Elezioni regionali in Lombardia e Lazio del 12 e 13 febbraio 2023
VITTORIA STORICA DELL'ASTENSIONISMO
MAZZATA AL REGIME CAPITALISTA NEOFASCISTA
Alle urne solo il 40% dell'elettorato. I giovani disertano in massa. La destra neofascista sbaraglia l'imbelle “sinistra” borghese. I due governatori, Fontana e Rocca, eletti con pochi voti. Tutti i partiti hanno perso voti in valore assoluto. Il M5S arretra, Conte accusa la “democrazia malata”. Flop del Terzo polo. Unione popolare e PCI tengono prigionieri nel regime importanti forze anticapitaliste
Uscire dal capitalismo lottando per il socialismo e il potere politico del proletariato

Vittoria storica dell’astensionismo alle elezioni regionali del Lazio e della Lombardia del 12 e 13 febbraio 2023. In Lombardia ha disertato le urne il 58,3% degli aventi diritto, nel Lazio il 62,8%. Sono dati incredibili fino a qualche anno fa. Un risultato che non si era mai visto in 53 anni di storia elettorale delle regioni istituite nel 1970. Solo una volta, nel 2014 in Emilia-Romagna, l’affluenza al voto era andata sotto il 50%. Ma in questa occasione l’affluenza è precipitata addirittura al 40%.
Si trattava di elezioni importanti che coinvolgevano ben 12 milioni di elettori sui 51 milioni dell’intero corpo elettorale italiano. Nelle due regioni più grandi, popolose e importanti del Paese: la Lombardia, il centro economico e finanziario; il Lazio, il centro politico e amministrativo.
Si trattava anche del primo test elettorale significativo dopo le elezioni politiche del settembre scorso e la nascita del governo neofascista Meloni che ha “celebrato” i suoi primi 100 giorni.
Ebbene il test si è risolto in una tremenda mazzata per il regime capitalista neofascista, per il suo governo e le sue opposizioni di “cartone”, per le istituzioni rappresentative borghesi regionali, per l’elettoralismo borghese e per tutti partiti del regime, nessuno escluso.
L’astensionismo non è né una “malattia della democrazia”, né una “ferita grave della democrazia”, come dicono rispettivamente il trasformista liberale Conte e l’opportunista esponente lombardo di Unione popolare Giorgio Cremaschi, commentando il risultato elettorale.
L'astensionismo è piuttosto il primo passo della guarigione dalle illusioni elettoraliste, parlamentariste, costituzionaliste, riformiste e pacifiste e dalle trappole della democrazia borghese che tengono imprigionati il proletariato e le masse popolari, giovanili e femminili sfruttate e oppresse.
Ormai vari sondaggisti e analisti del voto, ammettono che l'astensionismo non è un dato involontario e causale, determinato dalla stagione e dal clima, dall'impedimento momentaneo ad andare alle urne e tanto meno una forma di puro qualunquismo. Il fenomeno è talmente vasto che non può che avere un significato politico e sociale ben preciso. Un significato di protesta, di rifiuto, di delegittimazione di questi partiti parlamentari e di lotta. Tant'è vero che è ormai accertato che l'astensionismo è di gran lunga più praticato fra le masse più povere e diseredate, dagli operai e dai lavoratori impoveriti, i disoccupati, i giovani precari, i pensionati poveri, più dalle periferie degradate che dai ricchi centri storici. Secondo alcuni sondaggi in Lombardia e nel Lazio i giovani hanno quasi disertato in massa le urne. Nella fascia 18-34 anni solo il 21% si sarebbe recato alle urne in Lombardia. La metà esatta di chi ha più di 54 anni. Le donne hanno disertato più degli uomini. Gli operai più degli imprenditori, dei manager e dei cosiddetti “ceti medi”. A Roma l’astensionismo è ai massimi storici proprio nelle periferie rispetto al centro e al semicentro.
E’ un fatto accertato che l’astensionismo si alimenta soprattutto dei voti dell’elettorato di sinistra. In questa occasione soprattutto di quelli che nelle ultime consultazioni avevano votato PD, LeU, Movimento 5 stelle e, in parte, persino Lega, per esprimere un voto di protesta.
