Sentenza sull'ex Ilva di Taranto
Oltre 20 anni ai Riva per disastro ambientale
L'ex presidente della Puglia Vendola condannato a 3 anni e 6 mesi: ha “favorito i proprietari dello stabilimento”. Prescritto il reato contestato a Fratoianni

 
Lo scorso 28 novembre, a un anno e mezzo circa di distanza dalla lettura del dispositivo pronunciata il 31 maggio dello scorso anno, la Corte di assise di Taranto ha depositato le motivazioni della sentenza per la quale erano stati condannati 47 imputati (44 persone fisiche e 3 società) con pene fino a 22 anni di reclusione.
Le condanne più pesanti sono state disposte nei confronti di Fabio e Nicola Riva - ex proprietari e amministratori dell'ex Ilva di Taranto – i quali hanno ricevuto rispettivamente 22 e 20 anni di reclusione per i reati di disastro ambientale, avvelenamento di sostanze alimentari e omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro.
Altre pesantissime condanne – 21 anni di reclusione - hanno poi colpito Girolamo Archinà e Luigi Capogrosso, rispettivamente ex responsabile delle relazioni istituzionali del gruppo Riva ed ex direttore dello stabilimento, mentre Lorenzo Liberti, ex consulente della Procura, è stato condannato a quindi anni con l’accusa di aver accettato 100mila euro di tangente per modificare una perizia.
Tra i politici condannati il nome di maggiore spicco è quello di Nichi Vendola, ex presidente della Regione Puglia, nei cui confronti la Corte d'assiste ha disposto 3 anni e mezzo di carcere per concussione aggravata per aver fatto pressioni su Giorgio Assennato, direttore generale di Arpa Puglia (l’Agenzia per l’ambiente), affinché modificasse i risultati delle analisi relative alle emissioni dell’acciaieria. Lo stesso Assennato è stato condannato a 2 anni per favoreggiamento, e anche l’ex presidente della provincia di Taranto, Gianni Florido, è stato condannato a 3 anni per concussione.
Nelle 3700 pagine di motivazioni la Corte d'assise spiega dettagliatamente la ragione di tali pesantissime condanne: i Riva, a capo del maggiore gruppo siderurgico italiano, hanno agito al fine di “perseguire il profitto e la produzione a ogni costo ” anche “in totale spregio di altri beni e valori costituzionalmente tutelati, come l’ambiente e la salute dei cittadini, nonché la dignità e la sicurezza dei lavoratori ”. Per i giudici tarantini è stato il profitto l’unico vero obiettivo di Fabio e Nicola Riva che tra il 1995 e il 2012, insieme ad altri membri della famiglia, hanno guidato lo stabilimento in totale spregio nei confronti dell’ambiente e della salute di operai e abitanti di Taranto.
Una condotta, secondo i giudici, portata avanti per 17 anni grazie alle connivenze che hanno interessato politici locali e regionali, come l’ex governatore di Puglia Nichi Vendola, e che “è stata improntata alla mistificazione, alla falsificazione, alla truffa, alla collusione ” e “si è manifestata con l’ammorbidimento dei rappresentanti di enti locali e organi di controllo ”. Secondo i giudici è assolutamente evidente “che Vendola, anche a causa dei suoi stretti rapporti con i vertici ILVA e del suo ruolo di assoluta preponderanza, per ovvi motivi, nel panorama politico regionale, abbia agito essendo a perfetta conoscenza della situazione disastrosa relativa allo stabilimento e di conseguenza, con le azioni a lui contestate, abbia favorito in maniera del tutto consapevole gli imputati ”. Secondo i giudici quindi Vendola, che ha governato la Regione Puglia dal 2005 al 2015 con un sedicente programma ambientalista e di sinistra, ha dolosamente aiutato i vertici dell'Ilva a violare le normative poste a tutela dell'ambiente e della salute.
Vendola era, quindi, pienamente cosciente di aiutare una vera e propria associazione a delinquere, perché così i giudici hanno inquadrato il sodalizio criminale intercorso tra le figure di vertice del gruppo Riva e dello stabilimento di Taranto, ovvero Nicola Riva, Fabio Riva, Luigi Capogrosso, Girolamo Archinà, Francesco Perli, Lanfranco Legnani, Alfredo Ceriani, Giovanni Rebaioli, Agostino Pastorino ed Enrico Bessone. Tale associazione a delinquere, scrivono i giudici, fu creata “allo scopo di commettere più delitti contro la pubblica incolumità ” e “delitti contro la pubblica amministrazione e Ia fede pubblica, quali fatti di corruzione e di concussione, falsi e abuso d'ufficio ”.
Il 31 maggio 2021, la corte d’assise ha dichiarato prescritto il reato contestato a Fratoianni, allora assessore regionale pugliese, che era uno dei 44 imputati con l’accusa di favoreggiamento nei confronti di Nichi Vendola.

7 dicembre 2022