Un grave errore dell'antifascista Montanari sulla Resistenza

Come abbiamo già sottolineato altre volte su Il Bolscevico , tra gli intellettuali democratici e antifascisti Tomaso Montanari è uno dei pochi che ha la lucidità e il coraggio di chiamare, come noi marxisti-leninisti, questo governo, la sua premier e FdI col loro vero nome, cioè neofascisti. Ciò ne fa uno degli interlocutori naturali per la costruzione del fronte unito antifascista più ampio possibile contro il governo Meloni che il Comitato centrale del PMLI ha proposto con il documento del 25 ottobre 2022 a tutte le forze anticapitaliste, a cominciare da quelle con la bandiera rossa, alle forze riformiste e ai partiti parlamentari di opposizione.
Ma proprio per questo, nell'ambito di un confronto franco e dialettico sulle rispettive posizioni, improntato a fare la massima chiarezza tra gli antifascisti, rileviamo un suo grave e inaccettabile errore nell'articolo “La scuola può ancora salvarci dai fascismi (e dai Valditara)”, scritto per Il Fatto Quotidiano del 27 febbraio scorso, che raccoglie alcune sue riflessioni dopo la manifestazione antifascista del 21 febbraio a Firenze convocata dagli studenti in risposta all'aggressione squadrista dei neofascisti di Azione studentesca davanti al liceo Michelangiolo.
“Quando alla bellissima manifestazione fiorentina convocata dagli studenti per reagire al pestaggio, li ho sentiti scandire lo slogan 'Ma quale pacifismo, ma quale nonviolenza / Ora e sempre resistenza', un brivido mi è corso lungo la schiena”, scrive il professore. E subito dopo aggiunge: “Come giudicare le parole di ragazzi di sedici anni che hanno subìto quel che hanno subìto (non solo le botte, ma la colpevolizzazione delle vittime orchestrata dal governo e dai suoi scherani mediatici)? Il punto non è giudicarli, ma star loro vicini, offrendo loro gli strumenti culturali per scoprire che la resistenza fu fatta perché noi potessimo abbracciare il pacifismo e la nonviolenza (verso tutti: anche verso i fascisti) come valori essenziali. Non farli sentire soli: dimostrare (se ne siamo capaci) che lo Stato è dalla loro parte, perché, nonostante tutti i tradimenti, la 'rivoluzione promessa' (Calamandrei) chiusa nella Costituzione ha ancora la forza di cambiare la realtà, facendola assomigliare alle loro aspirazioni di giustizia e libertà”.
 

L'eredità della Resistenza è l'antifascismo, non il pacifismo
Siamo consapevoli dei suoi principi di matrice cattolica ancorati alla non violenza, ma non possiamo accettare che li si applichino alla Resistenza partigiana, facendola passare agli occhi dei giovani antifascisti come una lotta il cui lascito sarebbe il pacifismo e la nonviolenza. Non è così, e sostenendolo Montanari compie stranamente, data la sua nota correttezza e precisione, un travisamento della storia. La Resistenza fu una lotta armata di liberazione nazionale dagli invasori nazisti, e fu anche una guerra civile all'ultimo sangue tra gli antifascisti e i fascisti repubblichini servi dei nazisti. Non fu una resistenza passiva e non violenta di tipo gandhiano, ma una lotta di popolo armata, senza la quale non ci saremmo riscattati dal fascismo mussoliniano che aveva dominato il Paese per oltre vent'anni, scrivendo con il sangue delle partigiane e dei partigiani la pagina più bella ed eroica della nostra storia che ha ispirato e continua ad ispirare generazioni di antifasciste e antifascisti.
Quello stesso fascismo che era andato al potere proprio grazie al pacifismo e al legalitarismo imbelli dei partiti liberali, cattolici e socialisti riformisti, oltre all'indeterminazione e agli errori del Pcd'I, che impedirono al proletariato e alle masse popolari di esercitare la violenza rivoluzionaria organizzata per rispondere alla violenza dilagante delle squadracce fasciste, foraggiate dagli industriali e dagli agrari e coperte e protette dallo Stato liberale borghese. Laddove infatti le masse si organizzarono e si armarono spontaneamente, vedi gli Arditi del popolo, riuscirono anche a respingere gli assalti delle camicie nere di Mussolini, come accadde con le barricate di Parma e quelle di oltr'Arno a Firenze e quelle di Scandicci. Purtroppo le masse antifasciste furono lasciate indifese di fronte alla violenza controrivoluzionaria e il fascismo ebbe la meglio.
L'eredità della Resistenza non fu affatto la nonviolenza, e lo dimostrano i moti popolari, a cui parteciparono anche operai, contadini ed ex partigiani armati, in risposta all'attentato a Togliatti del luglio 1948, ferocemente repressi anche con i carri armati dai carabinieri e dalla polizia di Scelba, e le durissime e sanguinose lotte di piazza del luglio 1960 contro il governo clerico-fascista Tambroni appoggiato dal MSI di Almirante (fucilatore di partigiani, golpista e maestro idolatrato della Meloni), con decine di morti a Genova, Reggio Emilia, Licata, Catania e Palermo: lotte che furono indubbiamente influenzate dallo spirito e dall'esempio della Resistenza antifascista, ancora ben vivi tra le masse, e che si prolungarono fino alla Grande Rivolta Studentesca del Sessantotto e all'Autunno Caldo operaio del 1969.
 

