No alla Scuola del Merito e della Meritocrazia

 
Pubblichiamo il primo articolo redazionale del compagno simpatizzante del PMLI Carlo Cafiero di Napoli, nuovo Collaboratore esterno della Redazione centrale de "Il Bolscevico". Con lui salgono a quattro i Collaboratori esterni, di cui uno è un membro di base del PMLI, gli altri sono simpatizzanti del PMLI.
 
Il 22 ottobre 2022 ha prestato giuramento al Quirinale il governo neofascista presieduto da Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, il partito più votato nelle elezioni del 25 settembre 2022 (però, non il primo partito, che invece è stato “quello” dell’astensionismo con circa il 40%). Con la nascita dell’attuale governo, esattamente 100 anni dopo la marcia su Roma di Mussolini, si conclude la marcia su Roma elettorale iniziata dal Movimento Sociale Italiano fondato nel 1946 dal repubblichino Giorgio Almirante. E come nel 1922 il neonato Partito Comunista d’Italia, già malato di revisionismo, non riuscì a porre argine al governo fascista tradendo le speranze alimentate dal vento dell’Ottobre Rosso che avevano portato poco prima alla scissione di Livorno, e finendo dopo il delitto Matteotti nel girone dei codardi dell’Aventino, così la “sinistra”, figlia della definitiva liquidazione del PCI revisionista consumatasi negli anni 1989-91, è stata la principale responsabile del ventennio berlusconiano e degli scialbi governi di “centro-sinistra” che si sono via via avvicendati ad esso. L’esecutivo attuale è l’erede naturale di tutto ciò, ed è sotto gli occhi di tutti il ciarpame maschilista, oscurantista, reazionario, clerical-fascista che sta caratterizzando il programma politico della compagine governativa; ciò si è manifestato già dalle parole scelte per etichettare alcuni ministeri o dai nomi di molti fra i “nuovi” ministri. Colpisce, in particolare, il nome che ha assunto il vecchio Ministero della Pubblica Istruzione . Ora si chiama Ministero dell’Istruzione e del Merito , ed è presieduto dal fascio-leghista Giuseppe Valditara.
 
Che cosa significa merito
La parola merito tradisce la sua ambiguità sin dalla sua etimologia. Essa deriva dal verbo latino merere che significa guadagnare, ricompensare, ricevere la propria parte. Hanno la stessa etimologia le parole merce e meretrice . Come sembra intuirsi, il merito è il corrispettivo che viene elargito per una prestazione. Leggendo l’articolo 34 della Costituzione borghese, dove è scritto che “i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi” , viene surrettiziamente veicolata l’idea che la meritocrazia abbia una valenza sociale positiva. È importante però sottolineare che in queste parole il merito viene strettamente legato all’idea di “uguaglianza” (puramente formale), sancita dalla stessa Costituzione, all’articolo 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.” Persino il romanzo distopico “The Rise of the Meritocraty” di Young (1958) (cfr. [8] per un’edizione italiana) ammoniva: “gli appelli in favore di assetti sociali basati sul criterio del merito altro non sono che invocazioni di un’uguaglianza delle opportunità ingannevole, che offre a tutte le persone eguali opportunità di essere diseguali.” Infatti, se le condizioni di partenza non sono le stesse, sia in termini culturali, sia in termini familiari ed economici, è del tutto falso e disonesto propagandare il merito come una sorta di ascensore sociale, che, come ha osservato qualcuno, finisce per esserlo soltanto per chi già si trova al penultimo piano (cfr. [7]).
Il nuovo ministro, già dalle sue prime uscite, non ha perso tempo a nascondere quello che sarà l’indirizzo del suo mandato, caratterizzato da un forte accento ideologico e identitario. Vogliamo ricordare a tal proposito qualche esempio.
La lettera inviata da Valditara agli studenti e ai docenti il 9 novembre 2022, in occasione della Giornata della libertà che ricorda la caduta del muro di Berlino del 1989, è di una gravità inaudita per il suo tono sfacciatamente ideologico, e per il contesto in cui viene imposta, rappresenta un grave errore pedagogico e un oltraggio alla libertà di insegnamento (peraltro, soltanto formale) sancita dall’articolo 33 della Costituzione. Il ministro fascio-leghista, accecato dal furore anticomunista, mistifica la realtà storica arrivando ad affermare che “questa consapevolezza (dell’idea che il Comunismo sia stato il male assoluto) è ancora più attuale oggi, di fronte al risorgere di aggressive nostalgie dell'impero sovietico e alle nuove minacce per la pace in Europa. Il crollo del Muro di Berlino segna il fallimento definitivo dell'utopia rivoluzionaria. E non può che essere, allora, una festa della nostra liberaldemocrazia”.  
