Perseguendo l'obiettivo di restaurare l'impero zarista
Il nuovo zar Putin annette alla Russia le quattro regioni occupate del Donbass
L'Anschluss putiniana delle 4 regioni ucraine analoga a quella hitleriana dell'Austria
Zelensky:"Finché c'è Putin al Cremlino non tratteremo mai"

 
Il nuovo zar Putin vuole restaurare l'impero russo, l'abbiamo subito denunciato allo scoppio della guerra di aggressione della Russia all'Ucraina, un obbiettivo spiegato nel suo discorso del 21 febbraio all'annuncio del riconoscimento dell'indipendenza delle repubbliche filorusse di Donetsk e Lugansk, confermato nell'altro discorso del 24 febbraio che dava il via all'invasione dell'armata neonazista, condito con una ricostruzione di comodo della nascita dell'Ucraina e delle cause della sua separazione dalla “madre Russia” e da minacce di impiego dell'arma nucleare contro qualsiasi potenziale nemico che osasse un attacco diretto alla Russia. A distanza di sette mesi il nuovo zar Putin si muoveva sulla stessa linea e nel discorso del 30 settembre dichiarava l'annessione alla Russia delle quattro regioni occupate del Donbass, in base agli esiti scontati dei referendum farsa, dichiarandoli parte della Russia e da difendere financo con le armi nucleari. Credeva di aver portato a casa almeno questo risultato, oramai il progetto di "denazificare" l'Ucraina è miseramente fallito sotto i colpi della resistenza e del fronte compatto dei paesi imperialisti occidentali a fianco del paese aggredito, e si dichiarava pronto al negoziato, che naturalmente a suo dire dovrebbe sancire l'avvenuta annessione.
Eppure solo due giorni dopo dovrà dire addio al controllo di un pezzo del suo nuovo impero zarista in Donbass, nell'area di Lyman a cavallo tra l'oblast di Kharkhiv e il Donbass di Donetsk liberata dall'esercito ucraino, che preparava il passo successivo della liberazione di altri territori lungo la direttrice verso le importanti città di Severodonetsk e Lysychansk, e perdere il controllo di altri territori occupati per una controffensiva ucraina nella regione di Kherson. Sul piano politico il nuovo zar incassava la ferma condanna di Kiev e le dichiarazioni del presidente Zelensky, "finché c'è Putin al Cremlino non tratteremo mai", che chiedeva anche l'accelerazione del percorso di adesione dell'Ucraina all'alleanza militare imperialista della Nato, sula scia dell'ingresso di Svezia e Finlandia. La questione della risposta alle minacce nucleari dell'imperialismo russo era compito di Usa e Nato che accettavano la sfida paventando secondo il consigliere per la sicurezza nazionale americano Sullivan "conseguenze catastrofiche" per la Russia, e non solo.
Nella Sala di San Giorgio del Cremlino si è svolta la cerimonia di firma dei trattati sull'ammissione alla Russia della Repubblica Popolare di Donetsk, della Repubblica Popolare di Luhansk, della Regione di Zaporozhye e della Regione di Kherson e sulla formazione di nuove entità costitutive della Federazione Russa, era l'annuncio trionfante di Mosca nel pomeriggio del 30 settembre che voleva spacciare come frutto di un percorso democratico quella che altro non era che una vergognosa annessione. L'Anschluss putiniana delle 4 regioni ucraine è analoga a quella hitleriana dell'Austria, dello stesso tipo di quella più recente dei nazisti sionisti di Tel Aviv dei territori palestinesi a Gerusalemme Est, in Cisgiordania e nei vicini Siria e Libano, una modifica dei confini sovrani attuata con la forza delle armi in violazione delle leggi internazionali che vorrebbe mettere il resto del mondo di fronte al fatto compiuto e non più modificabile.
Questo spera il nuovo zar russo che nella notte precedente aveva firmato i decreti che riconoscevano "l'indipendenza" delle zone di Kherson e Zaporizhzhia, allineandole alle due Repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk e nel pomeriggio, insieme ai capi delle amministrazioni filorusse di Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporizhzhia, firmava gli accordi per l'adesione alla Federazione Russa delle quattro regioni. Accordi che saranno sottoposti all'iter di approvazione delle due aule del parlamento e della Corte costituzionale russi.
