50 anni di sversamenti illegali, interramenti di rifiuti pericolosi, contaminazione di falde acquifere e terreni agricoli
Rinviati a giudizio per disastro ambientale 9 ex manager Italcementi
Per il PM si tratta di “uno dei casi di disastro ambientale più gravi della storia del Paese. Secondo solo all’Ilva”

 
Il tribunale di Cagliari lo scorso venerdì ha rinviato a giudizio nove tra ex manager e dipendenti dello stabilimento Italcementi di Samatzai (Cagliari), per disastro ambientale, oltre ad intimare alla multinazionale stessa di rispondere per responsabilità amministrativa. Tra di essi i tre ex direttori, Salvatore Capitello Grimaldi, Lorenzo Metullo e Ignazio La Barbera, ora responsabile dei servizi tecnici nazionali di Italcementi.
Sono invece nove le parti civili costituite del procedimento penale in corso: si tratta dei Comuni di Samatzai e Nuraminis, cinque agricoltori locali che lamentano di aver subito danni dall’attività della Italcementi e anche l’associazione ambientalista sarda più combattiva in Sardegna a livello legale, il Gruppo d’intervento giuridico, guidata da Stefano Deliperi. Parte civile anche Omar Cabua, l'ambientalista sardo “super testimone” che ha scoperchiato il marcio calderone.
Viste le dimensioni del vasto e gravissimo impianto accusatorio, fa rumore l’assenza della Regione autonoma di Sardegna, che ha rinunciato a costituirsi parte civile nonostante rappresenti istituzionalmente tutta la popolazione dell'isola, sacrificata in misura incalcolabile sull'altare del profitto capitalista di Italcementi.
Infatti, nonostante per lo stesso reato siano stati avviati processi di enorme portata fra i quali quello della Thyssenkrupp/Eternit di Torino o del Petrolgate/Eni di Potenza (Val d’Agri), secondo il pm di Cagliari Giangiacomo Pila, “siamo di fronte ad uno dei casi di disastro ambientali più gravi della storia del nostro Paese, secondo solo all'Ilva...”. La Procura infatti è certa che dal 1973 Italcementi avrebbe interrato nei 20 ettari di cave attorno allo stabilimento almeno 190 mila metri cubi di “rifiuti industriali pericolosi quali oli minerali, parti di demolizioni di impianti, mattoni refrattari, pet coke” che hanno “cambiato l’orografia della Sardegna”, creando vere e proprie montagne dal nulla.
Addirittura la stima calcolata sarebbe “largamente sottostimata e approssimata per difetto”; tanto è vero che le ruspe dei carabinieri hanno scavato al momento fino a 12 metri di profondità, non trovando la fine di rifiuti interrati. Il tentativo di occultamento sarebbe alquanto evidente poiché le immagini dei consulenti tecnici evidenziano come Italcementi avesse appena disposto altra terra da diporto sopra i rifiuti al chiaro scopo di nasconderli.
In queste aree oggi si riscontrano valori altissimi per contaminanti quali “arsenico, piombo, cadmio, cromo esavalente, ferro, manganese, fluoruri e solfati”, senza considerare che i rifiuti hanno anche coperto la sorgente del Mitza Surri e parte dell'alveo del Rio Surri, emerso solo a seguito degli scavi. La relazione finale del consulente non lascia infatti spazio a dubbi: “I rifiuti rinvenuti nel sottosuolo di pertinenza dello stabilimento dell’Italcementi S.p.A. hanno cagionato inquinamento ambientale, con conseguente compromissione e deterioramento significativo e misurabile del terreno e dell’acqua“.
Una sciagura ambientale i cui costi di una eventuale bonifica, che non riuscirà comunque ad eliminare le conseguenze anche sanitarie sulla popolazione di cinquant'anni di inquinamento, sono stimati tra i venti e i ventisei milioni di euro a seconda del luogo di un eventuale stoccaggio in discarica.
Come si evince dalle carte dunque, siamo di fronte ad un sistematico e prolungato inquinamento cosciente e finalizzato esclusivamente al profitto, che è potuto accadere soltanto attraverso una fitta rete di corruttele anche interne allo stabilimento.
Agli atti ci sono infatti le intercettazioni che raccontano di come i manager contassero “sul clima di solidarietà tra dipendenti volti alla copertura di condotte delittuose, tanto che chi collabora con le forze dell’ordine viene isolato e rischia per la propria incolumità”. E dove il silenzio non si comprava col denaro, il ricatto era il posto di lavoro, senza risparmiarsi in minacce, come sa bene il già citato testimone Omar Cabua che per anni ha fotografato gli sversamenti, li ha mappati e li a denunciati portando gli ispettori direttamente in discarica. Cabua ha subito atti intimidatori, due aggressioni fisiche, e anche il lancio di una molotov in piena notte contro casa sua. Nonostante quello che accadeva a Samatzai fosse sotto gli occhi di tutti. Consuete anche le numerose minacce verbali a suo carico: “Se licenziano, sei morto”.
Questo è l'ennesimo episodio – e perdurando il capitalismo non sarà certo l'ultimo - che parla di comunità violentate, ricattate e costrette a scegliere fra lavoro e salute, fra un salario e la vita. Una contraddizione in termini, gigantesca, soprattutto perché il lavoro e lo stipendio dovrebbero essere funzionali alla vita stessa, al suo tenore e al diritto di vivere in una ambiente sano e in salute, non certo la sua negazione.
Ma ciò è un principio industriale non scritto ma altrettanto evidente del sistema di produzione capitalistico che sfrutta, rapina, distrugge, mortifica uomini e territori ridotti a merce senza valore dai tentacoli del profitto.
Chiudiamo questo articolo riportando le significative parole tratte da una dichiarazione dello stesso Cabua che ci paiono significative, e che rendono onore ad una regione splendida ma impoverita e messa in ginocchio dal collaborazionismo interessato dell'industria con lo Stato borghese in camicia nera e le sue istituzioni locali, che anche in questo caso voltano le spalle ad una popolazione tradita.
“Ho deciso di denunciare lo stato delle cose – ha detto Cabua - perché non tollero che per un pugno di posti di lavoro abbiano devastato il territorio. Per fortuna la giustizia sta facendo il suo corso e qualcuno si è accorto del disastro ambientale che è stato fatto in questi cinquant'anni. Hanno svenduto il territorio e a noi restano solo macerie, malattie, inquinamento e devastazione”.

14 dicembre 2022