Lo denuncia il presidente della Fondazione Gimbe
L'autonomia differenziata sfascia la sanità pubblica e allarga il divario Nord-Sud

 
Il PMLI è da sempre in prima linea per contrastare in ogni modo possibile l'attuazione dell'autonomia regionale differenziata, che rischia realmente di creare spaccature irreparabili nel nostro Paese, ancor peggiori di quel divario Nord-Sud che si è incancrenito dall'unità d'Italia in poi.
Le gravi conseguenze che essa provocherà sulla sanità pubblica sono state denunciate da Nino Cartabellotta, medico palermitano e presidente della Fondazione Gimbe, la quale dal 1996 si occupa dello stato della sanità in questo paese, con particolare riguardo alla sanità pubblica.
In un'intervista rilasciata da Cartabellotta al giornalista Giulio Cavalli lo scorso 10 gennaio, pubblicata sul quotidiano La Notizia, si può vedere qual è la posizione di questa importante fondazione a proposito dei possibili impatti dell'autonomia differenziata sul mondo della sanità pubblica.
“In uno scenario di maggiori autonomie regionali – ha affermato Cartabellotta - la sanità rappresenta una cartina al tornasole, considerato che il diritto costituzionale alla tutela della salute – affidato sulla carta alla leale collaborazione tra Stato e Regioni – è nei fatti condizionato da 21 sistemi sanitari che generano gravi diseguaglianze”. “Una attuazione tout court delle maggiori autonomie richieste – ha proseguito il presidente della Fondazione Gimbe - è dunque inevitabilmente destinata ad amplificare le diseguaglianze di un SSN, oggi universalistico ed equo solo sulla carta: in altre parole, senza un contestuale potenziamento delle capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni, il regionalismo differenziato rischia di legittimare normativamente il divario tra Nord e Sud, violando il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini nel diritto alla tutela della salute”.
Cartabellotta fa esempi concreti, ritenendo che alcune forme di autonomia “rischiano di sovvertire totalmente gli strumenti di governance nazionale in un momento storico in cui la riorganizzazione dei servizi sanitari legata alle risorse del PNRR impone proprio di ridurre le diseguaglianze regionali: dal sistema tariffario, di rimborso, di remunerazione e di compartecipazione al sistema di governance delle aziende e degli enti del SSR, all’autonomia nella determinazione del numero di borse di studio per la scuola di specializzazione e per il corso di formazione specifica in medicina generale”.
La preoccupazione della Fondazione Gimbe parte dal presupposto che già ora l'autonomia regionale in ambito sanitario sta sfasciando la sanità pubblica e allargando il divario tra il Nord e il Sud in questo particolare ambito, e l'autonomia differenziata non farebbe che esasperare le attuali contraddizioni: ora, afferma Cartabellotta nell'intervista “i dati documentano rilevanti diseguaglianze e iniquità tra le 21 Regioni e Province autonome, sia in termini di offerta di servizi e prestazioni sanitarie, sia di appropriatezza dei processi, sia soprattutto, di esiti di salute”. La Fondazione Gimbe quindi propone di rimettere al primo posto il ruolo unitario dello Stato in materia sanitaria, e quindi di “aumentare le capacità di indirizzo e verifica dello stato sulle regioni, nel rispetto delle loro autonomie e della legislazione concorrente, secondo quanto previsto dall’art. 117 della carta costituzionale”.
È chiaro che chi cavalca l'autonomia regionale differenziata contemporaneamente, e inevitabilmente, si batte per l'affossamento del Servizio sanitario nazionale che, a dispetto delle scarse risorse di cui dispone, soprattutto a partire dagli anni Novanta (attualmente l'Italia destina alla sanità un ammontare di risorse del 25% inferiore alla media dell'Unione europea), ha fatto sì che in Italia – secondo i dati dell'Ocse riferiti al 2019 - il numero di decessi ritenuti potenzialmente evitabili attraverso il ricorso a interventi sanitari tempestivi e appropriati sia del 30% inferiore alla media dell'Ue, come anche il tasso di sopravvivenza ai tumori è superiore alla media Ue.
Il Servizio sanitario nazionale è l'unico settore della pubblica amministrazione che a partire dal 1980 – data della sua entrata in funzione - si è dotato di un apparato tecnico e di un sistema di regolamentazione che non hanno eguali negli altri comparti della pubblica amministrazione, con una grande preparazione dei professionisti impiegati che non hanno mai fatto mancare – lo si è visto in occasione della pandemia - la loro dedizione alla sanità pubblica.
Sviluppare l'autonomia regionale differenziata significa perciò necessariamente depotenziare il Servizio sanitario nazionale che oltre 40 anni fa è nato per garantire, una equità a livello nazionale delle prestazioni sanitarie, e significa quindi allargare ulteriormente il divario, tra Nord e Sud in campo sanitario, una situazione che deve essere assolutamente scongiurata.

18 gennaio 2023