Scuderi: Seguiamo l’esempio e gli insegnamenti di Mao

Qui di seguito pubblichiamo l'illuminante discorso pronunciato da Giovanni Scuderi, Segretario generale del PMLI, a nome del Comitato centrale del Partito, il 19 dicembre 1993 al Palazzo dei Congressi di Firenze, in occasione del centenario della nascita di Mao, il grande maestro del proletariato internazionale che il PMLI considera un modello di marxista-leninista perché ha dimostrato nella sua vita che è possibile trasformare il mondo e sé stessi. Qualsiasi siano le nostre origini e le imprese che siamo chiamati a vincere.
Quantunque sia stato scritto 29 anni fa, questo discorso è di grande attualità perché fa luce sia sul cordone ombelicale che lega il PMLI a Mao, un rapporto speciale e fecondo che ha reso unico il nostro Partito nel panorama nazionale e internazionale, sia in riferimento a svariate questioni ideologiche e politiche, come la necessità di capire che nessun autentico combattente per il socialismo deve guardare alla Costituzione borghese italiana come a un faro entro cui imprigionare il proprio sguardo, il proprio cammino e soprattutto i propri ideali e obiettivi, che rimangono antitetici a quelli della borghesia e del suo sistema economico e politico capitalistico.
La situazione politica nazionale di oggi è certamente diversa da quella di allora eppure il discorso di Scuderi è ricco di stimoli e di inesauribili insegnamenti, prima fra tutti la necessità di integrare il marxismo-leninismo-pensiero di Mao con la realtà concreta in cui operiamo. E non ci rimane che augurarci che la lettura e lo studio di questo discorso possano aiutare i marxisti-leninisti a capire meglio quei principi, modalità e tattiche che assicurano l'integrazione tra i principi universali del marxismo-leninismo-pensiero di Mao e le condizioni concrete e mutevoli della rivoluzione socialista italiana.
 
Compagne e compagni, amiche e amici,
animati da profondi sentimenti di riconoscenza e dallo spirito militante e internazionalista proletario, siamo oggi qui riuniti su invito del Comitato centrale del PMLI, a nome del quale mi onoro di parlare, per celebrare il centenario della nascita di Mao Zedong.
Onoriamo Mao che ha liberato il popolo cinese, un quarto dell’umanità, dal feudalesimo, dal colonialismo e dal capitalismo, aprendo prospettive nuove alla rivoluzione mondiale, in particolare alla rivoluzione dei popoli del Terzo mondo.
Onoriamo Mao che per 27 anni ha fatto brillare il socialismo in Cina, ha assestato colpi devastanti all’imperialismo, al socialimperialismo e a tutta la reazione mondiale.
Onoriamo Mao che ha difeso, continuato e sviluppato il marxismo-leninismo in tutti i campi e che ha elaborato, per la prima volta nella storia, la teoria della continuazione della rivoluzione sotto la dittatura del proletariato, l’unica via in grado di far mantenere il potere al proletariato una volta che l’abbia conquistato.
Onoriamo Mao che tempestivamente, con grande forza e profondità di pensiero, ha smascherato i revisionisti moderni, all’interno e all’esterno della Cina, in particolare Krusciov, Breznev e Togliatti, salvaguardando così la purezza del marxismo- leninismo dalle manipolazioni e dalle deformazioni degli agenti della borghesia e dell’imperialismo travestiti da comunisti che hanno sabotato e sabotano dall’interno il movimento operaio internazionale e la rivoluzione mondiale.
Onoriamo Mao che ha ispirato la nascita di nuovi Partiti marxisti-leninisti nei paesi in cui i vecchi partiti comunisti erano stati conquistati dai revisionisti e avevano deviato dalla via rivoluzionaria.
Onoriamo Mao che ha dato dei contributi immortali alla lotta antimperialista, anticolonialista e rivoluzionaria dei popoli di tutti i continenti.
Mao è amato in tutto il mondo ed ha discepoli ovunque, non solo in Italia, come dimostrano il Seminario internazionale sul pensiero di Mao tenutosi recentemente in Germania, in cui il PMLI ha svolto un ruolo di rilievo, e i messaggi di saluto, che vi sono stati riferiti, inviatici dai Partiti e dalle Organizzazioni marxisti-leninisti di vari paesi, che ringraziamo sentitamente e con molto calore.
Il pensiero e l'opera di Mao ormai costituiscono un patrimonio comune di tutti coloro che lottano in qualsiasi parte del mondo per la causa del proletariato, del socialismo e dell’emancipazione di tutta l’umanità.
Chiunque e ovunque si proponga di organizzare e guidare la lotta di classe degli sfruttati e degli oppressi non può non ricorrere a Mao, non può che tenere presente gli sviluppi che egli ha apportato al marxismo-leninismo e applicarli nella pratica.
Il nostro rapporto con Mao è di tipo particolare, quasi filiale. Poiché il suo pensiero, la sua opera, il suo esempio hanno esercitato l’influenza fondamentale e decisiva per la fondazione del nostro amato Partito. Materialmente l’hanno fondato i 52 delegati del primo Congresso nazionale del PMLI provenienti dalla Toscana, dalla Sicilia, dalla Calabria e dalla Lombardia, ma idealmente è opera sua.
Come Mao ha scoperto il marxismo grazie a Lenin e Stalin e alla Grande Rivoluzione d’Ottobre, si è ispirato ad essi per la fondazione del PCC e per impostare la rivoluzione cinese, così i fondatori del PMLI hanno scoperto il vero marxismo-leninismo grazie a Mao e alla Grande rivoluzione culturale proletaria e hanno agito di conseguenza, sul piano ideologico, politico e organizzativo, prendendoli come modelli.
Ogni classe ha i suoi maestri, ispiratori e modelli, lo si riconosca o no. Noi siamo sinceri e onesti e quindi non abbiamo difficoltà ad ammettere, anzi a proclamarlo apertamente con orgoglio, che i nostri maestri sono Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao. Sono nostri maestri perché solo loro, non altri, ci hanno aperto gli occhi sul capitalismo e l’imperialismo e ci hanno illuminato la strada dell’emancipazione sociale. Senza di essi brancoleremmo nel buio, saremmo subalterni alla borghesia e al capitalismo e ragioneremmo e ci muoveremmo come dei borghesi.
Essi ci hanno fornito gli elementi ideologici, teorici, politici e organizzativi per conoscere e trasformare il mondo e noi stessi. A noi spetta, in qualità di loro allievi, di studiare le loro teorie, metodi di analisi ed esperienze e applicare nelle nostre condizioni concrete i loro insegnamenti.
Da Mao non si finisce mai di imparare. Tanto sono ricche la sua esperienza e la sua elaborazione teorica e politica accumulate nel corso dei 28 anni della rivoluzione di nuova democrazia (1921-1949), contrassegnata dalla prima guerra civile rivoluzionaria (1924-1927), dalla seconda guerra civile rivoluzionaria (1927-1937), dalla guerra di resistenza contro il Giappone (1937-1945), dalla terza guerra civile rivoluzionaria (1945-1949), e nel corso dei successivi ventisette anni di rivoluzione socialista e di edificazione del socialismo, i cui ultimi dieci anni sono stati marcati dalla Grande rivoluzione culturale proletaria.
Un’esperienza rivoluzionaria enorme, lunga complessivamente 55 anni, unica al mondo per durata, complessità, arricchimenti teorici, congiunture internazionali, che ha un valore non solo cinese ma mondiale. Enorme, per l’influenza che la rivoluzione cinese ha esercitato nel mondo, per il ruolo internazionale che il pensiero e l’opera di Mao hanno svolto nella lotta contro l’imperialismo e il revisionismo, specialmente dopo la morte di Stalin, allorché i revisionisti dei vari paesi cominciarono a manovrare per liquidare i partiti comunisti storici e i paesi socialisti.