Il 21 novembre 2022, in occasione dell’evento “Italia, direzione nord”, il ministro, riferendosi ad un alunno resosi protagonista di un episodio di bullismo presso un liceo di Gallarate, “suggeriva” che “quel ragazzo deve fare i lavori socialmente utili, perché soltanto lavorando per la collettività, per la comunità scolastica, umiliandosi anche - evviva l’umiliazione che è un fattore fondamentale nella crescita e nella costruzione della personalità! - di fronte ai suoi compagni è lui, lì, che si prende la responsabilità dei propri atti e fa lavori per la collettività. Da lì nasce il riscatto. Da lì nasce la maturazione. Da lì nasce la responsabilizzazione .” Grottesco è stato il successivo tentativo di rimediare alla sua gaffe: aveva semplicemente scambiato la parola umiltà con umiliazione. In fondo, poca cosa!
L’ultima chicca di Valditara risale a qualche settimana fa. In un’intervista a Il Foglio, egli ha liquidato con queste parole il diritto allo sciopero riconosciuto anche dall’articolo 40 della Costituzione: “Penso sia cambiato qualcosa in profondità: lo sciopero come strumento di lotta politica non tira più. Non funziona più Si è chiusa, o si sta chiudendo, un’epoca.  È ora di avviare una  stagione di confronto costruttivo, nella logica di quella grande alleanza fra docenti, studenti, famiglie, istituzioni, parti sociali che ho da subito auspicato.”
 
Un filo nero lega questo governo al Ventennio mussoliniano
Perché sorprenderci di tutto ciò? Esiste un filo nero che lega il ministero dell’istruzione e del merito dell’attuale governo neofascista e l’indirizzo che lo sta connotando, con il ministero della pubblica istruzione dei primi anni della dittatura fascista, nel periodo 1922-1924. Titolare del dicastero era allora il filosofo neoidealista Giovanni Gentile, il quale promulgò una riforma, definita dallo stesso Mussolini, “la più fascista delle riforme” . Come è tristemente noto, essa diede vita ad una scuola classista, che escluse i ceti popolari dai ruoli dirigenti e delle professioni, attraverso una struttura rigida che obbligava i figli delle famiglie meno abbienti a “scegliere” percorsi professionalizzanti già all’età di 11 anni. Alla base della riforma vi era una concezione elitaria della cultura e dell’educazione che si realizzava attraverso una selezione basata sul censo con una scuola superiore riservata a pochi meritevoli , con una canalizzazione dei percorsi universitari, il tutto allo scopo di selezionare i futuri quadri delle istituzioni borghesi e delle imprese capitaliste, all’insegna della continuità e della conservazione dei privilegi della classe borghese. Come ebbe a dire lo stesso Gentile in un discorso pronunciato al Senato il 5 febbraio 1925, la sua riforma costituì “una risposta allo squilibrio esistente fra scuola e mercato del lavoro, che si manifesta soprattutto in una crescente sovrapproduzione di forza lavoro intellettuale, e alle tensioni sociali e politiche che questo squilibrio produce.” L’atteggiamento discriminatorio della concezione gentiliana si manifestò anche a livello culturale. Infatti, per Gentile la scienza aveva una valenza puramente pratica e utilitaristica, priva di capacità cognitive autentiche. Essa veniva così ad essere ridotta a mera specializzazione settoriale e ad occupare una posizione subalterna rispetto alla “cultura universale” filosofico-umanistica.