 
L’astensionismo primo “partito”
L’astensionismo in Lombardia batte Fratelli d’Italia, il primo partito che lo segue, uno a sette. Sono 4.764.898 gli elettori astenuti contro i 725.402 che hanno votato il Partito della Meloni. Idem nel Lazio dove gli astenuti sono 3.057.152 contro i 519.633 di Fratelli d’Italia.
Nel Lazio la diserzione registra il record del 62,8% con un incremento del 29,4% rispetto alle precedenti elezioni regionali del 2018, quindi è raddoppiato nonostante allora si fosse votato in una sola giornata. Alla Lombardia invece il record dell’incremento con +31,4% rispetto alla precedenti elezioni regionali e una diserzione del 58,3%.
La diserzione dalle urne è la scelta di gran lunga preferita dall’elettorato astensionista. Mentre questa registra questi grandi incrementi, diminuiscono i voti nulli e bianchi. Soprattutto in Lombardia dove le nulle sono passate da 87.911 a 51.116 voti e quelle bianche addirittura si sono ridotte a un terzo di quelle del 2018 passando da 60.067 a 20.861 voti. Insomma gli astensionisti sempre più abbandonano ogni indugio e preferiscono ricorrere alla diserzione che è l’espressione più netta e esplicita della propria volontà politica ed elettorale di negare il proprio consenso e delegittimare le istituzioni regionali e i partiti del regime capitalista neofascista.
I due presidenti eletti, entrambi della destra, il riconfermato Attilio Fontana (Lega) in Lombardia e il neoeletto Francesco Rocca (Fratelli d’Italia) nel Lazio risultato votati da una estrema minoranza degli elettori.
In Lombardia Fontana è stato rieletto col 54,7% dei voti validi che corrispondono però ad appena il 22,1% degli aventi diritto. Altro che categorica riconferma. Dal 2018 ad oggi ha perso più di un terzo dei suoi elettori pari a circa 1 milione di voti, passando dai 2.793.369 voti del 2018 ai 1.774.477 del 2023.
Nel Lazio Francesco Rocca prende 934.604 voti, pari al 53,9% dei voti validi che corrispondono però al 19,5% degli aventi diritto, nemmeno un elettore su 5 lo ha votato. Nel 2018 Stefano Parisi, il candidato del “centro-destra” che pure aveva perso il confronto con Nicola Zingaretti (“centro-sinistra), di voti ne aveva presi trentamila in più, ossia 964.754. Per non parlare dei suoi compari di partito (l’origine comune fa testo) Storace e Polverini che nel 2005, l’uno, e nel 2010, l’altra, avevano rispettivamente preso 1.524.712 voti e 1.409.025 voti. E con questi voti Storace non era nemmeno riuscito a divenire presidente.
Peraltro sono diminuiti drasticamente anche i voti ai soli presidenti, cioè di coloro che hanno espresso il proprio voto e fiducia solo al candidato presidente tralasciando le liste. In Lombardia il calo è meno marcato, passato da 373.647 voti ai 364.590 voti odierni. Ma nel Lazio il dato è assai significativo passando dai 556.898 voti del 2018 ai 188.675 odierni.
La destra neofascista, pur malconcia, riesce a sbaragliare l’imbelle “sinistra” borghese riuscendo a confermarsi al potere in Lombardia e tornando al potere nel Lazio. Un fallimento totale sul piano nazionale e su quello locale. Alla “sinistra” borghese non sono bastati nemmeno ben 10 anni di governo Zingaretti per riuscire a mantenersi il potere nel Lazio. Così la destra oggi governa 15 regioni su 20, mentre la “sinistra” borghese ne governa solo 4. La Valle d’Aosta viene considerata un po’ a se stante.
 
Il risultato nel Lazio
Entriamo un po’ più in merito ai risultati nel Lazio. Per quanto riguarda la Lombardia interverremo in modo più approfondito sul prossimo numero.
Premettiamo che i risultati del Lazio non sono definitivi perché a 24 ore dalla chiusura delle urne, manca ancora lo spoglio di 8 seggi. Si tratta comunque poco più di 900 elettori coinvolti che non incidono minimamente sui risultati complessivi.
Nel Lazio la diserzione si attesta al 62,8% e a questo risultato concorre soprattutto il risultato della provincia di Roma col 64,8% e un netto 30,3% in più rispetto alle precedenti elezioni regionali. La segue Latina, roccaforte della destra, col 60,3% (+29,0%).
