Raid del regime sionista e neonazista di Israele
Massacro di palestinesi in Cisgiordania
Sciopero generale e manifestazioni di protesta

 
Il raid del regime sionista e neonazista di Tel Aviv del 26 gennaio nel campo profughi di Jenin, nel nord della Cisgiordania occupata illegalmente dal 1967, ha causato almeno 9 morti e diversi feriti palestinesi. Un attacco a cui ha risposto la resistenza all'occupazione e seguita da uno sciopero generale di tre giorni e varie manifestazioni di protesta. Intanto registriamo l'ennesimo massacro di palestinesi in Cisgiordania che con un bilancio di 35 vittime degli attacchi degli occupanti sionisti nel solo mese di gennaio tiene a battesimo il sesto governo guidato da Benjamin Netanyahu, un governo neofascista che in neanche un mese di vita ha già mostrato la sua determinazione a colpire le masse popolari palestinesi, a rafforzare l'illegale occupazione della Palestina, a sviluppare la guerra non dichiarata contro l'Iran alleata dell'aggressore Putin sia in Siria che in Ucraina, a tornare a essere quindi un protagonista della guerra passata oramai dalle parole a quella con le armi dello schieramento dei paesi imperialisti dell'Ovest contro quelli dell'Est, dopo l'aggressione russa a Kyiv di quasi un anno fa. L'appartenenza a questo schieramento imperialista garantisce al regime sionista e neonazista di Tel Aviv di poter continuare impunemente a assassinare i palestinesi, militanti della Resistenza, civili, giornalisti che documentano l'occupazione con la complice e criminale copertura che ha avuto da sempre dal fronte amico dei paesi imperialisti occidentali.
Il raid condotto congiuntamente dai servizi dello Shin Bet, dalle forze armate e dalla polizia sionisti la mattina del 26 gennaio nel campo di Jenin, secondo la versione sionista, aveva lo scopo di prevenire un attacco di una cellula dell'organizzazione della Resistenza Jihad Islami, una cellula di "terroristi" secondo l'etichetta con la quale il regime di Tel Aviv classifica gli atti legittimi della resistenza all'occupazione e si guadagna il via libera dei governi borghesi amici e della loro macchina della propaganda. Secondo il ministero della Salute palestinese tra i 9 morti durante l’assalto delle forze di occupazione ci sono militanti di varie organizzazioni della Resistenza ma anche civili, una donna anziana; altri 16 giovani, compreso un bambino, sono stati feriti. Fonti palestinesi riferivano che combattenti di tutte le organizzazioni si erano opposti anche con le armi all’incursione dei militari nel campo profughi dopo che avevano interrotto la fornitura di elettricità, internet e la rete dei cellulari. Gli assalitori sparavano contro gruppi di giovani palestinesi coraggiosi che li affrontavano armati solo di pietre e molotov e prendevano d’assalto anche l’ospedale di Jenin e sparavano deliberatamente i lacrimogeni dentro i reparti, compreso quello pediatrico.
Una manifestazione davanti all’ospedale di Jenin per condannare il massacro sionista e l'attacco alla struttura sanitaria del pomeriggio del 26 gennaio era tra le proteste della popolazione palestinese che davano il via ai tre giorni di sciopero generale contro gli occupanti. Il massacro costringeva anche l’Autorità nazionale palestinese del collaborazionista Abu Mazen a dichiarare tre giorni di lutto e a piangere le vittime.
Manifestanti palestinesi erano in piazza nella notte del 26 gennaio e ingaggiavano pesanti scontri con la polizia sionista in diverse località della Cisgiordania da Gerusalemme Est a Ramallah, a Nablus. Da Gaza partivano alcuni razzi verso il territorio israeliano che non provocavano danni. Avevano maggiori conseguenze e ovviamente risalto altre reazioni come quella della sera del 27 gennaio a Gerusalemme dove un giovane palestinese sparava davanti a una sinagoga nel quartiere di Neve Ya’akov e causava 7 morti e alcuni feriti. Era inseguito e ucciso dalla polizia. In diverse città palestinesi l’azione era salutata come una “giusta vendetta” per i morti di Jenin. Stesso episodio il 28 gennaio sempre a Gerusalemme dove un ragazzino palestinese di 13 anni, abitante della zona Est della città teatro della impunita pulizia etnica sionista, sparava con una pistola contro un gruppo di coloni e ne uccideva due, padre e figlio, prima di essere ferito da altri due coloni armati. Due episodi che sembrano nati non dalle reti tradizionali della Resistenza ma dalla crescita in particolare tra i giovani di una spinta alla resistenza armata contro l’occupazione, ai raid e alla quotidiana repressione sionista. Nuovi militanti o gruppi che si sono formati anche con l'appoggio di Hamas, della Jihad islamica e del FPLP, che mettono insieme militanti di queste organizzazioni ma anche di Fatah oramai incanalata in una politica collaborazionista dal presidente Abu Mazen, abbarbicato alla sua poltrona; si sono organizzati localmente e dalle iniziali strutture nate a Jenin, dalle Brigate Jenin a Areen al-Usud (La Tana dei Leoni), si sono rapidamente diffuse a Nablus e Gerusalemme, a Ramallah e Hebron. Sono l'esempio di una Resistenza destinata a crescere ancora contro il nuovo esecutivo neofascista e alla sua politica dichiarata di espansione delle colonie in tutta la Cisgiordania.