La Costituzione repubblicana, entrata in vigore il 1° gennaio 1948, come in parte già evidenziato in precedenza, sotto il paravento di astratti principi di uguaglianza e di libertà, recepì nei fatti la riforma Gentile. È interessante ricordare le posizioni che assunse il PCI di Togliatti a partire dalla svolta di Salerno riguardo alle politiche scolastiche, del tutto appiattite sulle posizioni borghesi. Come è stato scritto nell’accurato Documento redatto dal CC del PMLI il 1° maggio 1986, dal titolo “La linea scolastica del PMLI” , il PCI “guardava ad una scuola regolata dal mercato del lavoro, subalterna alla necessità di sfoltire il numero di universitari rendendo il sistema di selezione “autenticamente meritocratico” (ostinata illusione cara alla socialdemocrazia) e di aumentare nel contempo gli iscritti alle scuole professionali confinandovi soprattutto gli studenti di estrazione popolare” . In questo modo il PCI consolidò la sua vocazione revisionista e insieme ad altre forze di “centro-sinistra” diede vita ad un’alleanza sociale e politica a rimorchio degli interessi della borghesia. È in questo quadro che va analizzata la legge istitutiva della scuola media unica dell’obbligo (esteso al quattordicesimo anno di età), approvata dal Parlamento nel dicembre 1962. Come ammoniva Lenin nel 1897 (cfr. [4]) “la scuola di classe non ha affatto bisogno di programmi diversi per i ricchi e per i poveri, perché coloro che non hanno i mezzi per acquistare i libri di testo, per pagare le tasse scolastiche, per mantenere l’allievo durante tutto il periodo scolastico, sono semplicemente esclusi dall’istruzione media […] Tutti sanno che sia in Occidente che in Russia la scuola media è, in sostanza, una scuola di classe e favorisce esclusivamente gli interessi di una parte molto esigua della popolazione”. E con gli stessi “occhiali” va letta la legge approvata nel 1985 di riforma della scuola secondaria superiore, quella per intenderci del “sistema formativo integrato” proposto dal PCI che caldeggiava “contenuti culturali e scientifici che consentano ai giovani una formazione e una qualificazione professionale flessibile e adeguata ai processi nuovi che l’innovazione tecnologica determina sulla produzione, nell’organizzazione sociale, nel lavoro.” Per una analisi approfondita di quest’ultima riforma e delle sue implicazioni di classe, si rimanda al già citato Documento del CC del PMLI del 1986.
Le politiche scolastiche e universitarie degli ultimi trent’anni hanno di fatto riportato il percorso nel crinale gentiliano a partire dalle legge Bassanini sull’autonomia, passando per le riforme Moratti e Gelmini, per la “buona scuola” e “l’alternanza scuola-lavoro” di Renzi e compari, fino ad arrivare al recente curriculo per gli esami di Stato, approntato dal ministro Bianchi del governo del banchiere massone Draghi. Esse sono il miserrimo lascito, sono il merito , democraticamente equiripartito tra i governi di “centro-destra” e quelli di “centro-sinistra” che si sono succeduti negli ultimi decenni, come facce di una stessa medaglia.
 
L'UE e la meritocrazia
Volendo estendere le precedenti considerazioni al piano internazionale, almeno europeo, occorre ricordare che un momento importante nella elaborazione dell’ideologia del merito fu sicuramente la pubblicazione nel 1993 da parte dell’Unione Europea del volume “Crescita, competitività, occupazione – Le sfide e le vie da percorrere per entrare nel XXI secolo” . In questo testo gli autori, facendo propria la teoria del capitale umano , sviluppata, a partire dagli anni Cinquanta, dalla famigerata scuola di Chicago (che ebbe un ruolo attivo nel ministero dell’economia in Cile nella metà degli anni Settanta durante il regime fascista di Pinochet, e, negli anni Ottanta, nelle politiche ultraliberiste della Thatcher e di Reagan), gettarono le basi per la definizione di modelli educativi economicistici e autoritari che sono stati via via calati nelle istituzioni scolastiche e universitarie dei paesi dell’Unione.