In questa occasione non possiamo certo trattare tutti gli insegnamenti di Mao. Anche perché molti di essi sono già stati illustrati nelle nostre precedenti commemorazioni pubbliche di Mao e che ora sono raccolte nel bel volume curato dalla Commissione per il lavoro di stampa e propaganda del Comitato centrale del PMLI, la quale, non vi sarà sfuggito, ha anche realizzato con tanto amore e dedizione a Mao, l’entusiasmante video sull’opera di Mao che è stato proiettato poc’anzi.
Vogliamo solo riflettere su alcuni insegnamenti di Mao che ci paiono particolarmente utili nell’attuale stato del PMLI e della situazione politica. Questi insegnamenti valgono per noi, che da oltre un quarto di secolo seguiamo la luminosa via tracciata da Mao e che ancora abbiamo tanto da fare per mettere in moto la macchina della rivoluzione socialista italiana, valgono anche per chi, ritenendo di essere comunista, segue chi comunista lo è solo a parole e non ha ancora compreso la differenza che intercorre tra il marxismo-leninismo e il revisionismo, ma soprattutto valgono per le nuove generazioni, per le ragazze e i ragazzi che non sanno nulla della storia del movimento operaio internazionale, del socialismo e dei grandi maestri e ricercano la verità e la via per cambiare la società e intendono salvare l’Italia dal neofascismo con la faccia di Segni o di Bossi.
 

Mao è un modello di marxista-leninista
Prima di procedere però non possiamo non dire qualcosa sulla splendida e straordinaria vita di Mao, perché anche sul piano personale egli ha qualcosa da dire a tutti noi, giovani, persone di mezza età e anziani. Mao per noi è un modello di marxista-leninista.
Non c’è infatti alcuna fase della sua vita in cui egli si è “messo a sedere’’, si è considerato “arrivato’’, soddisfatto di sé e pago di quello che aveva già fatto per il popolo cinese e per la causa del socialismo. Fino all'ultimo ha avuto lo spirito delle giovani Guardie rosse, l’ultima sua grande impresa storica, la Grande rivoluzione culturale proletaria, l’ha compiuta proprio negli ultimi dieci anni della sua vita, tra i 73 e i quasi 83 anni di età. A riprova che si può essere rivoluzionari attivi per tutta la vita e che si può persino svolgere un ruolo dirigente anche in età molto avanzata.
Con questo non si deve pensare, sarebbe un grave errore, che Mao sia un dio al di sopra dei comuni mortali, un personaggio mistico e mitico, una specie di superman. Tutt’altro. Egli è stato solo e unicamente un vero marxista-leninista, anche quando è divenuto un maestro di rivoluzione a livello internazionale, che ha svolto fino in fondo - e senza pensare a se stesso e alla fortuna sua e della sua famiglia, come invece fanno i politicanti borghesi italiani - il ruolo e i compiti che la storia, le circostanze, il popolo cinese e il movimento operaio internazionale gli hanno assegnato.
Mao ho vissuto i problemi che ciascun figlio del popolo cinese normalmente viveva nell’infanzia, nell’adolescenza e nella gioventù dell’epoca. Solo che egli era profondamente animato dalla ferma volontà di “salvare la Cina” dall'imperialismo e di emancipare il popolo cinese, e da un potente spirito combattivo che in età adulta si ritrova sintetizzato in alcune sue stupende poesie e discorsi.
Tre sue citazioni possono bastare per capire quanto grande sia stata la combattività di Mao, e come egli, con l’esempio, l’azione e la parola, l’abbia saputa trasfondere nei marxisti-leninisti e nei rivoluzionari cinesi e di tutto il mondo. Dopo aver attraversato per la prima volta nei due sensi lo Yangtze (Yang tse) nuotando per un totale di 12 km all’età di 63 anni, egli così si esprime in una poesia: “Non mi importa delle raffiche del vento e dei colpi dell’onda, ciò è molto meglio che passeggiare ozioso in un giardino” . In un’altra poesia del maggio 1965 scrive: “non c’è nulla di impossibile al mondo per chi osa scalare le vette” . E in un importante discorso alla Conferenza nazionale di propaganda del Partito comunista cinese, tenutasi il 12 marzo 1957, egli afferma: ‘“Chi non ha paura di morire di mille ferite, osa disarcionare l’imperatore’ - questo è l’indomabile spirito necessario nella nostra lotta per il socialismo e il comunismo” .
Mao applicava la morale e lo stile di vita e di lavoro proletari a se stesso prima che agli altri, e aveva un’infinita premura verso i compagni e il popolo cinesi, soprattutto verso i giovani, su cui si è sempre appoggiato nelle varie fasi della rivoluzione e ai quali affidava l’avvenire della rivoluzione, e verso le donne, che egli, fin da giovane e non ancora marxista-leninista, spronava a emanciparsi dalla morale e dai costumi feudali e dalla concezione feudale della famiglia, del matrimonio e dell’amore.
Mao non metteva mai in primo piano se stesso, ma le masse e la rivoluzione. E quando parlava di sé lo faceva o per assumersi tutte le responsabilità degli errori riconosciuti commessi dal Partito per sua colpa o per esprimere le proprie insufficienze o propositi di migliorare.
Egli formava un corpo unico col Partito, con l’Esercito popolare e con le masse cinesi, quasi respirasse con gli stessi polmoni e avesse lo stesso cuore. Mangiava il loro stesso cibo e viveva come essi vivevano. In ogni periodo della sua vita, compreso quello in cui occupava la più alta carica dello Stato, Mao ha praticato uno stile di vita fatto di semplicità e di ardua lotta. All’inizio degli anni ’60, trovandosi la Cina in difficoltà economiche, egli non mangiava né carne, né uova, né frutta. Fino a quando le forze glielo hanno concesso ha continuato a coltivare il suo modesto orto, e dopo che è morto non gli hanno trovato né oro né altre ricchezze, ma delle pantofole riparate più volte, una veste da camera le cui maniche sostituite erano rammendate ai gomiti, un paio di scarpe di cuoio che portava dal 1949, e una coperta di spugna che teneva sul letto rammendata venti volte.
La sua indicazione, secondo cui i marxisti-leninisti devono “servire il popolo con tutto il cuore e non solo con metà, o con due terzi” (1), la considerava per se stesso come una legge assoluta e inderogabile.
La modestia di Mao era senza limiti. Non ha mai ricercato per sé meriti, onori, medaglie e monumenti. Alla vigilia della fondazione della Repubblica popolare cinese convinse il Partito a non celebrare pubblicamente i compleanni dei dirigenti del Partito, a non dare loro dei regali e il loro nome alle città, strade e imprese e inoltre a “non mettere compagni cinesi sullo stesso piano di Marx, Engels, Lenin, Stalin. I nostri rapporti con loro - specificava Mao - sono tra studenti e maestri, e così deve essere. Rispettare queste norme significa avere un atteggiamento di modestia” (2).
Anche quando il Partito voleva immortalarlo citandolo nella prima Costituzione della Repubblica popolare cinese del 1954, allora era presidente della Repubblica, Mao lo sconsigliò usando queste educative parole: “Vorrei chiarire una questione. Secondo alcuni, certi articoli sono stati tolti dal progetto di Costituzione a causa della particolare modestia di alcune persone. Non è questa la spiegazione. Non si tratta di modestia, ma del fatto che inserire quegli articoli sarebbe stato inopportuno, irrazionale, non scientifico. In un paese di democrazia popolare come il nostro, articoli così inopportuni non devono essere scritti nella Costituzione. Non si tratta di cose che avrebbero dovuto essere inserite e poi non lo sono state per modestia. Per quel che riguarda la scienza non si tratta di essere modesti o meno. Redigere una costituzione è fare un lavoro scientifico. Noi non crediamo a niente altro se non alla scienza, ciò significa che non bisogna avere miti. Sia per i cinesi che per gli stranieri, si tratta di vivi o di morti, ciò che è giusto è giusto, ciò che è sbagliato è sbagliato, altrimenti si ha il mito. Bisogna liquidare i miti” (3).