Il nuovo governo sionista si è insediato il 29 dicembre dopo aver ricevuto il via libera della Knesset, il parlamento di Tel Aviv, con 63 voti a favore e 54 contrari. L'esecutivo guidato da Netanyahu è una coalizione dei principali partiti della destra sionista, a partire dal Likud del premier allo Shas che rappresenta gli ebrei ortodossi di origine nordafricana e mediorientale, da Ebraismo della Torah Unito ai tre più piccoli Potere Ebraico, Partito Sionista Religioso e Noam. Uno dei punti principali del suo programma recita che "il popolo ebraico ha un diritto esclusivo ed indiscutibile su tutte le aree della Terra di Israele (…) Il governo promuoverà e svilupperà insediamenti in tutte le parti della Terra di Israele in Galilea, Negev, Golan, Giudea e Samaria”, elencando i territori palestinesi della Cisgiordania con i nomi israeliani e indicati quindi non più semplicemente come occupati ma già come controllati a tutti gli effetti da Tel Aviv e annessi. Territori dove saranno sempre più ristretti gli spazi per vivere e lavorare dei quasi 3 milioni di palestinesi.
Per il regime sionista e neonazista di Tel Aviv il problema del controllo della striscia di Gaza amministrata da Hamas e dove operano storiche formazioni della resistenza sarebbe oramai definito con la chiusura dei territori della Striscia. I territori sono sigillati lungo il confine egiziano grazie anche alla complicità dei vari regimi che si sono succeduti al Cairo, da Sadat a al Sisi e ridotti a in immenso lager per gli oltre 2 milioni di palestinesi che vi abitano e sono trattati come sagome di un bersaglio dai criminali dell'esercito sionista nelle ripetute rappresaglie naziste. Nel corso del 2022 il numero maggiore delle vittime palestinesi è stato però registrato nella Cisgiordania dove si è intensificata la repressione e lo sviuluppo dell'occupazione sionista, che è una costante a prescindere dal tipo di esecutivo al comando a Tel Aviv. Il governo precedente senza Netanyahu, etichettato come “il governo del cambiamento”, ha ucciso oltre 200 palestinesi in un solo anno e dal 1948 in poi ogni governo si è macchiato di crimini di guerra contro il popolo palestinese, denunciavano i manifestanti nelle città e villaggi della Cisgiordania nelle proteste durante lo sciopero generale.
Una denuncia confermata dai dati raccolti dall'Onu che per il 2022 conta almeno 220 palestinesi uccisi, di cui 167 in Cisgiordania, un numero che non si raggiungeva dai tempi della Seconda intifada all’inizio degli anni Duemila. I feriti sono addirittura quasi 10 mila. Non a caso recentemente l’Assemblea generale dell'Onu ha approvato una risoluzione che incarica la Corte internazionale di giustizia di indagare sull’occupazione israeliana della Palestina, una presa di posizione importante e significativa ma che con molta probabilità finirà come tutte le altre risoluzioni Onu a dissolversi nel nulla grazie alla rete di protezione stesa non più dal solo imperialismo americano come spesso accadeva nel passato ma da tutto lo schieramento dei paesi imperialisti dell'Ovest.