Non si ottengono numeri diversi se si considerano i capoluoghi. A Roma città la percentuale dell’affluenza non va oltre il 33,1% (nel 2018 fu pari al 63,1%), mentre a Latina città si ferma al 41% (71,4% nel 2018).
Per Roma un risultato mai visto, nemmeno alle ultime elezioni comunali dell’ottobre 2021 quando al primo turno si recò alle urne il 48,5% e al secondo turno il 40,7% degli aventi diritto.
Nella capitale si sono recati alle urne più gli uomini (il 34,2%) che le donne (32,1%). Affluenza in picchiata fra i giovani.
Nel generale tracollo dell’affluenza, essa è stata un po’ più alta fra gli elettori del centro e delle zone semicentrali, ztl compresa, mentre ha raggiunto livelli bassissimi in periferia.
Come riporta il sito di Roma Capitale, la maggiore affluenza è stata registrata nel II municipio (quartieri Parioli, Flaminio, Salario, Trieste, Nomentano, Tiburtino e Pinciano) dove si è recato alle urne il 39,2% degli aventi diritto. Nel I municipio che corrisponde al centro storico si è recato alle urne il 35,5%. Molto meno in periferia. Il record dell’astensionismo, con appena il 27,5% di affluenza ai seggi, è stato infatti registrato nel VI municipio, a Tor Bella Monaca e Borghesiana. A seguire, c’è il X municipio (Ostia e litorale romano) con il 29,9% di affluenza.
 
Il voto ai partiti
Tutti i partiti perdono voti in assoluto rispetto alle passate elezioni regionali. Fatto salvo Fratelli d’Italia che ha letteralmente cannibalizzato la Lega e Forza Italia e ciononostante perde centinaia di migliaia di voti rispetto alle ultime politiche.
Il partito della Meloni infatti che raccoglie 519.633 voti, ne perde addirittura 325.306 rispetto alle recenti elezioni politiche. Ne guadagna 220.460 rispetto alle ultime elezioni regionali, ma solo Lega e Forza Italia ne perdono complessivamente 361.928. Senza contare i 42.609 voti di Casapound presente nelle consultazioni del 2018 e assente quest’anno, che verosimilmente saranno confluiti su Fratelli d’Italia.
Forza Italia e la Lega perdono in termini assoluti sia rispetto alle elezioni regionali che quelle politiche. È una tesi ridicola la presunta “tenuta” di questi due partiti. Persino in Lombardia, il suo storico regno, rispetto al 1 milione e 553 mila voti presi dalla Lega nel 2018, oggi ne conta appena 476.175, perdendone ancora 195 mila rispetto alle politiche. Stessa, se non peggiore sorte, per Forza Italia.
Così viene eletto Francesco Rocca, 58 anni, avvocato originario di Ostia e manager della sanità. Da ragazzo militante del neofascista Fronte della gioventù, l’organizzazione giovanile del MSI, l’erede del partito fascista. A 20 anni Rocca venne anche arrestato e condannato a tre anni per spaccio di eroina, ma poi venne riabilitato e miracolosamente ammesso all’ordine degli avvocati nonostante la pedina penale ancora macchiata. Oggi, per poter partecipare alla competizione per la poltrona di governatore del Lazio, è dimissionario dalla presidenza della Croce Rossa italiana.
Il PD, dal canto suo, continua la sua prevedibile, annunciata e inarrestabile china. Nel Lazio quasi dimezza i suoi voti rispetto al 2018 passando da 539 mila voti ai 313 mila attuali. Il suo candidato Alessio D’Amato, già assessore uscente alla Sanità della Regione Lazio, sostenuto da PD e Terzo polo e altre forze di “centro-sinistra” compresa la lista civica Democrazia solidale considerata vicina alla comunità di Sant’Egidio, deve lasciare il passo al proprio avversario. Un inevitabile epilogo visti i risultati di ben 10 anni di governo del “centro-sinistra” nel Lazio. La regione è uscita dal commissariamento della Sanità a costo di tagli, esternalizzazioni e privatizzazioni. Non è stato risolto il problema dello smaltimento dei rifiuti salvaguardando l’ambiente e la qualità della vita della popolazione laziale, tant’è che è ancora in pista la realizzazione del mega termovalorizzatore da 600 mila tonnellate a Santa Palomba. Secondo l’Istat sono circa 600 mila nel Lazio le persone che vivono una condizione di povertà. Per non parlare delle periferie urbane, del problema della casa e dei trasporti.
