Marcio nel calcio capitalistico
Chiesto il rinvio a giudizio per Agnelli e 11 dirigenti della Juventus
La società è accusata di falso in bilancio

16 anni dopo la “Calciopoli” di Moggi, Giraudo e Bettega, la procura di Torino torna a puntare il dito contro la dirigenza della Juventus.
Il 2 dicembre una sfilza di richieste di rinvii a giudizio ha decapitato i vertici della società con alla testa il presidente, Andrea Agnelli, il suo vice, Pavel Nedved, l'amministratore delegato, Maurizio Arrivabene, e altri dieci indagati, tra cui il cugino di Agnelli, John Elkann, presidente di Exor (la holding di famiglia che controlla la società) e la stessa società Juventus calcio.
Tutti sono pesantemente coinvolti nell'inchiesta “Prisma” e devono rispondere a vario titolo di false comunicazioni sociali (in riferimento ai bilanci del biennio 2018-2019 e 2020), ostacolo alla vigilanza Consob, aggiotaggio e false fatturazioni.
L'inchiesta, condotta dal procuratore aggiunto Marco Gianoglio coadiuvato dai sostituti Mario Bendoni e Ciro Santoriello, è stata avviata nell'estate del 2021 e riguarda il cosiddetto “sistema Juventus” ossia le "plusvalenze" ricavate dallo scambio fittizio di calciatori usate per far quadrare i bilanci, colmare le perdite, e spalmare nel tempo il pagamento dei faraonici ingaggi dei calciatori con accordi sottobanco e scritture private come si evince dalle numerose intercettazioni trascritte e verbalizzate dagli inquirenti in cui gli stessi imputati svelano fra l'altro tutti i retroscena della "manovra stipendi" e della "carta Ronaldo", ovvero quel documento che "doveva sparire", che non doveva essere trovato dalla Guardia di Finanzia e in base al quale CR7 avrebbe dovuto ricevere una somma di 19 milioni.
Un impianto accusatorio cristallizzato nell'avviso di chiusura indagine del 24 ottobre scorso, basato su riscontri oggettivi e difficilmente contestabili che ha costretto tutta la dirigenza juventina a dimettersi in blocco per evitare il carcere qualora i giudici avessero ravvisato tentativi di ostacolare il corso della giustizia e/o inquinamento delle prove.
Se il Giudice per l'udienza preliminare (Gup) dovesse accogliere le richieste di rinvio a giudizio sul banco degli imputati a processo dovranno comparire anche Stefano Cerrato, ex Chief corp & financial officer, Cesare Gabasio, ex General counsel and chief legal, la cui intercettazione con l’attuale ds Federico Cherubini avrebbe riguardato proprio la ‘carta Ronaldo’. L’ex direttore sportivo Fabio Paratici, ora al Tottenham, gli ex Chief Financial Officer Marco Re, Stefano Bertola, Francesco Roncaglio e Enrico Vellano e i revisori legali di Ernst & Young, Stefania Boschetti e Roberto Grossi.
Stralciata invece la posizione dei tre componenti del collegio sindacale: Paolo Piccatti (presidente), Nicoletta Paracchini e Silvia Lirici. Secondo gli inquirenti, in base a quanto emerso nel corso degli interrogatori e dei riscontri effettuati, hanno avuto un ruolo ininfluente rispetto alle contestazioni e alle ipotesi di reato prefigurate. Perciò sono ritenuti del tutto estranei alle accuse e per loro sarà chiesta l'archiviazione.
Nelle richieste di rinvio a giudizio i giudici sottolineano fra l'altro come le “Plusvalenze artificiali” e la “manovra stipendi” sono due facce della stessa medaglia, due binari paralleli sui quali viaggiava una linea di condotta precisa per salvaguardare il patrimonio netto della Juventus: nascondere un disavanzo contabile superiore rispetto a quello approvato dal CdA. Le somme quantificate sono di 155 milioni per quanto riguarda la gestione delle plusvalenze e circa 67 relativamente alla questione stipendi (di cui 34 non inseriti a bilancio). Un sistema ben collaudato negli anni di cui Elkann e Agnelli erano a conoscenza e ne approvavano in pieno i metodi per creare le “plusvalenze fittizie”.
