Lo rivela l'Istat
Dal 2007 i salari sono diminuiti del 10%

Mentre i profitti dei padroni continuano a lievitare, grazie anche alle vantaggiose misure di decontribuzione fiscale introdotte dai governi che si sono succeduti nel corso dell'ultimo quinquennio compreso l'attuale esecutivo guidato dalla neofascista Meloni, i salari dei lavoratori sono diminuiti del 10% e il loro potere di acquisto continua ad essere falcidiato dalla crisi economica capitalistica aggravata dalla pandemia, dal caro-vita, dall'inflazione, dal caro bollette e dalla guerra.
A certificarlo è lo stesso Istituto nazionale di statistica che il 20 dicembre ha pubblicato i dati scaturiti dall'indagine annuale su “Reddito e condizioni di vita 2021” a conferma delle drammatiche condizioni di vita e di lavoro con cui quotidianamente sono costrette a fare i conti le masse popolari e lavoratrici italiane per riuscire a sbarcare il lunario.
Secondo i dati Istat: “Confrontando le variazioni a prezzi costanti nelle componenti del costo del lavoro tra il 2007 (anno che precede la crisi economica) e il 2020 risulta che i contributi sociali dei datori di lavoro sono diminuiti del 4%, anche per l’introduzione di misure di decontribuzioni mentre i contributi dei lavoratori sono rimasti sostanzialmente invariati, le imposte sul lavoro dipendente sono aumentate in media del 2%, la retribuzione netta a disposizione dei lavoratori si è ridotta del 10%”.
Il dato è calcolato dall’Istat ed espresso in termini reali ossia tenendo conto dell’inflazione.
Nel 2020, rileva ancora l’Istat, con i redditi netti da lavoro dipendente in calo del 5%, il valore medio del costo del lavoro, al lordo delle imposte e dei contributi sociali, è pari a 31.797 euro, il 4,3% in meno dell’anno precedente. La retribuzione netta a disposizione del lavoratore – si legge nel rapporto – è pari a 17.335 euro e costituisce poco più della metà del totale del costo del lavoro (54,5%). Il cuneo fiscale e contributivo, ossia la differenza tra il costo sostenuto dal datore di lavoro e la retribuzione netta del lavoratore, è in media pari a 14.600 euro e sebbene si riduca del 5,1% rispetto al 2019 continua a superare il 45% del costo del lavoro (45,5%). I contributi sociali dei datori di lavoro costituiscono la componente più elevata (24,9%), il restante 20,6% risulta a carico dei lavoratori: il 13,9%, sotto forma di imposte dirette e il 6,7% di contributi sociali.
Ma bisogna sempre ricordare che, anche se a versare tasse e contributi è materialmente il padrone, il carico del cuneo fiscale cade di fatto tutto sui lavoratori visto che gli imprenditori possono calibrare la retribuzione netta anche in base alla quota da detrarre per gli oneri.
Inoltre l’Istat segnala che nel 2020 il 76% dei salari non superava i 30mila euro all’anno. La metà dei redditi lordi individuali è infatti tra i 10mila e i 30mila euro ogni dodici mesi, mentre oltre il 25% è sotto i 10mila. Solo il 3,7% dei lavoratori, quindi, guadagna oltre 70mila euro l’anno.
Il reddito medio da lavoro autonomo è poi di 24.885 euro ogni dodici mesi, circa il 6% in meno del 2019. Per partite Iva e affini le imposte pesano il 14,1% e i contributi sociali il 17,4%.
Inoltre, nel 2020 con un aliquota media del 22%, le coppie di anziani senza figli sono la tipologia su cui grava il maggior prelievo fiscale.
Nel 2020 si stima che la riduzione del cuneo fiscale (bonus Irpef e trattamento integrativo) abbia interessato 12,7 milioni di persone, per una spesa complessiva di 10,8 miliardi di euro di trasferimenti, pari a 850 euro pro capite.
Secondo l’indagine, il beneficio fiscale è andato maggiormente a vantaggio dei salariati appartenenti ai quinti di reddito familiare equivalente medio-alti: il 17,3% è andato a vantaggio dell’ultimo quinto (il più benestante), il 26,4% a beneficio del quarto quinto (cioè il gruppo appena al di sotto di quello più abbiente), il 24,1% al terzo quinto (corpo centrale della distribuzione), il 20,3% al secondo e solo l’11,9% è andato al primo quinto (quello più povero).

4 gennaio 2023