Fare la rivoluzione è stata l’unica grande aspirazione di Mao e non quella di conquistare meriti, allori e un posto nella storia. Il suo assoluto disinteresse personale, la sua modestia e il suo grande rispetto delle masse è dimostrato anche dalle seguenti sue affermazioni: “I veri eroi sono le masse, mentre noi siamo spesso infantili e ridicoli; se non comprendiamo questo, non potremo acquisire neppure le nozioni più elementari” (4). “Io sono un eroe per mancanza di altri” (5). “Imparare dalle masse insieme con tutti i compagni del Partito, continuare a essere il loro allievo; questo è il mio desiderio” (6).
Mao è nato il 26 dicembre 1893 nel villaggio di Shaoshan, nella provincia dello Hunan (Hunan), da una famiglia contadina, in una Cina feudale e coloniale in balia dell’imperialismo, ed è morto il 9 settembre 1976 a Pechino, in una Cina affrancata dall’imperialismo, dal feudalesimo, dal colonialismo e dal capitalismo grazie alla sua direzione ideologica, politica, militare e organizzativa.
Mao non è nato marxista-leninista, ma lo è divenuto quando già era un giovane maturo, all’età di 27 anni, perché solo allora, nel 1920, scopre e legge “Il Manifesto del Partito comunista” di Marx ed Engels che fa immediatamente suo e mette in pratica organizzando politicamente per la prima volta i lavoratori.
In precedenza era un giovane progressista antimperialista che “cercava la verità nei fatti” e la via e i mezzi per liberare la Cina dal dominio del feudalesimo, del colonialismo e dell’imperialismo. A diciotto anni entra nel movimento rivoluzionario, l’anno dopo diventa un leader degli studenti e negli anni successivi comincia a collegarsi con i lavoratori per i quali istituisce dei corsi serali di studio.
Nel 1936, nella base rossa dello Yan’an (Yenan), rievocando al giornalista americano Edgar Snow le sue esperienze giovanili pre-marxiste, Mao rivelò che “a quel tempo le mie idee erano uno strano miscuglio di riformismo democratico, liberalismo, e socialismo utopistico. Avevo una specie di vaga passione per la ‘democrazia del XIX secolo’, per l’utopismo e il liberalismo vecchio stampo ed ero decisamente antimilitarista e antimperialista” (7).
La verità rivoluzionaria, le idee giuste e scientifiche, la strada vincente per salvare la Cina, dopo una lunga, intensa e appassionata ricerca, Mao le trovò nel marxismo- leninismo, il che causò una svolta radicale alla sua vita e alla rivoluzione cinese.
Con la costituzione del Partito comunista cinese, avvenuta il 1° luglio 1921, di cui egli è il fondatore, assieme a altri undici delegati, la storia di Mao diventa tutt’uno con la storia del Partito, della rivoluzione e del popolo cinesi. Questa storia non è stata una passeggiata in un giardino di rose.
Mao non si è formato nelle biblioteche, anche se l’ha frequentate assiduamente in gioventù: una volta si rinchiuse nella biblioteca provinciale dello Hunan per giorni e giorni dall’ora di apertura all’ora di chiusura, uscendo solo per un breve intervallo per mangiare due pizze di riso, che era tutto quello che si poteva permettere. La sua università è stata la lotta di classe, che egli ha praticato intensamente in prima persona senza risparmio di energie in tutto l’arco della sua vita.
La fucina che l’ha forgiato, che gli ha dato un’impronta indelebile proletaria rivoluzionaria, è stata l’epica Lunga Marcia, ossia il trasferimento strategico generale dell’Esercito rosso centrale guidato da Mao per sfuggire alla più pericolosa campagna di “accerchiamento e annientamento” lanciata dalle forze reazionarie del Guomindang (Kuomintang).
“La Lunga Marcia è stata una impresa mai vista nella storia” (8), afferma Mao e questo giudizio è confermato dallo Snow secondo cui “al paragone la marcia di Annibale attraverso le Alpi è soltanto una gita di piacere”(9).
Basti pensare che l’Esercito rosso centrale in dodici mesi, dal 16 ottobre 1934 al 20 ottobre 1935, ha percorso a piedi ben 12.500 chilometri attraversando 12 province, territori abitati da oltre 200 milioni di persone, 24 fiumi, tra cui l’invincibile Yangtze, 18 catene montuose, alcune delle quali innevate e mai scalate, paludi dove non si era mai avventurato essere umano; nutrendosi, nei momenti peggiori, di erbe selvatiche, topi, bacche, frumento secco sciolto in acqua calda, pezzi di cuoio bolliti, brodo degli stivali, di mais e grano crudo i cui chicchi non digeriti venivano raccolti dalle feci, lavati e rimangiati dai soldati che passavano successivamente; muovendosi di frequente di notte, bombardato ogni giorno da decine di aerei e attaccato di frequente da terra con qualche centinaia di migliaia di soldati.
Secondo certe stime, erano partiti dallo Jiangxi (Kiangsi) meridionale in ottantasei mila tra uomini e donne e arrivano nello Shaanxi (Shensi) del Nord in circa quattro mila. Mao aveva portato con sé, secondo una testimonianza, “una borsa di libri, un ombrello rotto, due coperte, un soprabito malandato e una tela cerata”.
E proprio durante la Lunga Marcia, dopo che aveva dato prova delle sue capacità politiche e militari e manifestato la sua tempra di combattente e dirigente marxista- leninista, che Mao si guadagnò la massima carica del Partito, nella storica riunione allargata dell’ufficio politico del Comitato centrale del Partito comunista cinese, tenutasi nel gennaio 1935 a Zunyi (Tsungi). Questo avvenimento costituisce il trionfo della linea marxista-leninista di Mao sulla linea revisionista di “sinistra” che aveva causato gravi danni alla rivoluzione cinese e che si era manifestata dopo la sconfitta della deviazione revisionista di destra del primo segretario generale del Partito, Chen Duxiu (Chen Tu-hsiu).
Tuttavia questa vittoria non mise fine alla lotta tra le due linee all’interno del Partito. Altre e più dure ne seguirono contro i revisionisti di destra e di “sinistra” nelle varie fasi della rivoluzione cinese e dell’edificazione del socialismo, l’ultima lotta si è svolta, poco prima che Mao morisse, contro la banda revisionista e fascista di Deng Xiaoping che intendeva restaurare il capitalismo in Cina, la qualcosa poi è riuscita a fare una volta scomparso il padre della nuova Cina.
Difendendo, applicando, approfondendo e sviluppando il marxismo-leninismo nel corso della rivoluzione più lunga e complessa della storia e nella lotta contro l’imperialismo e il socialimperialismo e contro il revisionismo moderno, che dopo il famigerato XX Congresso del PCUS del febbraio 1956 ha esteso a livello internazionale, Mao è divenuto un grande maestro del proletariato internazionale, delle nazioni e dei popoli oppressi dello stesso valore di Marx, Engels, Lenin e Stalin.
Il pensiero e l’opera di Mao costituiscono una miniera inesauribile di insegnamenti, estremamente preziosi per chiunque voglia veramente lottare per la causa del proletariato e del socialismo.
Oggi ne mettiamo in evidenza soltanto tre, che ci sembrano particolarmente attuali.
 
 

Trasformare il mondo e noi stessi
Mao ci ha insegnato a trasformare il mondo e al contempo noi stessi. Ce lo ha insegnato dandocene l’esempio con la propria vita rivoluzionaria, portando al successo la ciclopica opera del proletariato e del popolo cinesi di abbattere il vecchio mondo e di costruirne uno completamente nuovo corrispondente alle necessità della classe operaia e delle masse lavoratrici, e infine educandoci in tal senso.
