Cento anni fa e oggi
La marcia su Roma di Mussolini e la marcia su Roma della Meloni

A 100 anni esatti dalla marcia su Roma, che permise a Mussolini di conquistare il potere e impiantare la dittatura fascista, si è completata anche la nuova marcia su Roma dei suoi eredi, iniziata nel 1946 con la fondazione del MSI dei reduci repubblichini guidati dal fucilatore di partigiani Almirante, e conclusa oggi dall'ascesa a Palazzo Chigi della neofascista Giorgia Meloni. Si tratta di una nuova marcia su Roma senza camicie nere, gagliardetti con teschi, manganelli e olio di ricino, ma ciò non autorizza, come fanno tutti i partiti della destra e della “sinistra” borghesi e tutti i media di regime in coro, a fingere di non vedere le molte e impressionanti analogie con quella del 1922.
Per quanto riguarda le differenze, a parte quelle dei simboli e delle forme esteriori, la prima fu un colpo di stato cruento, un atto di sovversione violenta del vecchio stato liberale in disfacimento, proseguita per qualche tempo in forma parlamentare e infine con la dittatura fascista aperta. La seconda è invece una marcia elettorale e parlamentare con cui gli eredi di Mussolini, partendo da una posizione marginale in parlamento e nel Paese, sono arrivati oggi, con Fratelli d'Italia che è un'evoluzione del vecchio MSI di Almirante e di Alleanza Nazionale del fascista ripulito Fini, a prendere per via elettorale la testa di una democrazia parlamentare già trasformata da tempo in regime capitalista neofascista; e dunque già una dittatura fascista di fatto, a cui manca solo l'ultimo tassello della repubblica presidenziale per essere completata.
All'attuale seconda repubblica capitalista neofascista, federalista e interventista, già preconizzata dalla P2 di Licio Gelli e dallo stesso MSI, che ha sostituito la vecchia prima repubblica nata dalla Resistenza, dopo la stagione preparatoria delle stragi di Stato e del terrorismo nero e sedicente “rosso”, si è arrivati dopo i governi Craxi e Berlusconi e con il contributo di tutti i successivi governi di “centro-destra” e di “centro-sinistra”, che hanno stracciato e stravolto pezzo per pezzo la Costituzione del 1948 aggiungendo sempre nuovi elementi al regime neofascista, compreso il governo del banchiere massone Draghi insediato con un golpe bianco da Mattarella.
 

Alfiera del motto fascista “Dio, patria, famiglia”
Ma se diverse sono le forme esteriori e diversi i percorsi, identiche sono invece le finalità politiche, le concezioni ideali e la dottrina che ispirano la nuova marcia su Roma alla vecchia, ovviamente aggiornate e adattate alla situazione e ai tempi attuali. Com'è emerso, ancor prima della formazione del governo, già dall'elezione della seconda e terza carica dello Stato: rispettivamente il fascista doc, già capo della destra eversiva milanese all'epoca dello stragismo nero e della “strategia della tensione”, Ignazio Benito La Russa, e del leghista cattolico reazionario, omofobo e putiniano Lorenzo Fontana. E com'è emerso chiaramente dal discorso meloniano di presentazione al parlamento e dalle sue repliche agli interventi alla Camera e al Senato, nonché dai primissimi atti del suo esecutivo neofascista.
Tra i principali elementi che la accomunano a Mussolini c'è sicuramente il trinomio “Dio, patria e famiglia”: nel ribadire che l'Italia fa parte dell'Occidente e del suo sistema di alleanze, Meloni si è richiamata infatti alle “radici giudaico-cristiane” dell'Europa, ha definito sé stessa e tutti gli italiani “eredi di San Benedetto”, patrono dell'Europa, e ha detto di essere stata ispirata dal papa nero Woityla, “uno statista, un Santo che io ho avuto l'onore di conoscere personalmente”. Nei suoi discorsi usa sempre la parola “Nazione” al posto di “Paese”, riportando non a caso in auge il nazionalismo, da cui nacque il fascismo, anche rinominando in questa chiave i ministeri come quelli dello Sviluppo economico e del Made in Italy, dell'Agricoltura e della Sovranità alimentare. Così come, ispirandosi alla concezione fascista della famiglia e alla scuola classista gentiliana, ha fatto aggiungere la “natalità” al ministero della Famiglia e il “merito” al ministero dell'Istruzione.
Anche nei confronti delle donne, pur vantandosi di essere la prima donna a salire a Palazzo Chigi e aver rotto con ciò il “tetto di cristallo” che impedisce alle donne di accedere ai “piani alti”, mantiene una concezione maschilista della famiglia e della società, non pronuncia mai la parola emancipazione della donna, e anzi ha ribadito che la famiglia è “nucleo primario delle nostre società, culla degli affetti e luogo nel quale si forma l'identità di ognuno di noi”, e che va sostenuta economicamente e anche culturalmente, insieme alla natalità, “per riscoprire la bellezza della genitorialità e rimettere la famiglia al centro della società”. E di conseguenza confinando ancor più la donna nel ruolo di moglie, casalinga e madre; salvo che non si tratti di donne borghesi in carriera, nel qual caso tra le figure ideali a cui ispirarsi possono scegliere tra Oriana Fallaci, Marta Cartabia ed Elisabetta Casellati. Lo stesso insistere sull'essere appellata “il presidente del Consiglio” al maschile, non è un suo puntiglio formale ma un voler andare apertamente controcorrente alle rivendicazioni femminili paritarie, proclamando con ciò di non aspirare a cambiare il mondo maschilista della politica ma semmai a dominarlo. Esattamente come hanno agito leader politiche quali Eva Peron e la Thacher, per esempio.
 

