A spese del popolo
Le regioni alzano i vitalizi agli ex consiglieri
I vergognosi aumenti furono varati dal governo Conte I

Dal primo gennaio 2023, grazie all’intesa sottoscritta dal governo Conte I il 3 aprile 2019 in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano che ha ancorato i vitalizi degli ex consiglieri regionali all’andamento dell’inflazione, è scattato in loro favore uno scandaloso aumento del 12%.
Proprio i 5 Stelle, che prima di andare al governo dichiararono “guerra ai privilegi del Palazzo” e proprio il trasformista Conte, autoproclamatosi “avvocato del popolo” che a parole dice di difendere i poveri ma alla chetichella ha foraggiato la casta dei politicanti borghesi quando era a Palazzo Chigi e ora se la spassa concedendosi lussuose vacanze negli hotel più prestigiosi e festeggiamenti di fine anno a Cortina.
Uno schiaffo agli oltre 12 milioni poveri accertati che invece stentano a mettere insieme il pranzo con la cena; un affronto al cospetto degli oltre 6 milioni e 300 mila lavoratori con contratto scaduto e non rinnovato e alla faccia delle masse popolari che a causa dell'inflazione record nel 2023 subiranno invece una nuova raffica di aumenti pari a circa 2.400 euro in più medi a famiglia rispetto all'anno appena passato per poter far fronte alle spese di prima necessità.
Tra i primi a incassare il nuovo aumento ci sono gli ex consiglieri regionali liguri i cui vitalizi sono stati aumentati già prima del cenone di Capodanno di ben il 12 per cento. Forse era proprio a loro che si riferiva il presidente della Liguria Giovanni Toti quando in occasione del discorso di fine anno ha affermato che “Stiamo lavorando perché la nostra Regione diventi una sorta di Florida d’Italia, un posto dove si sta bene a tutte le età”.
Un bel regalo di fine e inizio anno che contribuirà a far lievitare i costi dell’amministrazione ligure di circa 800 mila euro nel 2023 rispetto all’anno appena concluso.
Lo stesso ha fatto il Consiglio Trentino che però furbescamente ha deciso di spalmare l'aumento secco del 12% nel triennio 2023-2025 dividendolo in tre tranche del 4% annuo per poi tornare dal 2026 ad applicare la rivalutazione piena dell’indice di inflazione tutta d'un colpo. Una decisione che non è piaciuta al presidente dell'associazione ex consiglieri Franz Pahl che ha annunciato una sequela di ricorsi perché a suo dire “Ci trattano come immondizia”.
Al fianco di Franz Pahl ci sono altre decine di ex eletti in tutte le regioni d'Italia determinati a dare battaglia contro i tentativi di contenere gli effetti benefici dell’inflazione sugli assegni. In Toscana ad esempio tra i più agguerriti c'è l’ex parlamentare di An Roberto Benedetti, vecchio camerata e amico della premier Giorgia Meloni, che presiede l’omologa associazione dei consiglieri regionali perché ritiene che: “Sono stati violati dei diritti” e siccome, ha aggiunto: “questo è uno Stato di diritto non uno Stato a furor di popolo. Faremo valere le nostre ragioni”. In Toscana il costo dei vitalizi è di circa 4 milioni all’anno e il Consiglio regionale ha deciso che per quest’anno sarà aumentato di un altro 3% per far fronte agli aumenti.
In Umbria invece si era preventivato un ritocco al rialzo del 5,5%, ma alla fine potrebbe essere dell’8%, con un aumento dei costi nel 2023 di quasi mezzo milione di euro, maggiore di quello scontato dalle casse regionali per il caro energia.
E poi c'è la Calabria. Qui i vitalizi costano 9 milioni all’anno e ne gode un esercito di politici, tra cui l’ex presidente Giuseppe Scopelliti che ha finito di scontare la condanna a 4 anni e 7 mesi per falso in atto pubblico. E non è tutto. La Regione continuerà pure a foraggiare l’associazione degli ex consiglieri: 240 mila euro che serviranno a sostenere la loro battaglia per tenersi il vitalizio e reclamarne tutti e subito gli “aumenti dovuti”.