Conformemente all'indicazione di Marx, secondo cui “I filosofi hanno soltanto diversamente interpretato il mondo, si tratta di trasformarlo (10), Mao ha specificato che “la lotta del proletariato e dei popoli rivoluzionari per la trasformazione del mondo comporta la realizzazione dei seguenti compiti: trasformazione del mondo oggettivo e, nello stesso tempo, trasformazione del proprio mondo soggettivo - trasformazione delle proprie capacità conoscitive e trasformazione dei rapporti esistenti tra il mondo soggettivo e il mondo oggettivo” (11).
Ciò costituisce un importante sviluppo del marxismo-leninismo in campo filosofico e politico poiché, in sostanza, afferma che non è sufficiente fare la rivoluzione e edificare un mondo nuovo socialista se le classi e i gruppi sociali che vi partecipano non trasformano completamente se stessi durante il processo della trasformazione della società.
Dovranno trasformarsi pure coloro che si oppongono al cambiamento sociale perché, aggiunge Mao, “il mondo oggettivo che deve essere trasformato include anche tutti gli avversari della trasformazione; essi dovranno passare per la fase della trasformazione forzata prima di poter entrare in quella della trasformazione cosciente. L’epoca del comunismo mondiale sarà raggiunta quando l’umanità intera arriverà alla cosciente trasformazione di se stessa e del mondo” .
Naturalmente questo è un problema strategico che non si pone per noi oggi ma nel socialismo. Intanto è bene prenderne coscienza e capire quanto sia importante la trasformazione di se stessi, a cominciare dalla fase della preparazione della rivoluzione per poi proseguire instancabilmente durante la rivoluzione, l’edificazione del socialismo e finanche nel comunismo.
Solo se si ha questa coscienza si capisce quale sforzo e quanto tempo e quante lotte occorrono per l’emancipazione della classe operaia e dell’intera umanità, che è lo scopo ultimo dei nostri sacrifici di oggi e di domani.
La trasformazione di se stessi comporta il rigetto completo e totale dell’ideologia, della cultura, della morale, della politica e della pratica sociale borghesi e l’acquisizione della concezione proletaria del mondo. Il che significa rivoluzionarizzare integralmente la propria mentalità, coscienza, modo di pensare, di vivere e di agire conformemente al materialismo storico e al materialismo dialettico e mettendo al bando ogni forma di idealismo, di metafisica e di riformismo.
Questa trasformazione di sé non può che avvenire attraverso lo studio assiduo, metodico e concreto del marxismo-leninismo-pensiero di Mao e la partecipazione diretta e attiva alla lotta di classe. Anche su questo piano dobbiamo seguire l’esempio di Mao il quale ha detto: “Un tempo io avevo una quantità di idee non marxiste e solo in seguito ho assimilato il marxismo. Ho studiato un po’ di marxismo sui libri iniziando così a trasformare la mia ideologia, ma la trasformazione si è realizzata soprattutto nel corso di una lotta di classe prolungata. Ed io devo continuare a studiare se voglio ancora progredire, altrimenti tornerei indietro” (12).
Indubbiamente, per la nostra trasformazione e per la trasformazione del mondo, lo studio del marxismo-leninismo-pensiero di Mao gioca un ruolo fondamentale. I marxisti-leninisti, i rivoluzionari e i soldati dell’Esercito rosso cinesi per tenere bene a mente l’importanza dello studio avevano scritto sui muri, sulle rocce e sugli alberi della base rossa di Yan’an “Impara, impara e ancora impara’’, “Studia finché c’è un filo di luce”, “Studia mentre ari il campo”, “Studia facendo tesoro della luce che la neve riflette”.
Anche se si hanno alti incarichi non bisogna mai pensare di avere una coscienza proletaria rivoluzionaria a prova di bomba, di sapere tutto del marxismo-leninismo- pensiero di Mao, delle arti rivoluzionarie e della realtà in cui si opera, e di essere completamente immuni da ogni influenza borghese e revisionista. C’è sempre da imparare, da migliorare e progredire, e da vigilare su se stessi, oltreché sugli altri compagni, poiché è sempre possibile cadere nella presunzione, nella superbia e sotto l’influenza della borghesia e del revisionismo. Basta abbandonare per un attimo e su una qualsiasi questione il marxismo-leninismo-pensiero di Mao, per cadere subito nel campo avversario della controrivoluzione.
La nostra trasformazione non deve essere fine a se stessa. Noi ci dobbiamo trasformare al solo scopo di trasformare il mondo, cioè mentre compiamo questa titanica opera che i revisionisti italiani hanno sempre sabotato con mille menzogne, raggiri e imbrogli.
“Nell’epoca presente dello sviluppo della società, - indica Mao - la storia ha posto sulle spalle del proletariato e del suo partito la responsabilità della giusta conoscenza e della trasformazione del mondo” (13). Ben volentieri, e per la parte che ci compete, abbiamo accettato questo grandioso compito e siamo certi che prima o poi, grazie alla nostra opera di chiarificazione e orientamento e grazie all’esperienza pratica, riuscirà a comprenderlo anche il proletariato ancora ingannato dai rinnegati Occhetto, Cossutta e Bertinotti.
Per noi marxisti-leninisti è chiaro come il sole che nella nostra situazione la trasformazione del mondo oggettivo comporta non un semplice miglioramento riformistico dell’economia, delle istituzioni e di ogni altro ordinamento giuridico, culturale, morale, scolastico vigenti, ma il radicale e totale abbattimento del sistema capitalistico e della sua sovrastruttura e la costruzione al loro posto della nuova società socialista in cui il proletariato sia finalmente al potere e non vi siano più sfruttamento dell’uomo sull’uomo, miseria, disoccupazione, dislivelli e ingiustizie sociali, disparità territoriali, economiche e sociali tra Nord e Sud, alcun tipo di disuguaglianza tra donne e uomini.
Non si tratta quindi di far la guardia alla Costituzione e al regime democratico borghesi usciti dalla Resistenza, che tra l’altro ormai esistono solo sulla carta poiché i neofascisti di destra e di “sinistra” ne hanno fatto scempio da tempo, quanto di mettere in piedi un grande movimento di massa rivoluzionario che lotti coscientemente per il socialismo. Questo è l’unico cambiamento che noi concepiamo, accettiamo e per cui lottiamo. Questo è il vero cambiamento che ci vuole per salvare l’Italia.
Ciò che viene spacciato per una “rivoluzione pacifica” come dice Ciampi, per una “seconda fase della Repubblica” come dice Occhetto, per una “controrivoluzione democratica” come dice Cossutta, per un “clima di pre-rivoluzione francese già incominciata” come dice Gelli, in realtà non è altro che la restaurazione del fascismo sotto nuove vesti e con metodi diversi, attraverso una serie di golpe istituzionali attuati in questi ultimi tredici anni, nel silenzio, con la connivenza e, a volte, addirittura con l’appoggio della cosiddetta sinistra parlamentare, per realizzare punto per punto il famigerato “piano di rinascita democratica” di Gelli e della P2.