Finte abiure, presidenzialismo, “ordine e sicurezza”
Le sue prese di distanza dal fascismo sono solo formali e ambigue, sostenendo come fa sempre che si tratterebbe ormai di un fenomeno “da consegnare alla storia”. Anche in parlamento ha fatto lo stesso, liquidando frettolosamente il giudizio sul fascismo in una frasetta per dire che lei non ha “mai provato simpatia o vicinanza nei confronti dei regimi antidemocratici , fascismo compreso”, e che le leggi razziali del 1938 sono state “il punto più basso della storia italiana”. Appena quanto basta per ingraziarsi la comunità ebraica, e solo per scagliarsi subito dopo - saltando a pie' pari l'infamia della guerra fascista al fianco dei nazisti, la Resistenza e l'intera sanguinosa stagione dello stragismo fascista – contro “l'antifascismo militante”, in nome del quale “ragazzi innocenti venivano uccisi a colpi di chiave inglese”.
Meloni si propone di realizzare in questa legislatura la repubblica presidenziale già propugnata da Almirante e dalla P2, con le buone o con le cattive: “Siamo fermamente convinti del fatto che l'Italia abbia bisogno di una riforma costituzionale in senso presidenziale. Una riforma che consenta all'Italia di passare da una 'democrazia interloquente' a una 'democrazia decidente'”, ha detto infatti nel suo intervento alla Camera nel dibattito per la fiducia. E roteando intorno gli occhi con aria minacciosa ha aggiunto: “Vogliamo confrontarci su questo con tutte le forze politiche presenti in Parlamento, per arrivare alla riforma migliore e più condivisa possibile. Ma sia chiaro che non rinunceremo a riformare l'Italia, se ci trovassimo di fronte opposizioni pregiudiziali”.
Del suo presidenzialismo sono parte integrante l'autonomia differenziata, per soddisfare la Lega e le borghesie delle regioni più ricche del Nord a spese del resto del Paese; la controriforma neofascista della giustizia, con la separazione delle carriere dei magistrati, il ripristino dell'immunità parlamentare e la subordinazione dei pm al governo; e una nuova e più drastica stretta alla “sicurezza”, di cui si è avuto subito un eloquente assaggio con la manganellatura degli studenti della Sapienza, la ripresa della politica di persecuzione dei migranti e delle navi delle ong che li soccorrono in mare e il decreto urgente del ministro dell'Interno Piantedosi per vietare i Rave giovanili, che si presta a restringere anche il diritto di assemblee, scioperi e manifestazioni. Lo stesso ministro che come prefetto di Roma lasciò liberi gli squadristi di Forza Nuova e i no vax di assaltare e devastare la sede della Cgil, e che non ha mosso parimenti un dito per impedire a norma della legge Scelba l'infame adunata fascista del 28 ottobre a Predappio.
 

