ormai da anni in Italia viviamo in pieno regime piduista, neofascista, presidenzialista e mafioso, senza che le masse ne siano consapevoli, poiché tranne il PMLI nessuno le ha allertate e mobilitate. Tutt’al più i vecchi e nuovi revisionisti e i trotzkisti arrivano ad ammettere che siamo in presenza di “tendenze autoritarie”, ma senza fare niente di concreto per denunciarle e combatterle, anzi le favoriscono non mettendo in discussione il sistema capitalistico e partecipando attivamente alle controriforme istituzionali ed elettorali.
Un po’ per volta l’intero ordinamento statale democratico borghese è stato cambiato in senso fascista. Il parlamento è stato completamente esautorato; i poteri sono stati accentrati nel governo e nella presidenza della Repubblica; lo Stato fascistizzato attraverso i superprefetti, le superprocure, gli Alti commissari e la superpolizia; il Paese è stato militarizzato, specie al Sud; il militarismo, il bellicismo, il nazionalismo e l’interventismo hanno preso campo, come dimostrano la partecipazione dell’esercito italiano prima nel Golfo Persico e ora in Somalia; il vecchio sistema elettorale è stato soppresso e sostituito con delle nuove leggi elettorali neofasciste; la monarchia, il fascismo di Mussolini, i gladiatori, i golpisti e il terrorismo sono stati riabilitati; la mafia e la corruzione imperano nel governo, nello Stato, nei partiti parlamentari e nell’economia; mentre nelle fabbriche e nelle scuole e nelle università regna la restaurazione e la disciplina fasciste.
Siamo quindi passati da un regime democratico borghese a un regime neofascista, che paradossalmente viene propagandato come una “rivoluzione”. Ciò è stato realizzato sulla base del cosiddetto “piano di rinascita democratica” della loggia massonica P2 di Gelli.
Il PMLI da solo, isolato persino dalla “sinistra” parlamentare, boicottato dai mass media, senza temere le reazioni dei piduisti e pur perseguitato dalla destra della polizia e della magistratura, fin dal II Congresso nazionale, tenutosi il 6, 7, 8 novembre 1982, per non andare più indietro, ha denunciato tale famigerato “piano” e i suoi realizzatori. E oggi continua a denunciarli e a combatterli accanitamente, non stancandosi di appellarsi agli antifascisti affinché abbiano il coraggio di uscire allo scoperto e di darci manforte. Non vorremmo che facessero come i liberali, i popolari, i socialisti e i sedicenti comunisti degli anni ’20 che sottovalutarono Mussolini e il fascismo e aprirono loro la strada.
Noi invitiamo instancabilmente le forze antifasciste e progressiste, ivi incluse quelle cattoliche, cristiane e di qualsiasi altra fede religiosa, a rompere il cordone ombelicale con la democrazia borghese e col capitalismo e a combattere fianco a fianco con noi, non però per ritornare alla prima Repubblica morta e sepolta e per ripristinare la Costituzione del ‘48 ormai ridotta a un colabrodo e a un pezzo di gomma che ciascuno tira come e dove vuole, ma per andare verso il socialismo.
A questo punto difendere la prima Repubblica sarebbe una battaglia di retroguardia, una manovra fuorviante, un nuovo infame tentativo di asservire il proletariato e le masse popolari al capitalismo e alla democrazia borghese.
Questo tipo di democrazia, che ha costituito un progresso storico, politico e pratico rispetto alla democrazia feudale, non è più in grado di esprimere alcunché di progressivo, e per di più per due volte ci ha portato al fascismo: ieri col volto di Mussolini, oggi col volto di Bossi, Cossiga, Segni e di altri imbroglioni politici.
Questo tipo di democrazia non ha niente di universale, e chi l’ha già conosciuta e sperimentata, come il proletariato e il popolo italiani, sa bene che ha un chiaro marchio di classe e che può essere superata solo dalla democrazia socialista, che significa democrazia per le masse e dittatura per la borghesia.
La democrazia socialista non è l’“estensione” della democrazia borghese, ma il suo superamento, il suo capovolgimento di segno e di pratica: mette al potere il proletariato e schiaccia la resistenza della borghesia rovesciata.
La democrazia borghese si fonda sulla proprietà privata, sulla legge del più forte, sulla libertà dei capitalisti e sull’oppressione dei lavoratori, sul parlamentarismo inconcludente e ingannatorio e sulla delega in bianco, sull’individualismo, sull’egoismo e sull’“arricchitevi”, mentre la democrazia socialista si fonda sulla proprietà collettiva, sull’altruismo rivoluzionario, sulla libertà dei lavoratori e sull’oppressione della borghesia, sull’autogoverno del popolo e sulla democrazia diretta, sullo spirito di servire il popolo, sull’obiettivo di emancipare il proletariato e tutta la società.