In questo quadro rientrano anche i recenti referendum Segni, le controriforme elettorali comunali, provinciali e politiche, quelle della sanità, della scuola e della Rai, il famigerato “patto sociale” antioperaio e antisindacale del 3 luglio, lo smantellamento del cosiddetto “Stato sociale” e le privatizzazioni. Rientrano il presidenzialismo ieri di Cossiga e oggi di Scalfaro, l'interventismo militare dell’Italia nel Golfo Persico, in Somalia, nella questione dell'ex Jugoslavia, in Mozambico, in Albania e in altri paesi, mascherato dietro la teoria imperialista del “diritto all'ingerenza umanitaria”, nonché le stragi, gli attentati e i progetti di golpe militari. Rientrano la difesa sperticata di Scalfaro, Spadolini e Napolitano dell'ultra-delegittimato parlamento dei ladroni, dei massoni, dei mafiosi e dei camorristi, il lavoro della Bicamerale diretta dalla lotti teso a cambiare ufficialmente la seconda parte della Costituzione, il progetto di Segni dell’elezione diretta del presidente del Consiglio, e i vari progetti di federalismo aperto o mascherato. Rientrano le manovre occulte e pubbliche del presidente della repubblica Oscar Luigi Scalfaro che mirano a riaprire le porte dell’Italia ai Savoia e alla riappacificazione con i fascisti e i repubblichini di Mussolini. Rientra a pieno titolo il gravissimo scandalo dei fondi neri del Sisde in cui è coinvolto fino al collo Scalfaro, ben noto manovratore e manipolatore fascista della vecchia e nuova repubblica, che ha sempre operato in funzione antioperaia e anticomunista, e non meritava e non merita certo i fasti, gli onori e i privilegi del Quirinale, ma le cure “rieducative” delle “patrie galere”.
Rientra in questo quadro Io stesso governo del massone, liberista, interventista e torchiatore delle masse Ciampi che sta apportando dei grossi contributi al regime neofascista sul piano della organizzazione economica, istituzionale e sociale della seconda repubblica.
Mentre il governo precedente del socialista Giuliano Amato ha inaugurato ufficialmente il passaggio del sistema capitalista dal regime democratico borghese al regime neofascista, il governo Ciampi ha fatto compiere un decisivo tratto di strada al nuovo regime sconvolgendo gli assetti economici ed istituzionali della prima Repubblica.
Già solo per questo meriterebbe di essere rovesciato dalla piazza, senza considerare il sangue che continua a succhiare alle masse con le stangate e con mille altre privazioni. Se sta ancora in piedi è unicamente perché nessuna cosca parlamentare che ha un qualche controllo delle larghe masse osa attaccarlo seriamente, in quanto in ultima analisi fa comodo a tutte le fazioni borghesi superare questa fase politica senza scontri di piazza, rimandando al risultato delle prossime elezioni generali la divisione della torta governativa, parlamentare, istituzionale ed economica.
Mario Segni, un anticomunista storico e figlio consenziente dell’ex presidente della Repubblica golpista Antonio Segni, e Umberto Bossi, un balordo, un avventuriero e un imbroglione fin da giovane, rappresentano le due facce attualmente più importanti del neofascismo italiano, rispettivamente quella di “sinistra” e quella di destra. Segni è la faccia del neofascismo presidenzialista, Bossi è la faccia del neofascismo federalista. Il primo è una creatura della massoneria, della P2, di settori del Vaticano e della DC e di circoli economici e finanziari “unitari”, mentre il secondo esprime le esigenze di capitalisti e finanzieri separatisti che mirano a legare le sorti europee e mondiali del capitalismo del Nord ai grandi monopoli tedeschi. Entrambi hanno tuttavia la caratteristica di essere ferocemente neoliberisti, acerrimi sostenitori dell’economia di mercato, delle privatizzazioni, delle ristrutturazioni aziendali con i relativi tagli all'occupazione, anticomunisti viscerali e incorreggibili, cultori del leaderismo di tipo mussoliniano, con la differenza che Segni lo esprime con i guanti di velluto e i modi e il linguaggio anglosassoni, mentre Bossi adopera i guanti di ferro e i modi e il linguaggio a volte populisti e a volte mafiosi.
Noi siamo, ovviamente, nettamente contrari sia a l’una che all’altra forma di neofascismo, che combattiamo apertamente e risolutamente, non da ora ma dal primo momento che cominciava a spuntare all’orizzonte, senza che alcun altro partito o personalità democratica, progressista e antifascista osasse unire la sua voce alla nostra, accettasse il nostro allarme antifascista e rispondesse al nostro ripetuto invito pubblico a creare insieme a noi un potente e largo fronte unito per impedire che in Italia fosse restaurato il fascismo attraverso la seconda repubblica.
Dobbiamo combattere i leader delle due forme di regime neofascista, ma non dobbiamo disperdere le nostre forze inseguendo l’uno e l’altro. Il nostro nemico politico principale a livello nazionale è il governo centrale in carica, e a livello locale l’amministrazione comunale contro cui devono essere indirizzati i nostri maggiori colpi in quanto essi hanno in mano il potere politico col quale difendono il capitalismo e il suo regime in camicia nera, mentre opprimono e affamano le masse popolari.
Ci opponiamo fermamente al federalismo, sia nella versione di Bossi della “Repubblica del Nord” e delle “tre repubbliche” che nella versione del pappagallo Occhetto il quale nell’ottobre scorso ha dichiarato a “La Repubblica” che “bisogna realizzare senza cedimenti un’unità più flessibile e articolata, tendenzialmente federalista: per esempio, con la capacità impositiva delle regioni e degli enti locali, attraverso un controllo rigoroso tra il flusso delle imposte e il livello dei servizi”. Se questa posizione non è zuppa è pan bagnato.
Noi siamo invece più che convinti che il federalismo, qualunque forma assumesse, compresa quella della “regionalizzazione” dello Stato, sarebbe una grave iattura per l’indipendenza e la sovranità dell’Italia e per le masse popolari, specie del Sud. Spezzettare l'Italia vorrebbe dire svenderla ai paesi più forti, riaccendere vecchie e sopite rivalità regionali, particolarismi locali e il campanilismo, indebolire la forza e l’unità del proletariato italiano, far girare all’indietro la ruota della storia, riportandola alla situazione precedente alla formazione dello Stato unitario borghese, creare peggiori condizioni alla lotta di classe e alla rivoluzione socialista italiana.
Dalla situazione di crisi generale in cui versa il sistema capitalista italiano non si esce certo a sinistra col federalismo, ma solo con l’abbattimento dello Stato borghese in camicia nera e con la costruzione al suo posto di uno Stato socialista. È questo il discorso da farsi oggi se si vuole veramente il progresso sociale e il bene delle masse dell’intero Paese.
In ogni caso le stesse proposte federaliste, come il caos che regna attualmente in tutti i partiti parlamentari e su ogni piano nel Paese, dimostrano il totale fallimento del capitalismo “democratico” e repubblicano italiano. È fallito sul piano economico perché non è riuscito a evitare una crisi di sovrapproduzione e una recessione che sono le più gravi del dopoguerra e a risolvere i problemi dell’industrializzazione e dello sviluppo del Mezzogiorno e delle Isole. È fallito sul piano istituzionale perché il vecchio ordinamento costituzionale non è riuscito a mantenere gli equilibri economici e politici tra le varie fazioni della borghesia e nel contempo assicurarsi il consenso e la fiducia delle masse popolari. È fallito sul piano sociale perché in centotrentadue anni dall’Unità d’Italia non ha saputo dare a tutti un lavoro, una casa, una previdenza sociale adeguata, un’assistenza sanitaria e un’istruzione pubbliche e gratuite; anzi ha creato un esercito di tre milioni di disoccupati per lo più giovani e donne, di centinaia di migliaia di senza casa e di baraccati, di nove milioni di poveri, di quasi un milione e ottocentomila pensionati con pensioni da fame al di sotto delle 600 mila lire, di dieci milioni di donne casalinghe per forza o soggette al lavoro nero e a domicilio o al caporalato, di milioni di ammalati in balia dei ticket e di una odiosa torchiatura fiscale, impositiva e tariffaria, di mezzo milione di bambini e di ragazzi abbandonati a se stessi e supersfruttati. Senza contare le condizioni disumane in cui versano gli extracomunitari.