Paternalismo fascista verso i giovani
Nei confronti dei giovani, poi, la Meloni ostenta un viscido paternalismo, dicendo come ha fatto in parlamento che “io sarò sempre dalla loro parte”, anche se manifesteranno contro il suo governo, perché “io vengo dalla militanza giovanile”. Ma intanto, rimbeccando le critiche della senatrice Cucchi, ha sottoscritto l'aggressione poliziesca agli studenti della Sapienza, e ha ribadito la sua visione fascistoide del mondo giovanile preda della “crescente emergenza delle devianze, fatte di droga, alcolismo, criminalità”, da cui non si esce con “la cannabis libera”, ma con “lo sport, straordinario strumento di socialità, formazione umana e benessere”, e quando necessario menando anche il manganello e vietando i raduni.
Inoltre la sua difesa del “merito” nella scuola, che a suo dire è “fratello dell'uguaglianza”, mira esattamente al contrario: a ripristinare cioè la scuola di classe di ispirazione gentiliana, con una scuola d'eccellenza per i figli della borghesia e una scuola di serie B per i figli del popolo, aggiungendo un'impronta fascista all'aziendalizzazione dell'istruzione pubblica portata avanti dai governi precedenti; in particolare dalla “Buona scuola” di Renzi, che non a caso ha lodato l'apologia meloniana del “merito”. Anche sull'ecologia, un tema assai sentito dai giovani perché riguarda il loro futuro, Meloni li snobba distinguendosi da “certo ambientalismo ideologico” perché “noi vogliamo difendere la natura con l'uomo dentro”. E non a caso ha ribattezzato il ministero della Transizione ecologica in quello della Sicurezza energetica, facendo capire che prima viene questa, e poi se avanza qualcosa anche quell'altra. Immaginando, dunque, l'Italia come una fortezza da militarizzare piuttosto che un Paese che deve contribuire a uscire dalla dipendenza dalle fonti fossili.
 

Dalla parte dei capitalisti, autonomi ed evasori
Con Meloni e i neofascisti al potere il regime capitalista neofascista ha oggi i suoi amministratori ideali, esattamente come 100 anni fa gli industriali e i latifondisti agrari che finanziarono lo squadrismo e la marcia su Roma lo ebbero in Mussolini e nelle sue camicie nere. La leader neofascista ha messo subito in chiaro infatti da che parte sta: da quella dei capitalisti e del liberismo economico, innanzi tutto, promettendo “meno burocrazia”, “meno regole e più chiare”, e che “il motto di questo governo sarà: 'non disturbare chi vuole fare'”. Via il Reddito di cittadinanza e niente salario minimo: I salari in Italia sono bassi perché le tasse alle aziende sono troppo alte, è la sua tesi. Perciò sposa in toto la proposta confindustriale del taglio del cuneo fiscale, per un terzo a favore delle aziende. Niente aumenti salariali collettivi, bensì si punterà sui premi di produzione, i benefici accessori, il welfare aziendale ecc.
Quanto all'occupazione, nemmeno una parola sulla piaga del lavoro precario, ma solo la promessa di altri soldi pubblici agli imprenditori per incentivare le assunzioni, in base al principio “più assumi meno paghi”. E poi è dalla parte degli evasori fiscali e dei lavoratori autonomi (“asse portante dell'economia italiana”), che alimentano il bacino elettorale della destra, a cui promette la flat tax, l'aumento del tetto all'uso del contante che incentiva l'economia sommersa e il riciclaggio, e un altro condono, che chiama ipocritamente “tregua fiscale”.
Di ispirazione mussoliniana sono anche il suo piglio presidenzialista, l'insofferenza nei confronti delle critiche ricevute e la sua oratoria sapientemente derisoria che sale di tono facendosi torva e minacciosa, mostrando che il suo vero carattere non è quello “misurato e istituzionale” esibito ad uso dei sospettosi consessi internazionali, ma quello dei comizi davanti ai suoi manipoli e ai camerati franchisti di Vox. Come il disprezzo razzista che non è riuscita a celare quando, in risposta all'intervento del deputato Aboubakar Spumahoro, gli si è rivolta con un tono irriguardoso di supponenza e dandogli del tu. E come quando ha risposto, sprizzando odio e stizza da tutti i pori e attribuendogli atti palesemente inventati, all'intervento in Senato dell'ex procuratore generale Roberto Scarpinato, eletto nelle liste del M5S: l'unico in tutto il parlamento che ha avuto il coraggio di smascherare la sua falsa presa di distanza dal fascismo e denunciare il suo neofascismo, il suo disegno presidenzialista e la pretesa vocazione antimafiosa, vista la presenza di Berlusconi nella sua maggioranza.
 