Fino agli inizi degli anni '70 il vitalizio per i consiglieri regionali non solo non era previsto dalla normativa statale istitutiva delle Regioni, ma era espressamente vietato dall’art. 18 della legge n.53 del 1962, che stabiliva: “Ai membri dei Consigli regionali non possono essere attribuiti con legge della Regione prerogative e titoli che per legge o per tradizione siano propri dei membri del Parlamento o del Governo”.
Secondo quanto ricostruito in un articolo/dossier di Roberto Crea, Segretario di Cittadinanzattiva Lazio Onlus, e pubblicato sul sito dell'Associazione carteinregola.it, i vitalizi furono istituiti, quasi contestualmente agli Statuti regionali (1971) ma erano erogati come quota ricavata all’interno dell’indennità di consigliere regionale, da percepire in maniera differita, nei limiti di disponibilità del relativo fondo, senza ulteriori oneri a carico del bilancio regionale.
Tutte le Regioni, all’atto dell’istituzione del fondo, avevano constatato la sua inadeguatezza nell’onorare i corposi vitalizi previsti e così, fin dalla seconda legislatura, furono approvate, con l’accordo di tutti i partiti a livello nazionale, una serie di norme in base alle quali “l’eventuale disavanzo del fondo poteva essere integrato con una contribuzione “una tantum”, a carico del bilancio del consiglio regionale”.
Norme che pur non trovando alcuna legittimazione né in una legge dello Stato, né in una previsione di rango costituzionale, né nello Statuto delle singole regioni, hanno di fatto trasformato la contribuzione una tantum in una voce di bilancio permanente e sempre più remunerativa al punto che nel 2012 tale voce era arrivata ad assorbire mediamente il 78% della spesa destinata al funzionamento dei Consigli regionali per un totale di circa 100 milioni di euro all'anno.
Il continuo aumento dei vitalizi degli ex consiglieri regionali scatenò un'ondata di indignazione pubblica tale da costringere il governo Berlusconi IV e l'allora ministro dell'Economia e Finanze Giulio Tremonti a correre ai ripari con il varo del decreto legge n.138-2011 che all’art. 14 prevedeva “il passaggio, entro sei mesi dalla sua entrata in vigore e con efficacia a decorrere dalla prima legislatura regionale successiva” al sistema previdenziale contributivo anche per i consiglieri regionali rapportato ai contributi effettivamente versati senza più pesare sui bilanci regionali.
Ma nella seconda metà del 2012, con l'insediamento del governo Monti, le Regioni a statuto ordinario invece di applicare la normativa sui vitalizi decisero di abolire a partire dalla successiva consigliatura solo gli assegni di fine mandato, mantenendo però in vita tutti gli altri privilegi a cominciare dai vitalizi calcolati col metodo retributivo e non col contributivo come imponeva la legge e soprattutto confermando tutti gli importi già maturati a favore di tutti i consiglieri in carica, cioè per sé stessi.
Uno scandalo nello scandalo che costrinse anche il successivo governo Monti a rimettere mano sulla materia con il decreto legge 10 ottobre 2012, n. 174: “Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali” il quale prevedeva, all’art. 2. una cospicua “Riduzione dei costi della politica nelle regioni... entro il 23 dicembre 2012, ovvero entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”.
Ma anche stavolta, fatta la legge, trovato l'inganno. Tutto fu ancora una volta azzerato in sede di conversione del decreto grazie a un emendamento di iniziativa parlamentare aggiunto all’art. 2 che recita: “le disposizioni già previste dal decreto legge 10 ottobre 2012, n. 174, non si applicano alle regioni che abbiano abolito gli assegni di fine mandato”.
E siccome le Regioni avevano già proceduto all’approvazione di leggi di abolizione degli assegni di fine mandato l’istituto del vitalizio è rimasto inalterato e ora grazie ai 5 Stelle e a Conte continua ad aumentare di pari passo con l'inflazione come prima e più di prima e continua a essere cumulabile con qualsiasi altro trattamento economico e pensionistico.

11 gennaio 2023