È fallito miseramente anche sul piano morale come dimostra l'esplosione di tangentopoli e mafiopoli. Dal febbraio 1992 al settembre di quest’anno risultano inquisiti per tangentopoli e mafiopoli ben 238 parlamentari, pari al 24,9% del totale degli eletti alla Camera e al Senato, appartenenti a tutti i partiti parlamentari e 1.685 amministratori locali con in testa in entrambi le classifiche la DC, il PSI e il PDS.
Nelle tasche di questi galantuomini e dei rispettivi partiti sarebbero andati a finire centinaia di migliaia di miliardi. E non solo nelle loro tasche ma anche in quelle di alti magistrati come Curtò, di sindacalisti come Sergio D’Antoni, segretario generale della Cisl, di alti funzionari dello Stato come Duilio Poggiolini, faccendieri, avvocati, commercialisti e così via. Considerando l’elenco dei corruttori, con in testa il gruppo Ferruzzi, la Fiat e Lodigiani per finire con l’Olivetti e la Fininvest, e il fatto che tangentopoli ha investito anche la chiesa cattolica italiana e persino il Vaticano, si ha un quadro completo dell’immoralità che regna nel nostro sistema capitalistico.
Non è che ci meravigli tanto questo aberrante fenomeno della corruzione. Siamo rimasti sorpresi solo dalle sue dimensioni, dal coinvolgimento generale delle istituzioni e dei governanti e dalla quantità di miliardi spesa per “ungere le ruote”. Noi sappiamo da sempre che il sistema capitalistico si nutre di corruzione e che spende fior di miliardi per corrompere i suoi governanti e i suoi partiti, compresi quelli che si mascherano con tinte di sinistra o addirittura comunista. Non sarà quindi possibile estirpare una volta per tutte la corruzione se non si abolisce il sistema capitalista che la genera continuamente poiché esso si basa sull’egoismo, sull’arrivismo, sull’arricchimento individuale, sull’individualismo.
Tuttavia, per noi, tutti coloro che hanno rubato per sé o per il partito, che siano una lira o i 207,3 miliardi di Craxi, devono andare dritti in galera perché è inammissibile che chi svolge un ruolo pubblico o che si fregia del titolo di “rappresentante del popolo’’ accetti anche per sbaglio una semplice mancia. Siamo perciò nettamente contrari a una qualsiasi “soluzione politica” e diffidiamo chiunque abbia intenzione di proporla. Considereremmo costui, si chiami Luciano Violante o con altro nome, correo, amico dei tangentisti, anch'egli passibile di galera.
Solo il socialismo può mettere la parola fine a questa marcia società borghese, a questo ingiusto, sfruttatore, guerrafondaio e corruttore sistema capitalistico, a questa repellente seconda repubblica neofascista, mafiosa e piduista. Ogni altra proposta, comprese quelle del “governo dei progressisti” o dell'“opposizione alternativa”, non farebbe altro che perpetuare il vecchio mondo e impedire, ancora una volta, la nascita del mondo socialista.
Noi ne siamo profondamente convinti e ci adopereremo con tutte le nostre forze affinché il proletariato in primo luogo comprenda che la sua missione storica è quella di far tabula rasa del capitalismo e conquistare il potere politico. Sappiamo che ci vorrà molto tempo prima che si arrivi a ciò perché la classe operaia italiana non ha ancora iniziato a fare il bilancio critico e autocritico della storia del movimento operaio nazionale e internazionale e della esperienza storica della dittatura del proletariato, anche perché i mass media del regime neofascista non hanno alcun interesse a far conoscere la nostra voce e non si intravede nemmeno un solo giornalista e nemmeno un intellettuale che credono veramente nel socialismo e vogliono battersi per esso.
L’avvento del socialismo è comunque ineluttabile. Ci sono voluti mille e 700 anni prima che il capitalismo arrivasse al potere in tutti i paesi dell’Europa occidentale. In precedenza, per millenni regnavano lo schiavismo e poi il feudalesimo. Non sappiamo perciò quando il socialismo potrà essere instaurato in Italia.
Nel passato, quando la rivoluzione mondiale andava a gonfie e vele e il socialismo era trionfante in Urss e in Cina, era più facile prevederlo e i tempi potevano essere molto più stretti. Oggi, per via del tradimento e della capitolazione dei revisionisti, la situazione si è radicalmente capovolta e inoltre deve ancora essere capita e digerita bene la restaurazione del capitalismo nell’ex Urss, in Cina e negli altri paesi un tempo socialisti.
Ma anche questa situazione passerà, il proletariato si risveglierà, ritornerà ad aver fiducia nel socialismo, riesploderà la lotta di classe e imboccherà risolutamente la via dell’Ottobre. Ciò non avverrà spontaneamente ma grazie ai nostri sforzi perseveranti perché sappiamo, come dice Mao, che “il risveglio politico del popolo non è una cosa facile. Per eliminare le idee errate diffuse fra il popolo, dobbiamo fare seri e considerevoli sforzi” (14).
Non canti troppo presto vittoria la classe dominante borghese in camicia nera. I giochi sono ancora aperti. Il socialismo ritornerà di moda, di gran moda. “Il sistema socialista - rileva Mao - finirà col sostituirsi al sistema capitalista; è una legge obiettiva, indipendente dalla volontà dell’uomo. Per quanto i reazionari si sforzino di fermare la ruota della storia, prima o poi la rivoluzione scoppierà e sarà inevitabilmente vittoriosa” (15).
 

Integrare il marxismo-leninismo-pensiero di Mao con la realtà concreta
Mao ci ha insegnato a integrare la verità universale del marxismo-leninismo con la pratica concreta della propria rivoluzione, al fine di risolvere i problemi che via via si presentano durante la lotta di classe e di portare alla vittoria la rivoluzione. Mao ha espresso questo concetto più volte all’interno del Partito comunista cinese e negli incontri che ha avuto con i rappresentanti dei partiti comunisti dei vari paesi. In uno di questi incontri, avvenuto nel settembre del 1956, egli ha affermato che “bisogna assolutamente integrare due fattori, la verità universale del marxismo-leninismo e la situazione specifica del vostro paese” (16).
La prima cosa che Mao ribadisce in questo fondamentale insegnamento è che il marxismo-leninismo, al quale si è aggiunto come suo sviluppo il pensiero di Mao, è una verità universale, cioè è valido e applicabile in tutti i paesi senza esclusione alcuna. Infatti la pratica della rivoluzione mondiale ha ampiamente dimostrato che il marxismo-leninismo-pensiero di Mao è invincibile e infallibile. Quando ha subito delle sconfitte non è stato per una sua deficienza ma piuttosto per gli errori di destra o di “sinistra” che sono stati commessi nell’applicazione.
Poiché il marxismo-leninismo-pensiero di Mao costituisce la sintesi dell’esperienza del proletariato di tutti i tempi e di tutti i paesi, esso è la teoria, la filosofia, la scienza, la concezione del mondo, la dottrina e la guida per l’azione del proletariato mondiale. Al di fuori di esso non esistono altre teorie rivoluzionarie valide per il proletariato e il socialismo. Solo questa teoria rivoluzionaria è conforme agli interessi di classe del proletariato ed è l’unica in grado di assicurargli la conquista e il mantenimento del potere politico.
Nel passato altre teorie hanno tentato di contendere ad esso l’egemonia del proletariato ma tutte quante sono state sconfitte da uno o dall’altro grande maestro del proletariato mondiale, quantunque i loro rappresentanti, vecchi e nuovi, tentino ancora di corrompere la coscienza rivoluzionaria degli operai e degli studenti rivoluzionari.