Fronte unito contro il governo neofascista Meloni
Come i partiti liberali e riformisti dell'epoca stettero ad assistere rassegnati e impotenti all'ascesa di Mussolini, così le opposizione di cartone non hanno avuto il coraggio di denunciare il disegno neofascista del governo. Il segretario del PD, Letta, che in campagna elettorale chiedeva i voti per scongiurare il “pericolo per la democrazia”, ha offerto addirittura collaborazione “senza ambiguità” a Meloni su temi “nell'interesse del nostro Paese”, come sulle armi all'Ucraina; mentre la capogruppo PD al Senato, Malpezzi, ha aggiunto che sulla politica estera “lei scoprirà presto che saremo noi gli interlocutori più affidabili e non certo i suoi alleati”, e come donna ha definito “un'immagine storica e potente” vederla sfilare davanti al picchetto d'onore di Palazzo Chigi.
Il trasformista liberale e “neopacifista Conte” ha insistito soprattutto sulla “continuità” del governo Meloni con quello di Draghi, che le avrebbe trasmesso anche la sua agenda. Mentre Renzi si è addirittura esibito nello sbeffeggiare il PD, mandando più volte in visibilio la stessa Meloni, Salvini, Berlusconi e i banchi della destra, e offrendole, come ha fatto anche il suo compare Calenda, l'appoggio sulle “riforme costituzionali”, e in particolare sull'elezione diretta del presidente del Consiglio. E come il Re accolse Mussolini e gli consegnò le chiavi del governo, così anche Mattarella e Draghi hanno accolto Meloni appena compiuta vittoriosamente la sua marcia su Roma, proteggendola, consigliandola e garantendo per lei con gli alleati di Bruxelles e Washington. Venendo ripagati, anche nel suo discorso in parlamento, con ampie rassicurazioni che l'Italia “è a pieno titolo parte dell'Occidente e del suo sistema di alleanze, Stato fondatore dell'Unione europea, dell'Eurozona e dell'Alleanza atlantica, membro del G7”, e che “continuerà a essere partner affidabile in seno all'Alleanza atlantica”.
Contro questo governo neofascista occorre pertanto costruire un'opposizione di massa intransigente, unendo tutte le forze anticapitaliste, antifasciste, democratiche e progressiste disposte a lottare per farlo cadere quanto prima possibile, ispirandosi all'esempio imperituro della Resistenza e dei partigiani. In ogni caso, come ha dichiarato il nostro Segretario generale, compagno Giovanni Scuderi, contro il governo neofascista Meloni: “Il PMLI farà un’opposizione di classe anticapitalista e antifascista, per i diritti sociali, civili, di genere, immigrati, per la giustizia sociale e climatica, per il socialismo e il potere politico del proletariato”.
Seguendo l'invito del Comitato centrale del PMLI: “Uniamoci contro il governo neofascista Meloni. Finché non si riuscirà ad abbattere il governo neofascista Meloni bisogna rimanere uniti, poi ognuno andrà per la propria strada. Il PMLI andrà fino in fondo sulla via dell'Ottobre verso l'Italia unita, rossa e socialista.”


2 novembre 2022