Nel rapporto intitolato “Educazione e competenza in Europa ”, pubblicato alla fine del 1989 dall’ERT, la Tavola Rotonda Europea degli Industriali, si sottolinea l’importanza strategica vitale della formazione e dell’educazione per la competitività europea per un rinnovamento accelerato dei sistemi d’insegnamento e dei loro programmi .  In particolare, si legge che l’industria non ha che un’influenza molto debole sui programmi impartiti , che gli insegnanti hanno una comprensione insufficiente dell’ambiente economico, degli affari e della nozione di profitto, e che non comprendono i bisogni dell’industria . In un successivo documento si “suggerisce” di moltiplicare i partenariati tra le scuole e le imprese , si esortano gli industriali a prender parte attiva allo sforzo educativo e si chiede ai responsabili politici di coinvolgere le industrie nelle discussioni concernenti l’educazione . Nel Trattato di Maastricht (1992), all’articolo 192, si accordano per la prima volta alla Commissione Europea competenze relative all’insegnamento ratificate poi nel summit di Lisbona del 2000 ed in successivi documenti. La Commissione Europea pubblica, a fine gennaio 2001, il testo strategico “I futuri obiettivi concreti dei sistemi di educazione ”, in cui si propone come obiettivo principale per l’Europa quello “di diventare l’economia della conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, capace di una crescita economica duratura attraverso la diversificazione, la flessibilità e la deregolamentazione dei sistemi di istruzione e formazione.”
Questa deriva economicistica si avverte anche nel linguaggio aziendalistico attualmente utilizzato, dove si parla di debiti formativi , i risultati della ricerca si chiamano prodotti , la conoscenza acquisita è misurata in “crediti formativi e gli insegnanti sono considerati risorse umane e vengono gestiti al pari di strumenti finanziari e strutturali con efficienza ed efficacia, in un’ottica di tipo aziendalista tesa a contenere i costi per massimizzare i profitti (nel senso degli esiti)” (cfr. [3], p. 255).
A suggello di quanto finora detto, è istruttivo ricordare le seguenti parole profetiche pronunciate da Lenin il 29 agosto 1918 al Congresso panrusso dell’istruzione [5]: “Più evoluto è uno Stato borghese, tanto più sottilmente esso mente affermando che la scuola può restare estranea alla politica e servire la società nel suo complesso. In realtà la scuola è stata trasformata per intero in uno strumento di dominio della classe borghese, è stata permeata dello spirito borghese di casta, si è vista assegnare il compito di fornire ai capitalisti docili servi e operai capaci. “
 
Il controllo del governo sulla scuola attraverso i meccanismi valutativi
Nella cornice verticistica precedentemente delineata, si è assistito così alla reductio ad mercaturam (letteralmente, riduzione al commercio) della Scuola e dell’Università; l’autonomia, le capacità e la libertà del docente hanno ceduto il passo alle cosiddette metodologie e alla burocratizzazione che, calate dall’alto, hanno svilito e umiliato il suo ruolo sociale e culturale. In tal modo, è stato stravolto anche l’articolo 33 della Costituzione secondo cui, almeno formalmente “l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento” . Il peso soffocante di questo nuovo ordine autoritario è regolato da un meccanismo valutativo centralizzato, affidato all’INVALSI per la Scuola e all’ANVUR per l’Università. Queste agenzie sono un’emanazione diretta del governo che, attraverso un sistema valutazione standardizzato, di omologazione cognitiva, accampano la pretesa di “misurare scientificamente” il merito (di alunni, docenti e di istituzioni educative) o i cosiddetti talenti tanto cari all’attuale ministro (si legga a tal uopo la lettera appena inviata dal ministero ai genitori in vista delle iscrizioni dell’anno scolastico 2023/2024, le cui domande possono essere presentate dal 9 al 30 gennaio 2023). L’effetto perverso dei sistemi valutativi centralizzati e standardizzati è quello di alimentare artatamente nei soggetti destinatari la consapevolezza che l’insuccesso deriva esclusivamente dalla propria incapacità e dal proprio disimpegno, e non già da un sistema sociale che pretende di assicurare pari opportunità, ignorando surrettiziamente la disparità delle condizioni iniziali. Facendo eco alle tesi di Marx espresse nella “Critica del Programma di Gotha” (1875), dove si legge che nella futura società comunista sarà richiesto “da ognuno secondo le sue capacità”, e sarà dato “a ognuno secondo i suoi bisogni ”, Lorenzo Milani avvertiva che “non c’è ingiustizia più grande che fare parti uguali fra diversi “.
