La finanziaria del governo neofascista Meloni, solo acqua fresca per i lavoratori, i poveri, i giovani e il Mezzogiorno

Tagli per miliardi al Reddito di cittadinanza, all'indicizzazione delle pensioni medio-basse e alle politiche attive per il lavoro; ai fondi per gli affitti, le carceri, il soccorso civile, la coesione territoriale, le politiche giovanili e il servizio civile; all'edilizia scolastica, alle supplenze, ai malati oncologici e ai medici e infermieri dei pronto soccorso. E tutto ciò per finanziare le imprese, l'estensione della flat tax, i condoni e le agevolazioni fiscali ad autonomi, professionisti, evasori fiscali, esportatori di capitali e società di calcio; gli aumenti al personale della polizia e dell'esercito; gli aiuti alla famiglia e alla “natalità” e alle scuole private, il rifinanziamento del progetto del ponte di Messina. Mentre ai lavoratori va solo la misera riduzione del cuneo fiscale da poche decine di euro, e al Sud l'elemosina del prolungamento di un anno del credito d'imposta per gli investimenti privati.
Questa è l'essenza classista, iniqua e filopadronale della prima legge di Bilancio del governo neofascista Meloni, così come emerge sfacciatamente dal raffronto tra chi ne riceve i benefici, cioè le classi sociali più abbienti e gli evasori fiscali che rappresentano il grosso del bacino elettorale della destra, e chi è chiamato a pagarli: i lavoratori, i disoccupati, i pensionati, i giovani, gli indigenti, gli immigrati, il Mezzogiorno.
Dei 35 miliardi complessivi della manovra la maggior quota, circa 21 miliardi da conteggiare in deficit, erano già stati vincolati da Draghi e dalla Ue per calmierare le bollette energetiche alle imprese tramite crediti d'imposta e alle famiglie più povere tramite sconti in bolletta. Anche se va osservato che dureranno solo fino ad aprile, dopodiché c'è il buio più fitto. Mentre nel frattempo il governo ha pensato bene di abolire lo sconto sulle accise sui carburanti decretato nei mesi scorsi da Draghi, il cui prezzo da gennaio è schizzato alle stelle! Vediamo perciò più in dettaglio come il governo Meloni ha ripartito i 14 miliardi su cui ha potuto manovrare autonomamente, ovvero chi ne ha generosamente beneficiato e chi ne ha pagato invece il conto, concentrando l'attenzione sulle novità apportate in parlamento rispetto al testo originale già analizzato su “Il Bolscevico” n. 44 del 2022.

Reddito di cittadinanza
Al Rdc il parlamento ha inferto un altro taglio di 200 milioni, portando così il totale a 1 miliardo, coll'anticipo di un altro mese, cioè a luglio 2023, della revoca per circa 700 mila “occupabili” e 400 mila famiglie. Ma non solo. Ha cancellato anche la condizione di “congrua” e nel raggio di 80 km, per la prima e unica offerta di lavoro rifiutando la quale il percettore perde il sussidio. Ciò significa che al primo rifiuto di un lavoro a qualunque condizione, anche schiavistica, e anche all'altro capo della penisola, si perde il reddito. Una clausola capestro fatta a sommo studio, specie se la si valuta insieme al nuovo decreto flussi che sta preparando il ministro dell'Interno Piantedosi: prima di assumere un lavoratore straniero il datore dovrà verificare presso il centro per l'impiego competente l'indisponibilità di lavoratori italiani, e il centro verificherà, su tutto il territorio nazionale, l'esistenza di percettori di Rdc atti a fare quel lavoro. In questo modo si accelera enormemente il vaglio dei percettori a cui revocare il sussidio. Chi prende il Rdc “non può aspettare il lavoro dei suoi sogni”, ha sentenziato sprezzantemente Giorgia Meloni.

Pensioni
È il capitolo da cui il governo ha ricavato il gettito più corposo per finanziare flat tax, condoni e tutte le altre sue misure bandiera: 3,5 miliardi solo per il 2023 dal taglio progressivo della rivalutazione delle pensioni al di sopra di 4 volte il minimo (2.100 euro lordi, non certo una pensione da ricchi), più altri 200 milioni dal fondo per l'uscita anticipata nelle Pmi in crisi. Nell'intero triennio il taglio, che colpisce il 20% dei pensionati, ammonterà a ben 17 miliardi; che saliranno a 36 in 10 anni. Per accontentare la Cisl che non ha scioperato contro la manovra, il governo ha portato dall'80 all'85% la rivalutazione degli assegni tra 4 e 5 volte il minimo (2.600 euro).
A fronte di questi ingenti tagli il governo vanta, come contropartita sulle pensioni, l'aumento delle minime a 600 euro, promessa elettorale di Berlusconi, Quota 103 e Opzione donna. Ma l'aumento reale delle minime è di circa 40 euro e vale solo per i pensionati sopra i 75 anni, per un'uscita per lo Stato di solo 200 milioni. E quanto a Quota 103 e Opzione donna - che ricordiamo subordina il pensionamento anticipato per le donne (col 30% di decurtazione dell'assegno) ad essere anche caregiver, o inabili al 75% o dipendenti di aziende in crisi, e soprattutto al numero di figli secondo la concezione mussoliniana della donna – la Cgil valuta che proprio a causa delle pesanti condizioni poste interesseranno molte meno persone di quelle gabellate dal governo: 11 mila (di cui solo 2 mila donne), invece delle 41 mila annunciate per Quota 103; 870 rispetto alle 2.900 previste per Opzione donna; e 13 mila rispetto a 20 mila stimate per Ape sociale. In tutto una spesa dichiarata di 726 milioni, che nella realtà si ridurranno ad appena 274,3 milioni.