L’anarchismo nelle sue varie forme, inclusa quella degli “autonomi”, l’operaismo, lo spontaneismo, il trotzkismo, il terrorismo e il guevarismo - espressioni della piccola borghesia rivoluzionaria che poggiano sull’individualismo e sul protagonismo personale - anche se a parole si richiamano al comunismo, non hanno nulla a che fare con la teoria rivoluzionaria del proletariato. È molto importante aver chiaro questo punto per non cadere in errori ideologici e nell’eclettismo ritenendo che in fondo non è male prendere qualcosa anche da altri che si presentano, o che vengono presentati ad arte, come leader e modelli comunisti.
Non ci possono essere più teorie comuniste e non si possono trapiantare pezzi di teorie comuniste apocrife nell'autentica teoria comunista. Le “teorie comuniste” che negano la via dell’Ottobre, la dittatura del proletariato, la rivoluzione culturale proletaria e i cinque grandi maestri del proletariato internazionale non hanno nulla da offrire alla teoria rivoluzionaria del proletariato.
La teoria comunista è una sola ed è il marxismo-leninismo-pensiero di Mao. Se si vuol identificare il comunismo con delle persone, queste non possono che essere Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao. Chi ne toglie qualcuno o ne aggiunge qualche altro, bara e non sta certo dalla parte del comunismo, indipendentemente dalle sue parole. È il caso dei “rifondatori” del comunismo Cossutta, Bertinotti e Garavini che nascondono e boicottano i ritratti dei cinque maestri mentre innalzano quelli di Guevara e della Luxemburg e tengono in panchina quello di Trotzki.
Il comunismo non si può rifondare, è quello che è: o lo si accetta o lo si respinge. Non si può far finta di volerlo per poi snaturarlo e svuotarlo della sua anima proletaria e rivoluzionaria. Non si può dire lo voglio per poi ridurlo, nella migliore delle ipotesi, a una socialdemocrazia.
La realtà è che i leader dei “rifondatori” non vogliono che il proletariato, le masse popolari e le ragazze e i ragazzi rivoluzionari imbocchino la via della rivoluzione socialista. Essi sono nient’altro che dei socialdemocratici e dei trotzkisti mascherati che da sempre hanno sabotato la causa del socialismo.
Da qui la necessità e l’urgenza da parte di chi vuol vederci chiaro sui “rifondatori” neorevisionisti, di confrontare le azioni e le proposte di essi col marxismo-leninismo- pensiero di Mao. Senza studiare il marxismo-leninismo-pensiero di Mao sarebbe impossibile per chiunque voglia il socialismo conoscere la storia del movimento operaio internazionale e nazionale e l’attuale situazione del nostro Paese, distinguere il giusto dall’errato e il vero dal falso, orientarsi nella lotta di classe e comprendere quali sono i compiti che stanno oggi di fronte ai rivoluzionari. Solo acquisendo il marxismo-leninismo-pensiero di Mao si è in grado di ragionare con la propria testa e di dare un contributo concreto veramente rivoluzionario alla causa del proletariato e del socialismo.
Non è sufficiente però avere una conoscenza solo teorica del marxismo-leninismo- pensiero di Mao. Bisogna integrarlo con la pratica concreta della lotta di classe se vogliamo che dia tutti i suoi frutti. È questa la seconda cosa che viene espressa nel fondamentale insegnamento di Mao di cui stiamo parlando.
In verità non è facile integrare il fattore del marxismo-leninismo-pensiero di Mao e il fattore della situazione specifica perché bisogna conoscere a fondo la storia del nostro Paese sui piani economico, sociale, politico, istituzionale e culturale e la situazione concreta che via via muta su scala nazionale e locale. Tuttavia questa è la strada obbligata, l’unica che garantisce il trionfo della nostra causa rivoluzionaria.
Conoscere bene il marxismo-leninismo-pensiero di Mao e conoscere altrettanto bene la nostra situazione specifica sono due momenti fondamentali per integrare questi due fattori interconnessi. Ma il passaggio decisivo è costituito dall’applicazione del primo alla nostra realtà. Il che significa sostanzialmente legare il particolare della situazione specifica al generale del marxismo-leninismo-pensiero di Mao, partire dalla realtà in cui operiamo e dai bisogni delle masse per risolvere i vari problemi che si presentano conformemente al marxismo-leninismo-pensiero di Mao.
Dobbiamo, quindi, su ogni questione che trattiamo, a qualsiasi livello e settore, far ricorso alle nostre risorse intellettuali e politiche e alle nostre sensibilità proletarie rivoluzionarie in modo da mettere bene a fuoco la situazione concreta in un determinato momento e luogo e da saper fornire delle soluzioni appropriate e calzanti, secondo gli insegnamenti generali che ricaviamo dal marxismo-leninismo-pensiero di Mao.
Seguendo questo metodo, abbiamo affrontato fin qui numerosi problemi strategici assai complessi e delicati, fra cui la questione elettorale che abbiamo risolto incentrandola sull’astensionismo marxista-leninista e sui Comitati popolari, la questione scolastica che abbiamo risolta concependola come un servizio sociale pubblico goduto dal popolo e dal popolo controllato attraverso l’autogoverno degli studenti.
L’ultima questione trattata è stata quella sindacale, che è stata risolta tempestivamente, non appena è mutata radicalmente la situazione storica, politica e organizzativa sindacale, attraverso il lungimirante documento del 6 febbraio 1993 in cui l’Ufficio politico del PMLI ha invitato le masse lavoratrici a costruire dal basso un grande sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori incentrato sulla democrazia diretta in modo che tutto il potere contrattuale e sindacale sia in mano ai lavoratori.
Il nostro auspicio è che in particolare le operaie e gli operai più coscienti e combattivi facciano immediatamente proprio questo invito, man mano che ne vengono a conoscenza, e si uniscano ai marxisti-leninisti nella Corrente sindacale di classe, dentro e fuori la CGIL, per realizzare nella pratica questo grande obiettivo strategico.
Altre questioni rimangono ancora aperte, come quelle dei contadini e del Mezzogiorno, ma anch’esse saranno risolte via via che ne avremo le forze, l’esperienza e che il Partito si svilupperà nel Sud.
 

Per fare la rivoluzione, ci vuole un partito rivoluzionario
Il terzo e ultimo insegnamento che noi poniamo oggi alla comune riflessione è il fulcro del pensiero organizzativo del marxismo-leninismo-pensiero di Mao. Si tratta del Partito, senza il quale il proletariato non è in grado di fronteggiare la classe dominante borghese, soddisfare le proprie esigenze immediate, costituire sotto la propria direzione un largo fronte unito delle classi e dei gruppi sociali amici e alleati, assolvere i suoi compiti rivoluzionari, organizzare, fare e vincere la rivoluzione socialista.
Non si tratta quindi di un partito qualsiasi, bensì di un partito con delle ben precise caratteristiche di classe, ideologiche, politiche, organizzative e programmatiche. Un partito che si edifica nella lotta tra le due linee, una teoria di Mao che costituisce un importante sviluppo alla concezione marxista-leninista del partito del proletariato. La lotta tra le due linee è la lotta tra la linea marxista-leninista proletaria rivoluzionaria e la linea revisionista di destra o di “sinistra” borghese e controrivoluzionaria che avviene nel Partito come riflesso della lotta di classe esistente nella società e delle contraddizioni tra il nuovo e il vecchio, il giusto e l’errato.
“Se si vuol fare la rivoluzione, - insegna Mao - ci deve essere un partito rivoluzionario. Senza un partito rivoluzionario, senza un partito che si basi sulla teoria rivoluzionaria marxista-leninista e sullo stile rivoluzionario marxista-leninista, è impossibile guidare la classe operaia e le larghe masse popolari a sconfiggere l’imperialismo e i suoi lacché. In più di un secolo, da quando è nato il marxismo, è stato solo attraverso l’esempio dei bolscevichi russi, i quali hanno diretto la Rivoluzione d’Ottobre, hanno diretto l’edificazione socialista ed hanno sconfitto l’aggressione fascista, che nel mondo sono stati costituiti e si sono sviluppati partiti rivoluzionari di tipo nuovo. Con la nascita di questi partiti rivoluzionari la fisionomia della rivoluzione mondiale è mutata. Il mutamento è stato così grande che, con la stessa violenza che accompagna l’uragano, sono avvenute trasformazioni del tutto inconcepibili per la vecchia generazione” (17).
