Cina
La protesta contro la sua politica antipandemia fa tremare il nuovo imperatore Xi
Il governo prefigura un allentamento dei metodi punitivi ma aumenta il controllo sui social usati per organizzare le manifestazioni

 
Secondo quanto riferivano alcuni funzionari Ue che avevano seguito i colloqui a Pechino del presidente del Consiglio europeo Charles Michel dell'1 dicembre, il presidente cinese Xi Jinping avrebbe affermato per la prima volta che data la minore pericolosità della circolazione del virus nell'ultima versione di Omicron poteva essere prevista una minore rigidezza nell'applicazione delle restrizioni previste nel corso dei tre anni della pandemia in Cina. Quelle misure contestate dalla rivolta popolare in molte città del paese che il nuovo imperatore Xi tentava di minimizzare definendole frutto di una frustrazione della popolazione e “principalmente degli studenti” ma che avevano come bersaglio la sua politica di azzeramento del Covid con metodi di segregazione di massa, la politica definita Zero Covid decisa dal presidente e applicata dal governo centrale di Pechino e dalle amministrazioni locali. Il grido di "Xi dimettiti" che echeggiava nelle piazze della protesta non era uno sfogo generico ma una accusa precisa alla sua leadership che pur senza conseguenze immediate metteva comunque in crisi quello scenario appena montato al recente Ventesimo congresso del PCC dove aveva organizzato la sua incoronazione e acclamazione come nuovo imperatore, una volta occupato con i suoi fedelissimi tutti i posti nel Comitato Permanente e stabilito il pieno controllo sul partito.
I socialimperialisti di Pechino per arginare le proteste mantenevano la politica del bastone con la repressione poliziesca in piazza e sui social e palesavano la politica della carota iniziando a modificare le norme sulle rigide chiusure e quarantena di quartieri o intere città, parti di grandi fabbriche trasformate in lager sanitari per non chiudere e fermare la produzione e non penalizzare anzitutto crescita economica e profitti capitalisti.
La prima retromarcia pubblica del governo era stata annunciata il 30 novembre dalla vice premier Sun Ghunlan, tra l'altro responsabile della lotta al Covid fin dall'apparizione del virus a Wuhan all'inizio del 2020, che dopo l'incontro a Pechino con la commissione sanitaria nazionale sosteneva che la lotta alla pandemia entrava in una nuova fase e comportava altre misure, a partire dalla possibilità dell'isolamento domiciliare dei pazienti positivi a basso rischio esentati dall'obbligo di restare chiusi nei siti della quarantena.
Nelle manifestazioni dei giorni precedenti in molte grandi città di cui si è avuto notizia, in particolare oltre a Pechino c'erano state a Shanghai dove sono risuonati slogan contro il presidente Xi Jinping, la polizia ha tenuto sotto stretto controllo i dimostranti, diversi dei quali arrestati. Il governo centrale ha rafforzato la presenza della polizia schierando un maggior numero di uomini e di mezzi ma ha anche rafforzato la censura sui social largamente usati dai manifestanti per organizzare e far conoscere la protesta che si è allargata alla richiesta di dimissioni di Xi, di maggiore democrazia. In diversi casi alcuni dimostranti hanno portato in piazza le foto di Mao e cantato l’Internazionale.
Foto e video online diffusi ai primi di dicembre hanno fatto vedere che sono ancora in corso varie proteste con manifesti o striscioni affissi o appesi nei campus universitari e in altri luoghi pubblici, mostrano dimostranti in strada con fogli bianchi per contestare e sfidare le restrizioni alla libertà d’espressione e la censura governative. E hanno mostrato la repressione delle proteste soprattutto studentesche in grandi città come Pechino, Wuhan, Guangzhou e Chengdu daparte della polizia che controllava financo i telefonini per verificare l'installazione dei programmi che permettevano il collegamento alle reti internet in grado di aggirare il blocco deciso dal governo o applicazioni come Twitter e Facebook.
La protesta è iniziata non tanto contro i lockdown in quanto tali ma soprattutto
contro il modo nel quale sono stati attuati, con la popolazione e i lavoratori intrappolati nelle fabbriche, nelle loro case, nei dormitori delle scuole, negli uffici, nei garage, nei parchi, una immotivata prigionia di massa che Xi ha posto alla base di quello che ha definito un “successo nazionale” nella lotta alla pandemia. E che ha dato il via alle proteste più massicce mai verificatesi nel paese dall’arrivo del nuovo imperatore Xi alla guida della Cina socialimperialista tra l’autunno 2012 e la primavera 2013.

7 dicembre 2022