Come è noto, uno dei cardini su cui si fonda l’ideologia del merito, a livello scolastico, è rappresentato dalla cosiddetta didattica delle competenze ; dietro la retorica di rendere il sapere astratto un saper fare concreto , si persegue l’obiettivo della trasformazione dei sistemi di istruzione nazionali e internazionali in strumenti al servizio della competitività economica. Alla base vi è una concezione utilitaristica della conoscenza la cui validità è misurata dagli immediati risultati applicativi in contesti di produttività ed efficienza economica. Come già osservava Lenin nel 1920 (cfr. [6]), alla base della scuola borghese vi è la necessità di istruire e ammaestrare i futuri lavoratori “in modo da poter fornire ad essa servi idonei, capaci di procurarle il profitto e che al tempo stesso non turbino la sua quiete e il suo ozio” . In realtà, le conoscenze dovrebbero essere fatte di saperi e non di prescrizioni, poiché oggi più che in passato le conoscenze scientifiche e tecnologiche progrediscono rapidamente ed il rischio di obsolescenza è elevato. Sarebbe forse più opportuno “sapere cosa e perché” in luogo soltanto di “saper come”. È necessario avere cioè un atteggiamento critico, razionale ed una capacità di autoaggiornarsi, perché l’autonomia mentale come scopo pedagogico è di gran lunga superiore all’apprendimento delle capacità esecutive, anche se perfette. Invece, si assiste alla messa al bando del sapere critico e alla demonizzazione dell’idea del conflitto come sprone al sapere e, in senso lato, alla Bildung , cioè allo sviluppo integrale dell’individuo, che ha coscienza di sé, del proprio valore intrinseco e del suo ruolo come cittadino del mondo (cfr. [1]).
Questa campagna ideologica fondata sull’intimidazione, sulla delazione, sulla messa al bando di ogni forma di dissenso, come già sperimentato nel periodo dell’emergenza sanitaria, sta radicalizzando il processo della sorveglianza sociale. Siamo arrivati alle estreme conseguenze del quadro che profeticamente Engels delineava nell’Anti-Duhring nel 1878: “Ogni giorno esistono centinaia di esseri umani che, abbindolati dai mezzi di comunicazione, darebbero persino la vita per gli stessi uomini che li sfruttano da generazioni .”
Dalle riflessioni precedenti appare evidente la complessità dei problemi della Scuola, dell’Università e della Società attuale legati a questa fase storica del capitalismo. Confortano le reazioni degli studenti che hanno ripreso a mobilitarsi e ad affollare le piazze, come è avvenuto lo scorso 18 novembre quando circa 150 mila studenti hanno manifestato in oltre 80 piazze italiane contro la scuola del merito (per un resoconto dettagliato, si legga l’articolo pubblicato sul numero N. 43 - 1 dicembre 2022 de “Il Bolscevico ”). Come pure, sono da apprezzare le prese di posizione di diversi intellettuali italiani, che, pur rimanendo ancorati ad un orizzonte borghese, hanno espresso critiche nette sull’operato dell’attuale governo e di quelli precedenti sulle politiche scolastiche. Pensiamo ad esempio, al costituzionalista Zagrebelsky (del quale segnaliamo il volume [9] appena pubblicato), allo storico dell’arte Montanari, rettore dell’Università per stranieri di Siena (cfr. l’intervista pubblicata da ROARS che si può trovare al link https://sinistrainrete.info/societa/22455-tomaso-montanari-scuola-universita-costituzione-la-necessaria-polemica-contro-il-presente.html), o allo storico Boarelli (cfr. l’agile saggio [2]).
Tutti questi tentativi, spesso lodevoli e sinceri, costituiscono tuttavia soltanto dei palliativi che non risolvono definitivamente il problema. Qualcuno, ad esempio, ha parlato di una redistribuzione delle risorse e dei servizi come ad uno strumento utile ad arginare le disuguaglianze.