Di questa verità storica noi ne abbiamo preso coscienza nell'ormai lontano 1967. Quando ci apparve chiaro che il gruppo dirigente del PCI, inclusi Ingrao, Cossutta, Garavini, Rossanda e Pintor, senza parlare dell'allora socialista Bertinotti, non avevano per niente l’intenzione di fare la rivoluzione che bussava alla porta. Quando ci rendemmo conto che la miriade di gruppi a “sinistra” del PCI, che pure si richiamavano alla rivoluzione, al marxismo-leninismo e a Mao, sabotavano la lotta rivoluzionaria e l’organizzazione rivoluzionaria e marxista-leninista del proletariato e degli studenti con una sconsiderata politica ultrasinistra.
Da allora abbiamo fatto sforzi sovrumani per fondare, costruire e sviluppare un partito sul modello di quelli di Lenin e Stalin e di Mao, attraverso una Lunga Marcia politica e organizzativa, che per difficoltà, complessità, pericoli e sacrifici può essere benissimo paragonata alla Lunga Marcia dell’Esercito rosso di Mao, che si concluderà quando il PMLI sarà esteso in tutte le contrade d’Italia.
Un’impresa di questo tipo, per tutta una serie di aspetti inediti e particolari, non l’ha mai vista la storia del movimento operaio nazionale e internazionale. A questa epica impresa noi vorremmo che si associassero al più presto tutti coloro, ovunque collocati e di qualsiasi età e sesso, che ancora credono nel socialismo e vengano a conoscenza del nostro messaggio. Soprattutto i giovani e i giovanissimi, le ragazze e i ragazzi democratici, progressisti, antifascisti e rivoluzionari, dovrebbero riflettere su questo nostro pressante invito perché il domani spetta più a loro che a noi.
Bisogna prendere lealmente atto che il PMLI è l’unico partito che lavora veramente per la vittoria del socialismo e che solo esso ha tutte le caratteristiche per guidare la classe operaia verso la conquista del potere politico, e quindi trarne coraggiosamente le dovute conseguenze politiche e organizzative.
Non bisogna farsi condizionare dalle attuali piccole dimensioni del PMLI. L’importante è essere certi che il seme è buono. Perché se il seme è revisionista e riformista prima o poi l’albero si schianta, come è successo al PCI e come succederà al PRC, e comunque non produrrà mai frutti utili affinché il proletariato conquisti il potere politico e il socialismo.
Avere un numero adeguato di militanti è assolutamente necessario, ma nelle attuali condizioni internazionali e nazionali ci vorrà del tempo, e molta fatica e indicibili sacrifici, per ottenerlo. Ci vogliono dei pionieri proletari rivoluzionari, anche uno solo, che in ogni città abbiano il coraggio di alzare le invincibili bandiere del socialismo, del marxismo-leninismo-pensiero di Mao e del PMLI affinché si raggiunga il numero che occorre per fare del PMLI un grande partito all’altezza dei compiti storici che lo attendono.
Il PMLI ha tutte le carte in regola per diventare un grande partito, lo è già idealmente e lo diventerà materialmente. Il nostro amato Partito diventerà senz’altro un grande Partito se si atterrà fermamente al marxismo-leninismo-pensiero di Mao, agirà conseguentemente secondo la teoria della lotta tra le due linee combattendo ogni pur minima manifestazione del revisionismo e dell'opportunismo, continuerà a servire con tutto il cuore le masse e persevererà nell’azione politica e organizzativa sfidando il momentaneo isolamento e i venti contrari. Andare controcorrente, quando la corrente maggioritaria è quella della reazione e della controrivoluzione, è un principio e una caratteristica marxisti-leninisti.
“Tutto può cambiare. - sostiene Mao – Le grandi forze in disfacimento cederanno il posto alle piccole forze emergenti. Le piccole forze diventeranno grandi, perché la maggioranza delle persone esige che le cose cambino... Se una cosa è grande non bisogna averne paura. Ciò che è grande è destinato a essere rovesciato da ciò che è piccolo, e questo diventerà grande” (18).
Grazie amato compagno e maestro Mao anche per questo ottimismo rivoluzionario che ci infondi e che anima e rende sereno il nostro arduo lavoro rivoluzionario. Noi ti siamo profondamente grati e riconoscenti per tutto quello che hai fatto e hai rappresentato quand’eri in vita e per tutto quello che hai lasciato in eredità a tutti gli sfruttati e gli oppressi del mondo. Noi marxisti-leninisti italiani ti promettiamo che seguiremo fino in fondo il tuo esempio e i tuoi insegnamenti. Non hai certo speso invano la tua vita. Tu vivrai per sempre nel cuore del proletariato internazionale, delle nazioni e dei popoli oppressi.
Noi siamo certi che come un potente sole rosso, Mao, assieme a Marx, Engels, Lenin e Stalin, continuerà a illuminare il cammino di tutti coloro che marciano lungo la via dell’Ottobre anche negli anni duemila.
Gloria eterna a Mao Zedong!
Lunga, Lunga, Lunga vita al marxismo-leninismo-pensiero di Mao!
Viva il socialismo!
Viva l'internazionalismo proletario!
 
 
NOTE
(1) Mao, Perseveriamo in una vita semplice e in una lotta ardua e teniamo rapporti stretti con le masse, (marzo 1957), opere scelte, vol. 5°, Edizioni Einaudi, p. 602
(2) Mao, Combattere le idee borghesi all'interno del Partito, (12 agosto 1953), Ibidem, p. 123
(3) Mao, Sulla bozza di Costituzione della Repubblica popolare cinese, (14 giugno 1954), Ibidem, p. 169
(4) Mao, Prefazione e poscritto a “Inchiesta sulle campagne”, (marzo 1941), opere scelte, vol. 3°, Edizioni in lingue estere - Pechino, pp. 9-10
(5) Mao, Una lettera del 6 luglio 1966
(6) Mao, Opera citata nella nota n. 4, stessa p.
(7) Edgar Snow, “Stella rossa sulla Cina”, Edizioni Einaudi, 1974, p. 168
(8) Mao, Sulla tattica contro l'imperialismo giapponese, (27 dicembre 1935), opere scelte, vol. l°, p. 170
(9) Edgar Snow, ibidem, pp. 253-254
(10) Marx, Tesi su Feurbach, (primavera 1845)
(11) Mao, Sulla pratica, (luglio 1937), opere scelte, vol. 1°, p. 327
(12) Mao, Sulla giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo, (27 febbraio 1957), opere scelte, vol. 5°, Edizioni Einaudi, p. 559
(13) Mao, Opera citata nella nota n. 11, p. 326
(14) Mao, La situazione e la nostra politica dopo la vittoria nella guerra di resistenza contro il Giappone, (13 agosto 1945), opere scelte, vol. 4°, pp. 15-16
(15) Mao, Intervento alla riunione del Soviet Supremo dell’Urss per la celebrazione del 40° anniversario della Grande Rivoluzione socialista d’Ottobre, (6 novembre 1957)
(16) Mao, Alcune esperienze storiche del nostro Partito, (25 settembre 1956)
(17) Mao, Forze rivoluzionarie di tutto il mondo unitevi, per combattere l’aggressione imperialista, (novembre 1948), opere scelte, vol. 4°, p. 292
(18) Mao, L’imperialismo americano è una tigre di carta, (14 luglio 1956), opere scelte, vol. 5, Edizioni Einaudi, pp. 412-413

16 novembre 2022