Lo rilevano la Svimez con l'Altra Napoli onlus
Nel Sud scuole di serie B
200 ore in meno di formazione rispetto al Nord. Senza mensa, tempo pieno e palestra

Consideriamo due bambini, Carla e Fabio: hanno entrambi 10 anni e frequentano la V elementare, ma Carla a Firenze e Fabio a Napoli. La scuola di Carla ha il servizio mensa, il che significa per lei una dieta bilanciata con il giusto apporto di frutta, verdura e proteine. Due volte a settimana lei ha la palestra, e i pomeriggi usufruisce del doposcuola perché la sua è una scuola a tempo pieno che gli garantisce 1226 ore complessive per la formazione. Fabio invece non ha la mensa, deve tornare a casa o portarsi un panino o cibo preconfezionato, e siccome non ha nemmeno la palestra ha un rischio doppio di Carla di diventare obeso o sovrappeso e quindi una minore aspettativa di vita. Non avendo neanche il tempo pieno ha 1026 ore per la sua formazione, 200 ore in meno di Carla, equivalenti alla perdita di un anno scolastico in tutto il ciclo della scuola primaria.
Questa metafora dei due bambini fotografa spietatamente le forti disuguaglianze territoriali che affliggono la scuola pubblica italiana e che fanno di quelle del Sud delle vere e proprie scuole di serie B rispetto a quelle del Centro-Nord. L'ha usata efficacemente la Svimez, l'Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno, nel video che ha aperto l'incontro “Un paese due scuole” tenuto a Napoli lo scorso 10 febbraio presso La casa di Vetro di Forcella, promosso insieme a L'Altra Napoli onlus, al quale hanno partecipato istituzioni, esperti della scuola, della cultura e del terzo settore per confrontarsi sui divari di cittadinanza.
Ma sarebbe errato trarne la conclusione che la situazione della scuola nelle regioni del Centro-Nord sia allora soddisfacente, perché i criminali tagli inferti da almeno un quindicennio hanno prodotto un arretramento all'istruzione pubblica in tutto il paese, incluse le regioni relativamente più ricche. Semplicemente nelle regioni del Sud l'arretramento è stato ancora più spietato e devastante, e il risultato è quello registrato da Svimez di una scuola in caduta libera nel Meridione, nel contesto di un marcato arretramento generale della scuola in Italia.
 

Netta insufficienza di mense, palestre e tempo pieno
Secondo i dati presentati da Svimez, elaborati a partire da quelli del ministero dell'Istruzione, nel Mezzogiorno sono circa 650 mila gli alunni delle scuole primarie statali che non beneficiano di alcun servizio mensa, pari a quasi il 79% del totale, quattro bambini su cinque. E quelli che hanno il tempo pieno sono circa 164 mila, appena il 18,6%, ancora un bambino su cinque. Nel Centro-Nord i bambini che usufruiscono del servizio mensa e del tempo pieno sono quasi uno su due, il 46,5% quelli che hanno la mensa e il 48,5 % quelli che hanno il tempo pieno.
Sono sempre pochi in assoluto, visto che anche nelle più sviluppate regioni d'Italia metà popolazione scolastica non ha mensa né tempo pieno, incluse regioni come Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Ma non c'è assolutamente confronto coi loro più sfortunati coetanei meridionali, considerando oltretutto che tra le singole regioni del Sud ve ne sono diverse che mancano del servizio mensa per ben oltre l'80% degli alunni, tra cui la Campania, la Sicilia e il Molise; mentre altre regioni importanti hanno tassi di tempo pieno ancor più bassi della già scarsa media meridionale, come Sicilia (10%), Molise (8%) e Puglia (16%).
Mediamente gli alunni della scuola primaria al Sud beneficiano di 4 ore in meno a settimana rispetto a quelli del Centro-Nord. Su base annua la differenza assomma a 200 ore, confrontando le prime due regioni (Lazio e Toscana) e le ultime due (Molise e Sicilia). Inoltre circa 550 mila alunni delle primarie del Mezzogiorno, pari al 66% del totale, non hanno accesso a una palestra, con punte del 73% in Campania, dell'81% in Sicilia e dell'83% in Calabria. Nella scuola secondaria di primo e secondo grado gli alunni del Sud che non hanno accesso ad una palestra scendono ma sono comunque più della metà (57%). Tutto questo si ripercuote in particolare sulla salute dei minori: al Sud quasi un minore su tre nella fascia tra i 6 e i 17 anni è in sovrappeso, a fronte di un ragazzo su cinque nel Centro-Nord. Stessa tendenza tra i sedentari (22% al Sud e 15% al Centro-Nord). Anche per questo l'aspettativa di vita nel Mezzogiorno è inferiore di tre anni rispetto al resto d'Italia.
 

