Proclamati tre giorni di sciopero
Non si ferma la rivolta delle masse iraniane contro l'imposizione del velo

 
Che la rivolta delle masse iraniane, con in prima fila le donne e le giovanissime, contro l'imposizione del velo accesa dalla brutale uccisione lo scorso 16 settembre a Teheran della ventiduenne Masha Amini dopo essere stata fermata dalla polizia morale per non aver indossato il velo in modo corretto, non fosse un fuoco di paglia era evidente dalla continuità delle manifestazioni di protesta nella capitale e in altre città, proseguite nonostante la criminale repressione governativa. Dopo oltre due mesi di rivolta il pubblico ministero iraniano Mohammad Jafar Montazeri dichiarava il 3 dicembre che la polizia morale era stata sciolta ma senza che seguisse una disposizione ufficiale; la dichiarazione che pure apriva una crepa nel muro opposto dal governo iraniano alle proteste popolari, appariva quindi come un evidente tentativo di smorzare la rivolta. La risposta del movimento di protesta degli studenti, cui hanno aderito alcune organizzazioni sindacali, è stata la proclamazione di tre giorni di sciopero a partire dal 5 dicembre in modo da comprendere nella mobilitazione anche la giornata del 7 dicembre, celebrata in Iran come Giornata dello studente e giorno in cui il presidente Ebrahim Raisi dovrebbe parlare all'Università di Teheran. In molti atenei continua intanto il boicottaggio delle lezioni.
Le prime immagini dello sciopero che provengono da Teheran mostrano una certa adesione dei commercianti che hanno tenuto le serrande abbassate. Una iniziativa importante che spinge il movimento di rivolta nato contro l'iimposizione del velo, e sintetizzata nello slogan Donna, Vita, Libertà! della protesta nata in nome di Mahsa Amini, a continuare nella condanna della reazionaria e antifemminile politica del governo iraniano, contro la sua sanguinaria repressione e per i diritti democratici.
Le immagini delle proteste in particolare delle donne che pubblicamente e coraggiosamente si tolgono il velo, delle giovanissime che lo bruciano, degli universitari che abbattono le separazioni di genere a mensa o in altre attività sono il segnale di una parte delle masse popolari iraniane che generazione che chiede maggiore democrazia e diritti, parità di genere.
Sono più di due mesi che si contano i morti nelle piazze dal Kurdistan a Zahedan, ogni giorno gli arresti fanno aumentare il numero dei prigionieri politici, protestiamo contro questa brutale repressione nel nostro Paese era denunciato nella lettera fatta circolare dagli studenti ai primi di dicembre per invitare allo sciopero, convocato dall’unione degli studenti e da diverse organizzazioni sindacali. Aderivano molti commercianti dei bazar di Karaj, Mashhad, Tabriz, Isfahan ma anche di Teheran. Nei giorni precedenti alle proteste si erano uniti avvocati, medici, camionisti, lavoratori degli impianti petrolchimici di Mahshahr e operai dell’acciaierie di Isfahan. La censura governativa impedisce di avere una stima plausibile dello sciopero che comunque secondo organizzazioni umanitarie sarebbe iniziato in più di 30 città.
Il movimento nelle piazze è sostenuto da un numero sempre più significativo di personaggi pubblici, attori e del mondo sportivo, la cui solidarietà non sfugge alla repressione del governo. Circa 6.000 artisti iraniani, attori, scrittori, cineasti e accademici parte dei quali vivono all'estero in un recente appello hanno chiesto il boicottaggio internazionale delle istituzioni culturali gestite dalla Repubblica islamica e il rispetto dei diritti umani nella repressione governativa della protesta. L'appello condanna la "repressione di Stato sempre più brutale, violenta e mortale" contro i manifestanti antigovernativi, donne, studenti, uomini, in cui si stima che siano state uccise oltre 400 persone, arrestate 18.000 e già 6 sono le condanne a morte ufficiali. Un bilancio aggiornato a fine novembre di varie organizzazioni umanitarie confermava i terribili nmeri della repressione governativa e precisava che la metà delle vittime si era registrata nelle manifestazioni a Teheran, che tra i morti i minori erano almeno 60 e che tra gli arrestati più di 500 erano gli studenti e una sessantina i giornalisti.
La protesta cresceva nonostante la repressione e il governo provava altre strade per fermarla. Il procuratore generale Montazeri annunciava il 3 dicembre la costituzione di una commissione congiunta tra il Parlamento e il consiglio Supremo della rivoluzione culturale per riesaminare la questione del velo e i cui risultati sarebbero stati resi noti a tambur battente, nel giro di due settimane. Non è certo attesa l'abolizione della legge sull'obbligo quanto la revisione del modo in cui viene applicata. Nella stessa occasione Montazeri a una richiesta di come mai la Gasht-e-Ershad, la cosiddetta polizia morale, non si vedesse più per le strade dell'Iran rispondeva che questo corpo non era sotto l'autorità della magistratura e che "la stessa autorità che ha istituito questa polizia l'ha chiusa". Alle dichiarazioni non seguivano atti conseguenti e gli organizzatori delle proteste rilanciavano la mobilitazione con i tre giorni consecutivi di sciopero.


7 dicembre 2022