 
Impugniamo la linea scolastica del PMLI
Prima di concludere vogliamo richiamare un documento del PMLI del 23 gennaio 2013, dal titolo “Applichiamo gli insegnamenti di Marx, Lenin e Mao e la linea del PMLI sull'istruzione” (cfr. http://www.pmli.it/applicareinsegnamentimaestriistruzione.htm ), in cui viene descritta la deriva economicistica del sistema scolastico e universitario con le seguenti parole di chiarezza cristallina: Basta fermarsi ad analizzare gli orientamenti, le finalità, i metodi didattici e pedagogici della scuola e dell'università italiane per rendersi conto, nella pratica, di come viene veicolata la concezione borghese del mondo. Sul piano didattico, agli studenti viene insegnato la sacralità del capitalismo come unico sistema possibile al mondo, la giustificazione dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo, la collaborazione di classe e l'intoccabilità delle istituzioni borghesi dietro la maschera dell'"educazione civica", il nazionalismo (emblematico lo studio dell'inno di Mameli a scuola, ma anche l'esaltazione dei fasti dell'imperialismo italiano ed europeo), la concezione idealista della storia, della filosofia, della letteratura e dell'arte, la riabilitazione del ventennio fascista, la denigrazione totale dell'esperienza storica del socialismo e della gloriosa Resistenza antifascista. Sul piano pedagogico, vengono impartiti l'obbedienza gerarchica, la competizione fra gli studenti (che in ultima analisi educa alla concorrenza capitalista ed alla legge della giungla che domina la società borghese), il nozionismo (alla faccia dei "saperi critici"!), la separazione fra il lavoro intellettuale e il lavoro manuale disprezzando quest'ultimo a favore del primo, il carrierismo, la ricerca spasmodica del successo, l'individualismo e l'egoismo. Nonostante le belle parole degli apologeti della borghesia, lo studio nell'istruzione borghese non è una formazione e un arricchimento di sé, bensì una gara per vedere chi è più bravo e chi può avere successo a scapito degli altri, aiutato magari dalle disponibilità economiche della famiglia di origine che possono permettergli maggiori possibilità in itinere (ripetizioni, corsi aggiuntivi, ecc.) e l'accesso ai livelli più alti della formazione. Ecco il vero senso della meritocrazia di cui si riempiono la bocca i picconatori dell'istruzione pubblica.”
La soluzione vera e definitiva che propone il PMLI è nota, e consiste nel abbattimento dell’attuale sistema sociale ed economico e nell’instaurazione del socialismo. La strada, non lo nascondiamo, è lunga ed irta di difficoltà. Uno degli aspetti più problematici è la polverizzazione del proletariato che si è venuta via via a creare (e qualche ragione si è cercato di evidenziare nella precedente analisi) che ha reso meno definito il contorno delle classi in lotta e di conseguenza la consapevolezza di una coscienza di classe. Potremmo dire che mentre da un lato i padroni, gli sfruttatori si strutturano sempre di più in monopoli, dall’altro lato gli sfruttati, le masse proletarie si ampliano e al tempo stesso perdono la coscienza di classe e sono bombardate e turlupinate dalla concezione borghese del mondo fondata sull'esasperazione dell’individualismo e della competizione economica. Per poter adempiere alla sua missione di portata storica, il PMLI deve armarsi metaforicamente di un telescopio per studiare e contrastare i monopoli e il loro potere e di un microscopio affinché mediante un’azione dal basso renda la classe del proletariato cosciente di sé stessa e della propria forza incendiaria.
La sfida non è facile, e per questo è ancora più affascinante. Diamo forza al Partito Marxista Leninista Italiano, ciascuno facendo la propria parte, cercando, attraverso piccole scintille, di contribuire un giorno non lontano a dar fuoco all’intera prateria.
 
 
 
Riferimenti bibliografici
[1] BENASAYAG M., DEL REY A., Elogio del conflitto, Feltrinelli, 2018.
[2] BOARELLI M., Contro l’ideologia del merito, Laterza, 2019.
[3] COLELLA S., GENERALI D., MINAZZI F., La scuola dell’ignoranza, Mimesis, 2019.
[4] LENIN: Per la progettomania populista, fine 1897, Opere Complete, vol. 2.
[5] LENIN: Discorso al Primo Congresso dell’Istruzione, 28 agosto 1918, Opere Complete, vol. 28.
[6] LENIN: I compiti delle associazioni giovanili, 5 ottobre 1920, Opere Complete, vol. 31.
[7] SANDEL M. J., La tirannia del merito – Perché viviamo in una società di vincitori e di perdenti, Feltrinelli, 2021.
[8] YOUNG M., L’avvento della Meritocrazia, Edizioni di Comunità, 2014.
[9] ZAGREBELSKY G., La Lezione, Einaudi, 2022.
* Dal brano Kunta Kinte di D. Silvestri

11 gennaio 2023