Spesa e investimenti tagliati di più al Sud
Evidentemente c'è una correlazione stretta tra queste vistose sperequazioni nell'offerta formativa a sfavore del Mezzogiorno e le politiche di spesa pubblica nel settore dell'istruzione attuate dai vari governi borghesi che si sono succeduti nel tempo. Tra il 2008 e il 2020 il taglio complessivo della spesa nei comparti scuola e università è stato di quasi 8 miliardi, pari al -14,3% per tutto il paese. Ma al Sud l'arretramento è stato quasi doppio rispetto al Centro-Nord: il -19,5% contro il – 11,2%. Anche considerando la sola spesa per investimenti il quadro sostanzialmente non cambia, almeno in termini percentuali: a fronte di un taglio della spesa in conto capitale del -24% per tutta l'Italia, il Sud ne paga la parte maggiore con il -30%, mentre per il Centro-Nord il taglio è del -22,3%.
Se si prendono solo i dati della spesa di scuola e università più recenti disponibili, nella fattispecie quelli del solo 2020, solo la spesa pro capite (tutta la popolazione) sembra marcare una differenza positiva di 91 euro a persona a favore del Sud rispetto al Centro-Nord. Ma se si considera la spesa per studente il quadro si inverte, con una differenza di 105 euro (-2,1%) a sfavore di ogni studente meridionale. Differenza che sale a 370 euro (dati anno 2018) se si considera solo la scuola escludendo l'università.
Il quadro peggiora ulteriormente per quanto riguarda la spesa in conto capitale: solo 35 euro a studente nel Sud contro 51 nel Centro-Nord. 16 euro di differenza sembrano pochi, ma corrispondono in realtà ad una differenza del -45,7%, quasi la metà di quanto investito per ogni studente del resto del paese.
 

La mazzata finale dell'autonomia regionale differenziata
Quel che è peggio è che i tagli alla spesa per l'istruzione si sommano al trend demografico avverso, creando un circolo vizioso in tutto il paese ma particolarmente intenso al Sud: la debolezza dell'offerta scolastica alimenta il processo di denatalità e i flussi di migrazione giovanile, che a loro volta riducono il numero degli alunni, con il conseguente adeguamento al ribasso della spesa scolastica.
“ll quadro che emerge dai dati – ha sottolineato il direttore della Svimez Luca Bianchi -, e che rischia di rafforzarsi ancor più se passano le proposte di autonomia, è quello di adattare l’intensità dell’azione pubblica alla ricchezza dei territori, con maggiori investimenti e stipendi nelle aree che se li possono permettere, pregiudicando proprio la funzione principale della scuola che è quella di 'fare uguaglianza'”.
Siamo d'accordo con questa denuncia, e aggiungiamo che la scuola pubblica in generale, e in misura ancor più pesante nel Mezzogiorno, dove l'istruzione che già adesso è di serie B riceverebbe la mazzata definitiva dall'autonomia regionale differenziata. Dovrebbe dire addio per sempre alla diffusione uniforme e adeguata di scuole dell’infanzia, di mense, palestre e del tempo pieno, il valore legale del titolo di studio conseguito al Sud sarebbe azzerato, le retribuzioni degli insegnanti sarebbero inferiori e altrettanto i programmi e la qualità della formazione. L'autonomia regionale differenziata non deve passare! La nostra proposta di destinare almeno il 75% degli investimenti del PNRR al Sud, per iniziare a invertire la sciagurata tendenza ad aumentare il suo distacco dal resto del paese, è quanto mai appropriata e attuale.

22 febbraio 2023