Secondo i giudici Elkann era pienamente al corrente delle difficoltà finanziare del club e soprattutto delle cosiddette: "Manovre illecite… studiate al fine di ‘alleggerire' i bilanci e consentire la permanenza sul mercato della Juventus, senza perdere i ‘pezzi pregiati'". Secondo gli inquirenti, le plusvalenze furono scientemente utilizzare per puntellare i conti dato che le indagini condotte dalla Guardia di Finanza insieme ai riscontri della Consob hanno dimostrato in maniera chiara e incontrovertibile che, pur a fronte della stipula formale di due contratti separati, le operazioni contestate sono “scambi”, permute a tutti gli effetti. Dunque “operazioni illecite” fatte con il via libera da parte della stessa società e della proprietà consapevoli della situazione e per questo motivo convinte ad andare avanti su questa linea perchè, per dirla con le parole di Arrivabene: "Lì ormai son diventati talmente esperti a fare i trucchetti".
Un modus operandi aziendale imposto e condiviso dai vertici della società nel suo complesso. Tant'è che gli stessi protagonisti, fra cui Bertola intercettato il 23 luglio 2021, appena 10 giorni dopo l'avvio delle indagini di Consob e Guardia di Finanza, durante una cena di quattro ore, in un elegante ristorante nel centro di Torino sbotta: "Io una situazione così brutta non me la ricordo. Faccio solo un nome: calciopoli. Anzi peggio perché calciopoli avevamo tutti quelli che ci davano addosso. Qui ce la siamo creata noi". Infatti, un conto è avvicinare un arbitro o corrompere un designatore, come facevano Moggi, Giraudo e Bettega ai tempi di “Calciopoli”; cosa ben più grave e scandalosa è la falsificazione dei bilanci e le false fatturazioni per ridurre il pesante passivo nei conti del club che il prossimo 27 dicembre arriverà a toccare la quota record di 254 milioni.
Sul piano sportivo e societario “Questa è l’indagine più grave e pesante che la Juventus ha subito nella sua storia, anche peggio di Calciopoli - ha dichiarato l'avvocato Mattia Grassani, esperto di diritto sportivo a ‘Radio anch’io sport’ su Radio Uno - Le fattispecie di reato e di violazioni di norme borsistiche societarie e sportive, abbraccia un arco di comportamenti illeciti che non ha precedenti a livello sportivo la Juventus rischia di più della semplice ammenda o della modesta penalizzazione, perché quello che sta emergendo può comportare anche l’esclusione dal campionato, la retrocessione all’ultimo posto e la perdita del titolo di Campione d’Italia”.
Sul piano giuridico invece “Le dimissioni in blocco del Cda della Juventus – ha aggiunto ancora Grassani – ricordano la scelta che fece la dirigenza bianconera nel 2006, quando Moggi, Giraudo e Bettega si dimisero all’apertura del procedimento sportivo. Si tratta di reati societari che con le dimissioni non sono più reiterabili, quindi la richiesta di arresti domiciliari per Agnelli sarebbe inutile, non credo che la Procura faccia ricorso su quella richiesta. Credo che la vicenda proseguirà con tutti gli indagati in libertà”.
Sul piano politico ed economico invece questo ennesimo scandalo conferma quanto sia marcio tutto il sistema calcistico capitalistico.
Un sistema che a partire dai primi anni '80, guarda caso proprio con l'ingresso di Berlusconi nel calcio, le società sportive furono progressivamente trasformate in vere e proprie aziende, alcune delle quali (Juve, Roma e Lazio) quotate addirittura in borsa, con bilanci dell'ordine di centinaia di milioni di euro. Il primo passo fu l'attuazione della legge 23 marzo 1981 n. 91, varata dal governo del DC Forlani. Poi il D.L. 17 maggio 1996, n. 272, primo governo di "centro-sinistra" Prodi, che eliminò l'obbligo di reinvestimento degli utili per le società professionistiche che di fatto divennero a tutti gli effetti società di capitali con la possibilità di perseguire un reddito e di distribuirlo tra i "soci" perché nel calcio, come ebbe a dire Walter Veltroni, allora vicepresidente del Consiglio, in un'intervista al "Sole - 24 Ore" del 16 settembre 1996 "Deve formarsi una cultura d'impresa: né più né meno di una normale azienda industriale. Perché il calcio, come tutto lo sport, potrà essere un elemento trainante per l'economia mondiale con forte capacità d'espansione anche in campo occupazionale". Il successivo decreto del 20 settembre 1996 n. 485 introdusse la possibilità per le società di ricorrere all'azionariato popolare e quindi di quotarsi in borsa.