Enti locali, Lavoro, giovani, migranti
C'è poi tutta una serie di tagli, più o meno minori, che gravano direttamente o indirettamente sulle spalle dei lavoratori e dei ceti più disagiati. Come ad esempio i mancati trasferimenti che i Comuni lamentano per almeno 1 miliardo, come risulta in un dossier consegnato dai sindaci al governo a inizio dicembre, rilevando che solo l'impatto degli aumenti delle bollette energetiche sui bilanci è di 1,6 miliardi, a fronte di stanziamenti a sostegno di solo 990 milioni; senza contare altre spese aggiuntive previste dalla manovra per 400 milioni e i 300 milioni di mancate entrate per lo stralcio delle cartelle esattoriali.
Per il lavoro, nonostante un aumento della spesa dovuto però solo a cassa integrazione e indennità di disoccupazione, si registra paradossalmente un taglio di 30 milioni alle politiche attive (centri per l'impiego e altro), a fronte della forsennata propaganda contro i sussidiati “divanisti” che il lavoro non se lo andrebbero a cercare. Così come, a fronte della premier che in conferenza stampa si vantava che questa manovra investe “sul futuro e sui giovani”, si dimezzano i fondi per il sostegno della gioventù (da 410 a 205 milioni) e si riducono da 311 a 111 milioni anche quelli per il servizio civile.
C'è poi il capitolo casa e assetto urbanistico che perde il 23% degli stanziamenti, scendendo da 1,37 a 1 miliardo. In particolare crollano da 240 a soli 12,6 milioni gli interventi e misure per ridurre il disagio abitativo, visto che nella manovra il governo ha azzerato i fondi destinati ai contributi per l'affitto e alla morosità incolpevole. “La casa è un bene sacro, non pignorabile, non tassabile”, ha sentenziato ancora Meloni in conferenza stampa: ma per chi ce l’ha, gli altri dovranno arrangiarsi. Saccheggiati dalla maggioranza anche i fondi per le misure “rivolte a promuovere la crescita ed il superamento degli squilibri socio-economici territoriali”, che crollano da 15,4 a 9,7 miliardi. Più che saccheggiati anche i fondi dei finanziamenti per la ricostruzione dei territori colpiti da calamità, a cui sono stati sottratti ben 1,4 miliardi con la scusa che tanto ci saranno i soldi dei privati e del Pnrr.
Altri 20 milioni sono stati poi scippati alla voce “interventi a favore degli stranieri anche richiedenti asilo e profughi”, più 30 milioni agli stanziamenti per la cooperazione migratoria; e crolla da 10 milioni a 1,7 pure il sostegno per promuovere i rapporti con le confessioni religiose, così come cala di 35 milioni la spesa per la cooperazione e lo sviluppo, alla faccia dell'“aiutiamoli a casa loro”.

Scuola, sanità, lavoratori pubblici

Scuola e sanità pubbliche sono gli altri due grandi capitoli di spesa che pagano la manovra classista del governo Meloni. Formalmente non ci sono tagli ai finanziamenti, ma la realtà è ben diversa. Intanto c'è uno scandaloso aumento di 30 milioni di euro per la scuola paritaria, ed altrettanto scandaloso è l'emendamento del governo che aumenta il personale e la dotazione finanziaria al gabinetto del ministro Valditara: tutte risorse che vengono sottratte alla scuola pubblica che versa da decenni in condizioni sempre più pietose. Poi il fondo per le supplenze perde ben 270 milioni e gli interventi per la sicurezza nelle scuole statali e l'edilizia scolastica ne perdono un'altra cinquantina, pur essendo il saldo complessivo degli stanziamenti alla scuola pubblica leggermente aumentato rispetto al 2022.