Intanto Vladimir Putin nel discorso nella Sala di San Giorgio registrava il dato farlocco dei referendum farsa come una scelta inequivocabile, un diritto inalienabile del popolo che "si basa sull'unità storica, in nome della quale hanno vinto generazioni di nostri antenati, coloro che dalle origini dell'Antica Russia nei secoli hanno costruito e difeso la Russia. Qui, in Novorossia, Rumyantsev, Suvorov e Ushakov (due generali e un ammiraglio zaristi, ndr) combatterono, Caterina II e Potemkin fondarono nuove città". Ne sarebbero eredi "i nostri nonni e bisnonni hanno combattuto qui fino alla morte durante la Grande Guerra Patriottica" e gli eroi della "primavera russa", che si sono opposti "al colpo di Stato neonazista in Ucraina nel 2014". Insomma dietro "la scelta di milioni di persone nelle Repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk, nelle regioni di Zaporozhye e Kherson" che "si sono espressi per ripristinare la nostra storica unità", "c'è il nostro destino comune e una storia millenaria", ricostruita a suo uso e consumo su una linea che salta a piè pari l'Unione sovietica di Lenin e Stalin e va dal vecchio impero zarista a quello nuovo che vuole ricostruire sotto la sua corona.
Avvertiva "le autorità di Kiev e i loro veri padroni in Occidente" che gli abitanti delle 4 regioni "diventano nostri cittadini per sempre", fuorché gli almeno 25 civili, la maggior parte dei quali bambini e anziani, uccisi e altri 62 feriti nell'attacco missilistico russo su un convoglio di civili a Zaporizhzhia, un'altra strage. L'ennesima strage compiuta dell'armata neonazista russa proprio mentre Putin parlava e come nulla fosse accaduto chiedeva a Kiev di "cessare immediatamente il fuoco, tutte le ostilità, la guerra che ha scatenato nel 2014 e di tornare al tavolo dei negoziati", con l'oramai consueto ribaltamento dei ruoli tra gli aggressori russi impegnati nella cosiddetta "operazione militare speciale" e gli aggrediti ucraini. E assicurava che "difenderemo la nostra terra con tutte le nostre forze e i nostri mezzi", come se fosse la Russia quella costretta a difendersi, e rilanciava la minaccia dell'uso financo delle armi nucleari.
"La Russia è una grande potenza millenaria, un Paese di civiltà" (evidentemente riferendosi all'impero zarista), insisteva il nuovo zar che si scagliava contro l'Occidente "sinonimo di un ordine basato sulle regole" da lui stesso scritte e violate impunemente e assicurava che la Russia "non vivrà secondo queste regole truccate e fasulle" che bollano gli avversari con false etichette quali "regime autoritario", denunciava che "l'intero ordine mondiale unipolare (sotto la leadership Usa, ndr) è intrinsecamente antidemocratico e non libero, è falso e ipocrita fino in fondo", strizzando l'occhio al più forte alleato imperialista e guida dell'imperialismo dell'Est, la Cina del nuovo imperatore Xi Jinping e alla posizione dell'ordine mondiale multipolare sotto la leadership di Pechino che è identico a quello nemico.
Nella parte finale del suo discorso il nuovo zar Putin accusava gli imperialisti dell'Ovest di puntare allo scontro diretto con la Russia, fino alla guerra, e come se non fosse stato proprio lui l'artefice della guerra in Ucraina e delle ripetute minacce nucleari assicurava che "la Russia comprende la sua responsabilità nei confronti della comunità mondiale e farà di tutto per far rinsavire queste teste calde", che sono identiche a quelle imperialiste al Cremlino. Al momento ha sbattuto il muso sulla resistenza dell'esercito e del popolo ucraino grazie alle armi e al sostegno di Usa e Nato ma non si rassegnava a rinunciare ai suoi progetti imperiali e dopo aver tuonato che "il crollo dell'egemonia occidentale che è iniziato, è irreversibile", ricorreva ai toni lirici per motivare il popolo russo, che anche con quella parte in fuga dal recente richiamo alle armi ha evidenziato la sua opposizione: "il campo di battaglia a cui il destino e la storia ci hanno chiamato è il campo di battaglia per il nostro popolo, per una grande Russia storica". E chiudeva con una citazione "del vero patriota Ivan Aleksandrovich Ilyin", il filosofo reazionario e monarchico che appoggiò il fallito tentativo controrivoluzionario delle guardie bianche contro la Rivoluzione d'Ottobre, un feroce antisovietico e anticomunista che avrebbe salutato Hitler come il difensore dal bolscevismo e guardato alla liberazione della Russia comunista realizzata grazie all'aiuto del fascismo cristiano: "'Se considero la mia patria come la Russia, significa che amo, contemplo e penso, canto e parlo alla maniera russa; che credo nei poteri spirituali del popolo russo. Il suo spirito è il mio spirito; il suo destino è il mio destino; la sua sofferenza è il mio dolore; la sua fioritura è la mia gioi a'. Dietro queste parole c'è una grande scelta spirituale, che per più di mille anni di storia dello Stato russo è stata seguita da molte generazioni di nostri antenati.” La Russia che vuole imporre Putin non è nient'altro che la restaurazione dell'impero zarista di Pietro il Grande. Un delirio nazionalista e imperialista: “Per una grande Russia storica, per le generazioni future, per i nostri figli, nipoti e pronipoti.” Ecco a cosa guarda Putin.
