Analizzando i dati Istat
Le Marche prime in Italia per la più alta incidenza dei contratti intermittenti
La maggior parte degli inattivi in età da lavoro sono donne (61,3%)

Come in gran parte del paese anche nelle Marche la disoccupazione lascia il segno nel tessuto economico e produttivo regionale rappresentando una vera e propria spina nel fianco per lo sviluppo e per il futuro dei giovani. La regione risulta la prima in Italia per la più alta incidenza dei contratti intermittenti (17,4% contro la media nazionale dell’8,8%). Secondo la CGIL Marche infatti sono molti, anzi troppi, i lavoratori in sofferenza da tempo a causa di contratti sempre più precari e senza diritti con retribuzioni molto basse o da fame.
Secondo i dati diffusi recentemente dall’ISTAT si nota infatti che nei primi sei mesi del 2022 le aziende marchigiane registrano 124.306 assunzioni (+21,3%) rispetto allo stesso periodo 2021 (+22.000). Sempre nello stesso lasso di tempo, le cessazioni dei rapporti di lavoro sono state 84.415, +31,7% rispetto al 2021. Effettuando quindi un rapporto tra assunzioni-cessazioni si otterrà un saldo che nella sua complessità è positivo (+35.891) ma si riducono sempre di più le assunzioni a tempo indeterminato, ormai no scarno 12,1%. Il tasso d’inattività si attesta al 29,5%. Gli inattivi in età da lavoro sono 273 mila, per la maggior parte donne (61,3%), e anch’essi osservano una diminuzione generale del 2,9% rispetto al II trimestre 2021. Ma la contrazione è ascrivibile alle sole forze di lavoro potenziali (-18 mila unità), mentre si registra un aumento di 10 mila inattivi che non cercano e non sono disponibili a lavorare, che risulta più marcato rispetto al Centro e all’Italia nel complesso.
 

I morsi della crisi economica
Secondo i dati delle organizzazioni sindacali confederali CGIL, CISL e UIL in tutta la regione Marche, hanno chiuso oltre 2.700 aziende (-1,8%). Nel Piceno, in particolare nella provincia di Fermo, la crisi riguarda soprattutto gli artigiani terzisti. Quasi 3.000 aziende, da ottobre 2021 ad oggi, hanno chiuso definitivamente la propria attività. Quelle che ancora provano a resistere sono in difficoltà perché hanno visto triplicare i costi delle materie prime già in autunno, con la coda della crisi pandemica, e ora fanno i conti con il mercato russo bloccato dalla guerra in Ucraina. Stando ai dati della Uil Marche, 364 aziende artigiane hanno fatto richiesta di ammortizzatori sociali nel mese di marzo; di queste, oltre 120 sono della provincia di Fermo e ben 83 lavorano nel calzaturiero e nel tessile, il comparto che oggi soffre di più. In totale, dall’inizio dell’anno, nelle province di Fermo ed Ascoli Piceno, sono state autorizzate oltre 1 milione di ore di Cig (Cassa Integrazione Guadagni) tra ordinaria, straordinaria e in deroga. Circa il 70% è stato richiesto da aziende del tessile, dell’abbigliamento e del calzaturiero. Un’incidenza che, nel mese di marzo, è salita all’82% delle 347mila ore autorizzate.
 

Carenza di infrastrutture tra le cause della mancanza di lavoro
Le Marche sono da sempre una regione profondamente penalizzata dalla mancanza di infrastrutture. Questa lacuna condiziona non poco la vita e lo sviluppo economico della regione stessa. Infatti se l’autostrada A14 e la ferrovia (linea adriatica) permettono un discreto collegamento tra il nord e il sud della regione, non si può dire altrettanto per gli spostamenti da est ad ovest e viceversa. L’entroterra è carente di vie di comunicazione sicure che lo colleghino con la costa mentre le uniche strade presenti sono obsolete, pericolose e necessitano da anni di manutenzione ordinaria e straordinaria. La superstrada Fano-Grosseto (detta “la superstrada dei due mari”) è una delle eterne incompiute che aspetta da 60 anni di essere ultimata. Al di là del giudizio che se ne può dare.
Discorso analogo riguarda le linee ferroviarie che nell’entroterra di fatto non esistono a causa di chiusure indiscriminate (vedi la linea Fano-Urbino) e mancate attuazioni di progetti, mentre quelle poche ancora in servizio presentano problematiche di ammodernamento ed elettrificazione. L’unico aeroporto è quello di Falconara, vicino ormai al collasso economico, mentre i numerosi porti industriali e pescherecci, sparsi in tutta la regione, rischiano l’insabbiamento a causa del mancato dragaggio. Va tenuto presente che la regione non possiede alcun piano di investimento e infrastrutturale. Tutto questo è dovuto principalmente a finte politiche ecologiste del PD, che in vent’anni di governo regionale, hanno portato alla costruzioni di inutili piste ciclabili, molto dispendiose da un punto di vista economico e non fruibili dal grosso della popolazione, trascurando i veri problemi della regione ed evidenziando una totale mancanza di contatto e legame col territorio e in particolare col proletariato e le masse popolari marchigiane.
 

Terremoto e dissesto idrogeologico
A questo quadro molto complesso dal punto di vista lavorativo si aggiungono poi le tragedie del terremoto del 2016, di cui ancora si aspetta un vero e proprio piano di ricostruzione e l’alluvione dello scorso 14 settembre che, oltre ad aver causato la perdita di numerose vite umane, ha messo in luce la fragilità del territorio regionale tagliando definitivamente le gambe alle poche aziende che resistevano in zona.
 

Il socialismo è unica soluzione
L’unica via di salvezza per le Marche, come per il resto dell’Italia, è ovviamente il socialismo. Solo quest’ultimo infatti può attuare una serie di politiche volte allo sviluppo economico, infrastrutturale e sociale delle masse marchigiane. Il socialismo è il sistema politico, economico e sociale più avanzato e progredito mai esistito nella storia umana che elimina ogni genere di disuguaglianza, lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e anche ciò che nelle Marche è un fattore negativo storico, rappresentato dalla differenza tra costa ed entroterra e tra città e campagna.
Francesco - provincia di Pesaro Urbino

9 novembre 2022