In provincia di Pavia
15 ore di lavoro 7 giorni su 7
A Prato scoperti 100 lavoratori in nero e 159 irregolari

Costretti a lavorare giorno e notte,anche 15 ore filate: niente giorni liberi, nessuna pausa, stipendi miserevoli. Era quanto succedeva in tre calzaturifici di Vigevano, il grosso centro in provincia di Pavia e alle porte di Milano. Una tempo questa città era definita “la capitale italiana della scarpa” perché vi si trovavano un migliaio di aziende del settore.
Adesso ne rimangono poche, in buona parte in mano ad imprenditori cinesi, come le tre ditte unipersonali in questione, che sfruttavano a cottimo e in nero la manodopera, anch'essa di origine orientale. Le indagini della Procura di Pavia sono state complesse perché gli indagati agivano attraverso prestanome. Figure di comodo mai presenti, che avevano lo scopo di occultare la vera direzione aziendale. Le tre ditte cambiavano spesso denominazione, ragione sociale e partita Iva. Tutto questo serviva sempre per ostacolare le verifiche da parte delle autorità competenti.
Le cose, però, rimanevano immutate: la produzione continuava con lo stesso sistema, quello della sopraffazione. Attraverso le telecamere di sorveglianza nascoste all’interno degli opifici gli inquirenti hanno potuto dimostrare come i turni fossero senza pause, mai lunghi meno di 10 ore, a volte anche di 15. I dipendenti ricevevano compensi irrisori, ben al di sotto della soglia fissata dai contratti collettivi nazionali di categoria. Non venivano pagati ad ore, ma in funzione dei pezzi prodotti, cioè a cottimo. Un registro annotava tutto.
Oltretutto nessuno in fabbrica, fuorché i padroni, sapeva la lingua italiana: una condizione che vincolava sia all’omertà (nessuno poteva raccontare fuori cosa succedesse all’interno delle tre fabbriche) sia a rimanere a lavorare lì, nonostante tutto. I tre cittadini cinesi dovranno rispondere dei reati di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.
Questa l'inchiesta lombarda di alcuni giorni fa. Contemporaneamente nella provincia di Prato venivano scoperti 100 lavoratori in nero e 159 irregolari, sopratutto nel settore manifatturiero, più marcatamente caratterizzato da fenomenologie illecite e predominante nella città toscana, ma anche nella ristorazione, nel commercio al dettaglio e nei servizi alla persona.
Ben 26 imprenditori sono stati segnalati ai competenti uffici dell’INPS e dell’Ispettorato del Lavoro per irregolarità contributive e previdenziali nonché violazioni in materia di sicurezza. Tre di essi sono stati denunciati alla locale Procura delle Repubblica per sfruttamento del lavoro, in quanto imponevano regimi di lavoro non rispondenti a quelli previsti dalla vigente contrattazione collettiva e si erano avvalsi di manodopera sistematicamente sottopagata e sottoposta al ricatto del licenziamento senza tutele.
I Finanzieri hanno inoltre proposto all’Ispettorato Territoriale del Lavoro di Prato la sospensione dell’attività di 10 imprese, avendo riscontrato che almeno il 10% dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro risultava occupato, al momento dell’accesso ispettivo, senza la preventiva comunicazione di instaurazione del relativo rapporto, cioè lavoravano a nero.
Che la condizione dei lavoratori a Prato, specie immigrati, vada ben oltre il “normale” sfruttamento capitalistico è cosa nota a tutti. Nel tempo tante aziende tessili sono state cedute a imprenditori cinesi che fanno lavorare a condizioni di semi-schiavitù altri migranti, specie pachistani e cingalesi, per poi immettere sul mercato i prodotti che escono dai capannoni con il marchio made in Italy ma lavorati in condizioni da terzo mondo. Sarebbe però un errore considerare queste gravi violazioni dei diritti dei lavoratori come “situazioni particolari”. Lo sfruttamento del lavoro nero è molto diffuso in Italia, favorito dalle leggi anti-immigrazione che rendono tanti lavoratori degli “irregolari” facilmente ricattabili.
E sono coinvolti padroni sia italiani che stranieri, come dimostra la denuncia di questi giorni da parte del Si Cobas proprio a Prato. Il sindacato è in possesso di un audio di cui rivendica l’autenticità tanto da annunciare di volerlo portare come prova di fronte all’Ispettorato dal lavoro. Nel file si può ascoltare un uomo italiano, dal marcato accento toscano, che in modo beffardo chiede agli operai perché si siano iscritti al sindacato, applaudendo la loro scelta con fare sarcastico. "Come mai siete andati al sindacato? Non va mica bene. Il contratto per ora è così". E ancora: "Se vuoi lavorare qui è così". L’operaio controbatte: "Dodici ore, basta capo", per dire che non intendono più svolgere turni massacranti. E di rimando il padrone: "Ma io te le pago, dopo i soldi extra si danno a nero".

19 ottobre 2022