Ilyin è fra gli ispiratori di Putin come Alexander Dugin che non faceva mancare il suo pronto appoggio via Telegram scriveva che "Vladimir è come Davide contro Golia il suo è un manifesto della Tradizione", "le parole di Putin sono molto più importanti dell'unità con i quattro nuovi soggetti: è una netta dichiarazione di guerra all'Occidente e al mondo moderno in generale. È un manifesto della Tradizione. Non riesco a immaginare la profondità delle conseguenze. È così che il Davide dell'Antico Testamento lanciò la fiondata contro il gigante Golia. È stato un discorso escatologico, religioso".
A Putin si allineava unanimemente la Duma di Mosca, la Camera bassa del Parlamento russo che accelerava i tempi e già il 3 ottobre approvava all'unanimità i trattati per l'annessione delle regioni ucraine di Kherson, Donetsk, Zaporizhzhia e Lugansk.
L'Ucraina non negozierà con la Russia finché Vladimir Putin ne sarà il presidente, rispondeva a tambur battente il presidente ucraino Volodymyr Zelensky in un video su Telegram, "l'Ucraina è la prima a voler negoziare. Abbiamo sempre offerto alla Russia un accordo sulla convivenza a condizioni eque, oneste e dignitose. Ma è ovvio che questo è impossibile con questo presidente russo. Non sa cosa siano la dignità e l'onestà. Pertanto, siamo pronti per un dialogo con la Russia, ma quando avrà un altro presidente". A Mosca che "cerca di rubare qualcosa che non le appartiene, vuole riscrivere la storia e ridisegnare i confini con omicidi, abusi, ricatti e bugie" e con la farsa dei referendum definiti "elementi di aggressione contro uno Stato sovrano" rispondeva che "l'Ucraina non lo permetterà", "l'intero territorio del nostro Paese sarà liberato dal nemico".
Il Consiglio di sicurezza dell'Onu del 27 settembre iniziava la discussione che lo avrebbe portato tre giorni dopo a discutere un progetto di risoluzione presentato dall'Albania e dagli Stati Uniti dove si dichiarava che i referendum svoltisi dal 23 al 27 settembre in alcune parti dei territori ucraini occupati non sono validi né costituiscono la base per alcuna alterazione dello status di queste regioni dell'Ucraina, inclusa qualsiasi presunta annessione da parte della Federazione Russa. La bozza invitava tutti gli Stati, le organizzazioni internazionali e le agenzie specializzate a non riconoscere alcuna alterazione dello status di queste regioni ucraine, né la loro presunta acquisizione da parte della Federazione Russa e chiedeva alla Federazione Russa di "cessare immediatamente la sua invasione illegale e su larga scala dell'Ucraina e ritirare immediatamente, completamente e incondizionatamente tutte le sue forze militari dal territorio dell'Ucraina all'interno dei suoi confini internazionalmente riconosciuti per consentire una risoluzione pacifica del conflitto". Il parere dell'Onu e la sua possibilità di decidere misure vincolanti per gli Stati mambri erano vanificati dal veto della Russia, l'unica a opporsi fra i 15 membri del Consiglio ma non del tutto isolata nell'occasione dall'astensione di Brasile, Cina, Gabon e India, parte di quello schieramento che si era astenuto anche nella riunione di marzo sulla risoluzione di condanna nei confronti di Mosca per l'invasione dell’Ucraina. Che assieme alla Turchia hanno comunque annunciato che non riconosceranno i risultati dei referendum né l’annessione da parte di Mosca.
La condanna unanime dello schieramento dei paesi imperialisti dell'Ovest e la messa in campo di nuove sanzioni avanzata dagli Usa faceva da corollario alle misure militari discusse in sede Nato. Nella conferenza stampa del 30 settembre il Segretario Generale dell'alleanza militare imperialista Jens Stoltenberg si nascondeva dietro un dito giurando che "la Nato non è parte in causa nel conflitto" purtuttavia denunciava il passo dell'aggressore Putin come "il più grande tentativo di annessione di un territorio europeo con la forza dalla Seconda guerra mondiale".
"Chiediamo al Presidente Putin di porre fine alla guerra - dichiarava Stoltenberg -. È responsabile dell'inizio della guerra e ha la responsabilità di porvi fine. Perché se la Russia smette di combattere, ci sarà la pace. Se Zelenskyy e gli ucraini smettono di combattere, l'Ucraina cesserà di esistere come nazione indipendente. Quindi non stiamo parlando in modo paritario. Abbiamo un aggressore, la Russia, e un Paese vittima dell'aggressione, l'Ucraina. E questo è anche il motivo per cui sosteniamo così chiaramente l'Ucraina. Le annessioni illegali del territorio ucraino non cambiano la natura di questa guerra. Rimane una guerra di aggressione da parte della Russia contro l'Ucraina".

5 ottobre 2022