Se non si lotta per il socialismo sarà perciò impossibile liberarsi in un colpo dal neofascismo e dalla democrazia borghese, che genera costantemente il fascismo, protegge il sistema economico capitalistico e tiene oppresse le masse con le illusioni elettorali, parlamentari, pacifiste e costituzionali.
Noi siamo convinti che in Italia non c’è avvenire democratico, progressista, antifascista, anticapitalista e rivoluzionario, se non si apre la lotta per il socialismo. Noi siamo pronti e continueremo a lavorare affinché il proletariato e le nuove generazioni si risveglino e sotto le grandi e rosse bandiere del PMLI comincino a dare l’assalto al cielo. Non importa quanto tempo ci vorrà, ma prima o poi siamo certi che avverrà.
In ogni caso continueremo alacremente, e con più entusiasmo di prima a svolgere i nostri compiti rivoluzionari ripetendo fiduciosi con Mao che “il sistema socialista finirà col sostituirsi al sistema capitalista; è una legge obiettiva, indipendente dalla volontà dell’uomo. Per quanto i reazionari si sforzino di fermare la ruota della storia, prima o poi la rivoluzione scoppierà e sarà inevitabilmente vittoriosa” .(27)
Gloria eterna a Mao, grande Maestro del proletariato internazionale, delle nazioni e dei popoli oppressi!
Viva la rivoluzione proletaria e il socialismo!
Viva l’unità militante dei Partiti, delle Organizzazioni e dei Gruppi autenticamente marxisti-leninisti!
Viva l’internazionalismo proletario!
Firenze, 22 giugno 1993
 
 
NOTE
1) Citato in “Avanziamo lungo la via aperta dalla Rivoluzione socialista d’Ottobre”, articolo delle redazioni di “Quotidiano del popolo”, “Bandiera rossa” e “Quotidiano dell’Esercito di liberazione” del 6.11.67.
2) Sulla contraddizione, agosto 1937.
3) Discorsi alla Conferenza di Yenan sulla letteratura e l’arte, 23 maggio 1942.
4) Giudizi espressi nel ’75 e nel ’76.
5) Discorso alla Conferenza nazionale di propaganda del Partito Comunista Cinese, 12 marzo 1957.
6) Discorso alla II Sessione plenaria dell’VIII Comitato centrale del Partito Comunista Cinese, 15 novembre 1956.
7) Rapporto alla II Sessione plenaria del VII Comitato centrale del Partito Comunista Cinese, 5 marzo 1949.
8) Discorso alla Conferenza nazionale di propaganda del Partito Comunista Cinese, idem.
9) Bisogna avere una ferma fiducia nella maggioranza delle masse. Discorso alla XIII Sessione della Conferenza suprema di Stato, 13 ottobre 1957.
10) Citato in “La Grande rivoluzione culturale proletaria rifulgerà sempre in tutto il suo splendore”, articolo del “Quotidiano del Popolo”, 16 maggio 1976.
11) Discorso alla riunione di lavoro del Comitato centrale del Partito Comunista Cinese tenuta a Beidaihe nell’agosto del 1962 e alla X Sessione plenaria dell’VIII Comitato centrale del Partito comunista cinese del settembre 1962.
12) Citato in “Paese degli ibischi nel mattino scintillante”, articolo del “Quotidiano del Popolo”, 10 aprile 1968.
13) Circolare del Comitato centrale del Partito Comunista Cinese, 16 maggio 1966.
14) Citato in “Avanziamo lungo la via aperta dalla Rivoluzione socialista d’Ottobre”, articolo delle redazioni di “Quotidiano del Popolo”, “Bandiera rossa” e “Quotidiano dell’Esercito di liberazione”, 6 novembre 1967.
15) Citato in “Il falso comunismo di Krusciov e le lezioni storiche che dà al mondo, 14 luglio 1964.
16) Direttiva durante la Grande rivoluzione culturale proletaria.
17) Citato in “Tutto il paese deve diventare una grande scuola del pensiero di Mao Zedong”, articolo del “Quotidiano del Popolo”, 1° agosto 1966.
18) Citato in “Il falso comunismo di Krusciov e le lezioni storiche che dà al mondo”, idem.
19) Discorso a una Conferenza di lavoro allargata del Comitato centrale del Partito Comunista Cinese, 30 gennaio 1962.
20) Citato in “Nulla è impossibile al mondo, se si è decisi a scalare le vette”, articolo del “Quotidiano del Popolo”, 1° gennaio 1976.
21) Direttiva durante la Grande rivoluzione culturale proletaria.
22) Sulla giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo, 27 febbraio 1957.
23) Direttiva durante la Grande rivoluzione culturale proletaria.
24) Lettera alle Guardie rosse, 1° agosto 1966.
25) Citato in “Un faro per la Grande rivoluzione culturale”, articolo del “Quotidiano del Popolo”, 23 maggio 1966.
27) Intervento alla riunione del Soviet supremo dell’Urss per la celebrazione del 40° anniversario della Grande rivoluzione socialista d’Ottobre, 6 novembre 1957.