In Cisgiordania negli ultimi anni si sono moltiplicate le "operazioni militari speciali" israeliane nei campi profughi per colpire la crescente resistenza all’occupazione. In Cisgiordania, a Gerusalemme il governo neofascista di Netanyahu apriva le ostilità col suo principale esponente della componente fascista sionista e razzista, il responsabile della sicurezza nazionale Ben Gvir che il 3 gennaio si presentava sulla Spianata delle moschee in occasione di una ricorrenza religiosa ebraica per sostenere che il Monte del Tempio è un luogo di tutti, anche degli ebrei e per chi avesse espresso "minacce ci sarà un pugno di ferro". Ben Gvir, oltre che leader del partito fascista Potere ebraico, ha un passato significativo, è stato condannato nel 2007 per istigazione razzista contro gli arabi e per il sostegno a un gruppo considerato da Israele e Stati Uniti un’organizzazione terroristica, e il suo gesto aveva l'esplicito e provocatorio significato della rivendicazione della sovranità sionista sul luogo sacro per musulmani ed ebrei situato nella Città Vecchia. Lo stesso atto provocatorio compiuto il 28 settembre 2000 dall'allora capo del Likud Ariel Sharon e che provocò lo scoppio della rivolta palestinese chiamata la Seconda intifada. La provocazione sionista risvegliava persino il collaborazionista governo di Abu Mazen e costringeva il premier Muhammad Shtayyeh a definirla come un "assalto alla moschea di Al-Aqsa", "una sfida seria per i sentimenti di tutto il popolo palestinese" e a denunciare che "tali incursioni mirano a trasformare la moschea in un tempio ebraico, il che costituisce una violazione di tutte le norme, valori, accordi e leggi internazionali". E financo "degli impegni di Israele nei confronti del presidente americano", aggiungeva Shtayyeh facendo sicuramente tremare i polsi alla Casa Bianca. Purtroppo per lui non al segretario di Stato americano Antony Blinken che arrivava a Tel Aviv il 30 gennaio e a Netanyahu si limitava a dire che "ora è urgente adottare misure per una de-escalation tra israeliani e palestinesi", a ribadire che sulla gestione della Spianata su cui sorge la Moschea di Al-Aqsa, attualmente interdetta agli israeliani salvo eccezioni specifiche, "deve restare l’attuale status quo", e a confermare che sull'Iran "abbiamo concordato che non dovrà mai acquisire armi nucleari", ossia che non è il momento di riattizzare la questione palestinese e i sionisti possono continuare con "l'ordinaria" repressione, pulizia etnica e massacro dei palestinesi purché restino contenute e tali da poter essere messe in sordina dagli amici imperialisti; la precedenza deve andare allo scontro con il fronte dei paesi imperialisti dell'Est del quale l'Iran fa parte. E a Abu Mazen nell'incontro a Ramallah ordinava di ripristinare il coordinamento di sicurezza fra l'Anp e Tel Aviv, non cancellato ma solo sospeso dopo il raid di Jenin, quella collaborazione grazie alla quale, ha rivelato Majod Faraj il capo dei servizi dell'Anp e probabile successore di Abu Mazen, "in questi anni abbiamo bloccato centinaia di attacchi contro gli israeliani".
A ostacolare l'occupazione effettiva e pressoché totale della Cisgiordania non sarà certo l'Anp né saranno le oramai consunte banderuole sventolate inefficacemente da decenni dai governi borghesi dei paesi imperialisti dell'Ovest a favore della soluzione inapplicabile dei due Stati e contro la colonizzazione dei territori palestinesi, una opposizione solo a parole che non ha impedito le demolizioni di case e le distruzioni dei campi coltivati palestinesi, la cacciata o la deportazione della popolazione palestinese, la pulizia etnica a Gerusalemme, la costruzione di nuove colonie e del muro che le protegge, l'occupazione e il controllo delle indispensabili sorgenti di acqua, pur condannate regolarmente dall'Onu e dalla sue organizzazioni umanitarie. Può ostacolarla la resistenza all'occupazione sionista che ha il suo centro nelle città palestinesi e nei campi profughi che sempre più sfugge al controllo dei collaborazionisti del presidente Abu Mazen e tiene impegnati i reparti speciali di esercito e polizia sionista in operazioni di repressione e rappresaglia di tipo nazista.
I governi borghesi dei paesi imperialisti a parole si dichiarano difensori della democrazia e dei diritti sovrani delle nazioni e dei popoli, nei fatti si allineano alla fazione di appartenenza senza distinguere opportunisticamente aggrediti e aggressori. Per il regime sionista e neonazista di Netanyahu i palestinesi non sono un popolo ma un'organizzazione terroristica e Tel Aviv si comporta da sempre nella Palestina occupata come l'esercito neozarista di Putin in Ucraina; noi stiamo dalla parte dei popoli palestinese e ucraino aggrediti, dalla parte dell'eroica resistenza all'occupazione dei due popoli, stiamo dalla parte degli oppositori progressisti israeliani che non si riconoscono nella finora impunita politica sionista di occupazione della Palestina e di negazione dei diritti del popolo palestinese.

1 febbraio 2023