Infine la manovra prevede il “dimensionamento” annuale della rete scolastica, con l'innalzamento della soglia minima da 600 a 900 alunni, che si prevede porterà al taglio di circa 700 sedi in tre anni. Per Francesco Sinopoli, segretario generale della Flc-Cgil, “L'accorpamento degli istituti si configura come un vero e proprio taglio che ancora una volta andrà a colpire le regioni e i territori più deboli. Si tratta di una scelta politica precisa, in continuità con quanto già realizzato in passato, un accanimento dettato da una visione economicistica della scuola”.

Per la sanità i 2,1 miliardi che il governo si vanta di aver messo in più quest'anno sono invece nettamente insufficienti persino a ripristinare i livelli pre-covid, visto che 1,4 miliardi se ne andranno solo per pagare gli aumenti delle bollette di questi mesi e che c'è un buco pregresso di 3,8 miliardi per i costi non coperti dell'energia e delle spese per il covid. In ogni caso non c'è nemmeno un euro per il rinnovo del contratto di medici e personale sanitario, tanto meno per le migliaia di nuove assunzioni indispensabili per coprire la spaventosa carenza di personale negli ospedali e negli ambulatori creata da decenni di blocco del turn-over e dalle fughe in massa verso la sanità privata, per via dei bassi stipendi e del sovraccarico di lavoro nelle corsie.

Il contratto 2029-2021 è già scaduto senza che i sindacati siano stati nemmeno convocati, e sta prendendo sempre più piede il sistema dei medici delle cooperative private strapagati a gettone per far fronte alla carenza di organici. Mentre in parlamento si è aggiunta la beffa della cancellazione dei 200 milioni promessi a medici e infermieri dei pronto soccorso che sono allo stremo, e perfino dei 20 milioni in due anni destinati al Piano oncologico nazionale. E tutto questo in un Paese in cui la spesa sanitaria è cresciuta solo del 2,8% all'anno contro una media Ue del 4,2%. Anzi, il Documento programmatico di Bilancio inviato a fine novembre dal ministro Giorgetti a Bruxelles prevede che da quest'anno la spesa sanitaria cali sia in assoluto che in proporzione al Pil, dal 7% del 2022 al 6,1% nel 2023, perfino più di quanto previsto nel Def di Draghi, dove era fissata al 6,2%. E sempre secondo il Dpb, dai lavoratori pubblici in generale saranno spremuti 3 miliardi in tre anni, e dai consumi pubblici altri 4,1 miliardi.

Flat tax, condoni, agevolazioni fiscali, polizia ed esercito
Ecco chi paga l'estensione della flat tax al 15% da 65 mila a 85 mila euro di ricavi per circa 100 mila partite iva e professionisti, bacino elettorale egemonizzato dalla destra, che costerà circa 280 milioni l'anno e sarà fortemente punitiva per i lavoratori dipendenti, che pagheranno fino a 10 mila euro in più di tasse rispetto ad un professionista con lo stesso reddito. E va considerato che tra gli autonomi non viene dichiarato il 65-70% del reddito.
Ed ecco chi paga la “pace fiscale” del governo, che consiste in una decina tra sanatorie ed agevolazioni fiscali, più altre aggiunte in parlamento a favore di multinazionali e fondi d'investimento con sede nei paradisi fiscali, nonché delle società calcistiche, prevalentemente della serie A e segnatamente i club più grandi, che grazie all'emendamento “salvacalcio” del senatore di FdI Lotito, patron della Lazio, potranno spalmare gli 889 milioni di debiti con lo Stato, tra iva, contributi previdenziali e tasse, in 60 comode rate mensili, senza interessi e pagando solo una maggiorazione del 3%. Il governo dice che non si tratta di condoni, perché non c'è perdita per lo Stato, ma ciò è del tutto falso, visto che queste misure costeranno 3,6 miliardi in 10 anni, di cui 1,6 già nel 2023.
Senza contare che ben 4,2 dei 14 miliardi spendibili della manovra per compiacere i ceti sociali di riferimento per la maggioranza sono distribuiti alle imprese, prevalentemente sotto forma finanziamenti agevolati e garanzie sui prestiti, che salgono da 3,8 a 10,1 miliardi rispetto all'anno scorso. Così come corposi sono anche gli stanziamenti per ordine pubblico e sicurezza e per le forze armate. Che salgono infatti di quasi mezzo miliardo per il personale dei carabinieri, di 680 milioni per l'“ammodernamento, rinnovamento e sostegno delle capacità” delle forze armate e di 800 milioni per il contrasto al crimine e “tutela dell’ordine e sicurezza pubblica”. In questo ambito c'è il raddoppio della spesa per la Polizia di Stato, che sale a oltre 1 miliardo, e l’aumento di 360 milioni delle spese per il personale del corpo. A cui si aggiungono 100 milioni in più per le missioni internazionali.
Nel ricco paniere rientrano anche gli 1,6 miliardi per la voce “opere di preminente interesse nazionale”, in cui rientra anche il ponte sullo stretto di Messina caro al vicepremier e ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini.

11 gennaio 2023