Con la fine della cessione del credito il governo favorisce chi ha redditi alti
Il super bonus va destinato solo ai ceti popolari

Il governo neofascista Meloni ha fatto tante promesse elettorali ma nel concreto si sta rivelando un esecutivo che, anche sul piano economico, se ne infischia degli interessi delle classi meno abbienti nonostante, con il consueto populismo e demagogia caratteristici dei fascisti, cerca di far credere il contrario. In questo caso stiamo parlando del suberbonus edilizio del 110%.
Dobbiamo anzitutto chiarire che questa misura, per come era stata formulata, non era di certo esente da critiche. Il superbonus era stato introdotto dal governo Conte II (quello con M5S, PD e Sinistra Italiana) nel 2020 con l'intento di risollevare l'economia italiana dopo il ferreo lockdown dovuto al Covid, e in particolare il settore edilizio, favorendo allo stesso tempo il risparmio energetico, l'ammodernamento e l'adeguamento antisismico degli immobili del nostro Paese, notoriamente in larga parte vecchi e vetusti.
Una misura che faceva acqua da tutte le parti e che ha permesso numerose truffe in tutta Italia. Da non sottovalutare la sua iniquità, che non metteva limiti di reddito e senza discriminazioni tra condomini ed edifici popolari da una parte, e villette unifamiliari e seconde case dall'altra. In questo modo ne hanno potuto usufruire un po' tutti. Senza dimenticare il costo per le casse dello stato e quindi l'aumento del debito pubblico. Per arginare le truffe e parare le critiche erano state apportate diverse modifiche anche con il governo Draghi mentre l'attuale esecutivo a partire dal 1° gennaio 2023 aveva ridotto il rimborso al 90% e istituito un reddito familiare (al posto del'ISEE) per poterne usufruire.
La Meloni aveva promesso la proroga del superbonus, ma improvvisamente, dopo il Consiglio dei Ministri del 16 febbraio il governo, per bocca del leghista Giancarlo Giorgetti, ne annunciava la sua cessazione. Al netto delle incongruenze di una misura per molti aspetti criticabile come abbiamo già detto, lo stop immediato lascia sul tappeto 15 miliardi di crediti fiscali per i bonus edilizi incagliati, 90 mila cantieri in bilico, 25 mila imprese e decine di migliaia di posti di lavoro a rischio.
A fronte di questo danno, il ministro dell'Economia Giorgetti e la premier Meloni hanno avuto la faccia tosta di dire che questa era una misura per i ricchi, fatta anche a scopi elettorali (da che pulpito vine la predica!) e che il superbonus è costato ai 59 milioni di italiani 2mila euro a testa. Queste affermazioni sono oltretutto false perché mettono nello stesso calderone tutti i bonus (facciate, pompe di calore ecc) votati da tutti i partiti, e senza considerare le entrate per lo stato (Iva, Irpef, contributi Inps). Un'operazione simile a quanto fatto sul reddito di cittadinanza, dove si mettono in risalto le criticità ma anziché correggerle, si trova il pretesto per eliminarlo.
Per essere precisi non è stato eliminato il superbonus edilizio ma la cessione del credito. Perché è bene ricordare che si potevano recuperare i soldi della ristrutturazione attraverso un detrazione d'imposta, ovvero da recuperare attraverso il rimborso sul 730, lo sconto direttamente in fattura e poi l'azienda edile avrebbe provveduto successivamente a recuperare il rimborso, oppure con la cessione del credito a un terzo soggetto, generalmente gli istituti bancari. Le ultime due opzioni fatte apposta per chi, richiedente, non ha i soldi da anticipare all'azienda che svolge i lavori.
Ebbene, adesso rimane solo l'opzione della detrazione d'imposta in 5 anni. Lo capisce anche un bambino che in questa maniera potrà usufruire del superbonus solo chi ha la possibilità di pagare subito e aspettare il rimborso. Ma anche chi avesse avuto dei soldi disponibili, senza un reddito alto non potrà recuperarli interamente. Per i lavori più onerosi di decine di migliaia di euro, chi paga aliquote minori in virtù di redditi bassi non ha la possibilità, in soli 5 anni, di recuperare la spesa attraverso la dichiarazione dei redditi.
L'intervento del governo è subito operativo e blocca sul nascere le operazioni di acquisto di crediti da parte di Regioni e altri enti pubblici che già si erano fatti avanti. Una norma introduce un divieto secco per Comuni, Province e Regioni e tutti gli enti che rientrano nel cosiddetto “perimetro della Pa” di acquistare crediti fiscali legati a lavori di ristrutturazione. Queste operazioni di acquisto, infatti, potrebbero essere contabilizzate come indebitamento, possibile solo in forme limitatissime. Muoiono così sul nascere iniziative come quella della Provincia di Treviso, che ha annunciato l’acquisto di 14,5 milioni di euro da due banche pochi giorni fa, o della Regione Sardegna, che ha approvato una norma per l’acquisto di crediti nella sua legge di Stabilità.
Maurizio Leo, viceministro per l’Economia e le Finanze, ha spiegato così la scelta del Governo: “Si doveva intervenire per arginare una situazione abnorme con 110 miliardi per il Superbonus che gravavano sulle casse dello Stato. Lo abbiamo fatto attraverso un intervento mirato a evitare che gli enti locali potessero acquistare questi crediti generando ulteriori difficoltà nei loro bilanci”. Giorgetti e la Meloni hanno sottolineato invece che queste spese andavano a vantaggio di alcuni ma poi ricadevano su tutta la collettività.
Che facce toste! Ma quando, per fare un esempio, si alza a 85mila euro la flat tax del 15% dell'Irpef per autonomi e partite Iva, non ci si preoccupa delle ricadute su tutta la collettività per i mancati introiti? Il superbonus edilizio deve continuare almeno per tutto il 2023, in particolare per le opere già in progetto. Ma questo deve essere destinato solamente ai ceti popolari e alle prime case evitando, questo sì, di elargire soldi pubblici a chi ha redditi alti e a chi sistema la villa o la seconda casa. Con la fine della cessione del credito invece il governo neofascista della Meloni continua a dare soldi ai ricchi e chiude i cordoni della borsa a chi ha poche risorse economiche.

8 marzo 2023