Il Movimento 5 stelle accusa una perdita pesante nonostante avesse presentato come candidata la nota giornalista e conduttrice televisiva, nonché presidente del WWF Italia, Donatella Bianchi. Crolla rispetto al 2018, quando era il secondo partito dopo l’astensionismo in regione, passando da 559.752 voti ai 132.041 attuali e perde anche rispetto alle elezioni politiche del 2022 dove di voti ne contava ancora 406.065.
Il Terzo polo, ossia Azione di Calenda e Italia viva di Renzi, ottiene un risultato assai sotto le sue aspettative. Nel Lazio ottiene appena 75.272 voti. Alle ultime politiche ne aveva ottenuti 226.125.
Unione popolare, il cartello elettorale guidato da De Magistris e sostenuto da DeMa, Manifesta, Potere al popolo e PRC, che presentava come candidata Rosa Rinaldi, già sindacalista della Fiom, sottosegretaria al lavoro nel secondo governo di Romano Prodi e vicepresidente della provincia di Roma dal 2003 al 2008 per il PRC, ottiene 10.289 voti pari allo 0,2% del corpo elettorale non riuscendo neanche a riottenere il consenso ottenuto alle politiche dove aveva ottenuto 46.538 voti né quello dei 33.372 elettori che nel 2018 avevano votato Potere al popolo.
Segue dappresso il PCI guidato da Mauro Alboresi che ottiene anch’esso 10.212 voti. La sua candidata Sonia Pecorilli, (16.932 voti) prende invece una manciata di voti in più rispetto alla candidata di Unione popolare, Rinaldi (15.331 voti), ma per entrambi non sono sufficienti ad ottenere nemmeno un seggio in consiglio regionale.
Occorre che questi partiti, al di là dei risultati più o meno significativi, prendano atto che si tratta del fallimento dell'elettoralismo e del partecipazionismo borghesi. Che è inutile e sbagliato continuare a spargere fra l'elettorato di sinistra illusioni elettorali, costituzionali e governative e quindi la fiducia nelle istituzioni rappresentative borghesi ormai marce, irrecuperabilmente fascistizzate e inservibili a un qualsiasi uso da parte del partito del proletariato. Pur tuttavia questi partiti in questo modo tengono intrappolati nell’elettoralismo una parte importante dell’elettorato di sinistra che avrebbe invece bisogno di liberarsi completamente da queste catene e agire liberamente sul fronte della lotta di classe e di piazza.
 
Appello
Alla luce di questi risultati e nel ringraziare calorosamente le compagne e i compagni milanesi per la generosissima propaganda dell’astensionismo e il Comitato Lombardo per l’esemplare e importante documento elettorale elaborato per l’occasione, torniamo a rilanciare l’appello del Comitato Centrale del 25 ottobre 2022, contenuto nel Documento “Uniamoci contro il governo neofascista Meloni. Per il socialismo e il potere politico del proletariato” a unirsi “per creare contro il governo Meloni, almeno nella pratica, un fronte unito più ampio possibile composto dalle forze anticapitaliste, a cominciare da quelle con la bandiera rossa, dalle forze riformiste e dai partiti parlamentari di opposizione. Senza settarismi, pregiudizi ed esclusioni. Deve contare solo l’opposizione a questo governo. Sul campo di battaglia antineofascista c’è posto per tutti”. Concetti ripresi recentemente dal Segretario generale, compagno Giovanni Scuderi, che nel saluto alla Commemorazione di Lenin a Cavriago del 22 gennaio scorso, scriveva: “Uniamoci per le urgenti lotte contro le bollette, il caro vita e il caro benzina, contro i decreti anti Ong e anti rave, contro l’autonomia differenziata e l’elezione diretta del presidente della Repubblica, per il lavoro, il clima e la revoca del regime del 41bis a Alfredo Cospito. Più in generale dobbiamo unirci per combattere e abbattere il governo neofascista Meloni e il capitalismo, per conquistare il socialismo e il potere politico del proletariato, seguendo la via dell’Ottobre”. “Per questo – concludeva - è necessario aprire una discussione pubblica e privata fra tutte le forze anticapitaliste e antifasciste, a cominciare da quelle con la bandiera rossa, per elaborare un progetto comune per il futuro socialista dell’Italia”.

15 febbraio 2023