Gli operai protestano per il mancato pagamento dei bonus promesso e contro il lockdown nello stabilimento
Si allarga a studenti e popolazione la rivolta degli operai della Foxconn
Proteste in numerose città cinesi

 
Una scintilla può dar fuoco a tutta la prateria '', non si stancava di ricordare contro ogni pessimismo Mao, e così è accaduto in Cina dove la rivolta degli operai della Foxconn per il mancato pagamento dei bonus promesso e contro il lockdown nello stabilimento si è rapidamente estesa agli studenti e a interi quartieri popolari che in moltissime altre città e regioni hanno osato sfidare la dittatura socialfascista del nuovo imperatore Xi, non si sono fatti intimidire dalla feroce repressione poliziesca e sono scesi nelle strade e nelle piazze dando alla protesta popolare un carattere apertamente antigovernativo. E anticapitalista, se è vero, come documentano foto e video circolati in internet, in numerose occasioni i manifestanti innalzavano ritratti di Mao e cantavano L'Internazionale .
È dagli inizi di novembre che si susseguivano notizie di proteste e mobilitazioni degli operai contro il governo di Xi, in modo particolare a Zhengzhou, una città di oltre 10 milioni di abitanti che è capoluogo della provincia di Henan, nella parte orientale del Paese asiatico.
A essere interessato dalla protesta è soprattutto lo stabilimento della società Foxconn, un complesso industriale che conta oltre duecentomila operai e che è la più grande fabbrica produttrice di iPhone al mondo, dove il governo centrale ha deciso a metà ottobre di mettere in quarantena tutti i dipendenti nella stessa fabbrica, perché nella città di Zhengzhou, e anche nello stabilimento, si era verificata un'impennata di casi di Covid-19.
La politica sanitaria del governo cinese, dall'inizio della pandemia agli inizi del 2020, è stata da subito contraddistinta da una intollerabile dittatura sanitaria che finiva per incarcerare operai nelle fabbriche 24 ore al giorno e cittadini nelle loro abitazioni e quartieri attraverso l'imposizione di rigorosissimi blocchi e quarantene che hanno portato in passato, e tuttora portano, alla chiusura di intere città anche in presenza di pochissimi casi di infezione.
A Zhengzhou i militari, inviati dal governo di Pechino, hanno subito isolato la gigantesca fabbrica dal mondo esterno costringendo i 200.000 lavoratori all'interno, vietando di mangiare nella mensa della fabbrica, costringendo i dipendenti a prendere percorsi lunghi e tortuosi dai loro dormitori per ridurre il contatto con gli altri e imponendo test sanitari giornalieri.
La diffusione nel Paese delle notizie che giungevano da Zhengzhou aveva nel frattempo generato proteste spontanee da parte di tantissimi operai di altri stabilimenti sparsi per l'immenso territorio, i quali temevano di fare la stessa fine di quelli della Foxconn e in moltissimi non si sono presentati nei luoghi di lavoro, preferendo restare a casa piuttosto che rischiare di essere confinati dentro le proprie fabbriche.
Nel frattempo anche lo Shanghai Disney Resort, il più grande parco di divertimenti di Shanghai, veniva messo in quarantena dopo uno scoppio di 10 casi di Covid nella megalopoli cinese, con i lavoratori e i visitatori del parco a tema obbligati per alcuni giorni a non lasciare il parco, dove il governo ha allestito una tendopoli e un'ospedale da campo, fino a quando non hanno fornito un test negativo.
Clamorose proteste contro le restrizioni, nel frattempo, scoppiavano nelle fabbriche e nelle strade di Canton, nella costa della Cina meridionale.
Intanto, nello stabilimento Foxconn diventato di fatto per oltre un mese una prigione e dove gli operai hanno comunque continuato a lavorare, il 23 novembre, alle prime ore del mattino, esplodeva la rabbia operaia: decine di migliaia di lavoratori abbandonavano la postazione di lavoro, determinando così un'interruzione della produzione, e molti di loro si scontravano violentemente, armati di manganello, con la polizia e con i militari posti fuori dello stabilimento.
La protesta è esplosa non solo per le restrizioni imposte, diventate ormai intollerabili, ma anche perché l'azienda, che aveva promesso un bonus per ristorare le maestranze dei gravissimi disagi sofferti, non ha corrisposto quanto aveva promesso.
Le condizioni dentro la fabbrica, dopo oltre un mese, erano diventate critiche, e continuano ad esserlo: gli operai lamentano scarsità di cibo, cattiva igiene e dormitori condivisi tra colleghi sani e positivi, mentre le operaie hanno lamentato il disagio dovuto al fatto che i dormitori sono gli stessi per uomini e donne. Alla fine della giornata si sono contati numerosi feriti sia tra gli operai sia tra le forze di polizia, con finestre e telecamere di sorveglianza rotte e alcuni mezzi della polizia assaltati e incendiati, mentre numerosi operai sono riusciti a forzare il cordone di sicurezza e a lasciare la fabbrica.
Tra il 25 e il 26 novembre, infine, anche in altre località cinesi ci sono state proteste contro le restrizioni: le città più grandi interessate alla protesta sono state Urumqi nello Xinjiang, Wuhan nella provincia di Hubei e la stessa capitale Pechino, e in queste tre città i manifestanti hanno gridato slogan contro Xi Jinping, il governo centrale e la sua politica.

30 novembre 2022