A chiudere il cerchio, la legge n. 78 del 1999 varata dal governo del rinnegato D'Alema che ha dato il via libera alla vendita soggettiva dei diritti televisivi. Il “calcioscommesse”, “Calciopoli”, le “Plusvalenze artificiali”, la “manovra stipendi”, la “Carta Ronaldo”, le curve organizzate colluse con la politica e la malavita, che ricattano le società, gestiscono il merchandising e la fanno da padrone dentro e fuori dagli stadi, sono solo la punta di un iceberg ben più profondo e corrotto dietro cui si celano i veri burattinai del calcio.
50 anni di scandalose vicende che ciclicamente si ripetono nel mondo del calcio non sono altro che lo specchio fedele di questo marcio sistema economico capitalista dove la ricerca del massimo profitto, la corruzione e il malaffare la fanno da padrone in tutti i campi, compresi quelli di calcio dove contano solo i profitti e non i risultati sportivi.
Quello che emerge, ancora una volta, è uno spaccato di corruttele, immoralità e malcostume che coinvolge non solo il governo del calcio ma anche quello politico, istituzionale economico e finanziario ai massimi livelli.
Ecco perché la Consob non è mai intervenuta sulle false fatturazioni, falsi bilanci, manipolazioni, trucchi e speculazioni finanziarie delle società quotate in borsa. Ecco perché la Federcalcio ha permesso il traffico di passaporti falsi, le false fidejussioni, l'iscrizione al campionato di società fallite, la retrocessione o il recupero di squadre per via politica o governativa, le prepotenze sui diritti televisivi e l'arroganza della Lega calcio. Peraltro nello scandalo “plusvalenze” sarebbero coinvolte molte altre società come Empoli, Sassuolo, Atalanta, Sampdoria ed Udinese, oltre a diversi club di Serie B, C ed esteri.
Ecco perché perfino molti giornalisti di "grido" e quindi anche l'Usigrai che si autoproclamano indipendenti e paladini della libertà di stampa, pur essendo a conoscenza di tutto questo marciume, se ne sono dimostrati succubi e in alcuni casi perfino conniventi.
Di fronte a tutto ciò fanno sorridere le dichiarazioni del ministro per lo Sport e i Giovani, Andrea Abodi, e del numero uno del Coni Giovanni Malagò, secondo cui “nel calcio bisogna fare pulizia... Abbiamo bisogno di sapere presto cosa sia successo e che vengano assunte decisioni per ridare credibilità al sistema, nel principio dell’equa competizione... la gente comune cerca di recuperare speranza e fiducia nel sistema sportivo”.
Parole a dir poco offensive e provocatorie specie se si pensa che Abodi è tutt'ora presidente dell'Istituto per il Credito Sportivo e vanta una lunga carriera nel mondo della dirigenza sportiva che fra l'altro lo ha portato a essere tra i cofondatori di Media Partners (multinazionale italiana leader nel settore dello sport Industry, poi acquisita dal gruppo Infront, nella quale ha ricoperto fino al 2002 il ruolo di Vicepresidente Esecutivo), presidente della Lega calcio di serie B, consigliere della Figc, e consigliere di Coni Servizi.
Insomma uomini del sistema chiamati a riformare lo stesso sistema che loro stessi hanno contribuito a creare.
Tutto alle spalle di milioni di tifosi e appassionati, che sono le vere e uniche vittime di questo mercimonio in quanto scippati di uno sport considerato tra i più belli del mondo, truffati, presi in giro e costretti a pagare cifre esorbitanti per assistere a uno spettacolo di lealtà e correttezza quale dovrebbe essere una partita di calcio.
Una gestione scandalosa e criminale del sistema calcio che travalica i confini nazionali e europei sempre alla ricerca del massimo profitto come dimostrano ad gli oltre 6.500 lavoratori immigrati morti durante i lavori di preparazione dei campionati mondiali in corso di svolgimento in Qatar.

7 dicembre 2022