Condannare “ogni violenza” fa il gioco dei neofascisti
Arrivare perciò a dire che oggi tutto questo non vale più e quel che resta di queste grandi stagioni antifasciste sono il pacifismo e la nonviolenza, che “oggi antifascismo e nonviolenza sono una cosa sola”, come il professore ha ripetuto nel suo intervento alla grande manifestazione unitaria antifascista del 4 marzo a Firenze, significa di fatto darla vinta alla destra neofascista che nega l'esistenza del fascismo e irride l'antifascismo definendolo un “residuato bellico”. Significa in sostanza cadere nel gioco della Meloni, di FdI e del fascioleghista Valditara, che riducono l'aggressione squadrista davanti al liceo fiorentino ad una “rissa” tra opposte fazioni e si nascondono dietro la condanna “di ogni violenza” per coprire i loro protetti di Azione studentesca e degli altri gruppi neofascisti e neonazisti e ribaltare le accuse di violenza sulle organizzazioni degli studenti di sinistra.
Anche perché Montanari non si rivolge contro specifici episodi di violenza anarcoide, individualistica o di piccolo gruppo, o a forme di esaltazione del terrorismo, che pure si presentano usualmente ai margini dei movimenti di lotta di massa, e che non giovano alla causa dell'antifascismo ma si prestano ad essere strumentalizzati per rafforzare il regime capitalista neofascista. Montanari si rivolge invece contro giovani e studenti avanzati, che si ispirano alla Resistenza antifascista come modello ideale per chiamare a far fronte alla violenza fascista, e che individuano nel governo neofascista Meloni il mandante politico delle aggressioni e il nemico da combattere. Il che può implicare anche l'uso di forme di lotta violenta, come c'è sempre nella lotta di classe, purché sia sempre una lotta di massa, cosciente e per giusti obiettivi, e non violenza fine a sé stessa. “Liberiamoci dal fascismo e dal governo Meloni”, incitava non a caso uno striscione della manifestazione antifascista degli studenti fiorentini.
Restringere l'orizzonte della lotta antifascista alla non violenza e all'“attuazione del progetto della Costituzione”, come fa Montanari, significa di fatto arrendersi al regime capitalista neofascista, che usa come vediamo tutti i giorni la violenza poliziesca e giudiziaria contro gli operai, gli studenti, i migranti, i movimenti di lotta, e tollera e copre invece la violenza dei gruppi neofascisti e neonazisti nelle scuole e nei quartieri. Mentre la Costituzione è ormai stata ridotta a carta straccia dai partiti della destra e della “sinistra” borghesi, e la sua “attuazione” non può rappresentare perciò un'alternativa credibile a tale regime.
 

“Socialismo liberale” o socialismo?
Del resto lo stesso Montanari denuncia nel suo articolo la “distruzione del progetto politico della Costituzione, avviata alla fine degli anni Settanta”, a cui hanno contribuito anche le “politiche di un centrosinistra sempre più di destra negli ultimi decenni”. Quella distruzione, aggiungiamo noi, iniziata con la “Grande riforma” presidenzialista di Craxi (oggi riproposta non a caso da Meloni), e proseguita con il “Piano di rinascita democratica” e lo “Schema R” della P2 di Gelli che ha instaurato, anche con l'ignavia e la complicità della “sinistra” borghese, il regime capitalista neofascista e spianato la strada alla nuova marcia su Roma elettorale e parlamentare del neofascismo meloniano oggi al governo. Ma non è prendendosela con l'“astensionismo di massa”, attribuendogli come fa il professore la colpa del “ritorno al potere (per abbandono di tutti gli altri) di una destra di matrice fascista”, né aggrappandosi all'illusione di far rivivere una Costituzione che non c'è più, che si può sperare di sconfiggere il governo Meloni e il regime neofascista.
Montanari rappresenta una corrente di intellettuali della sinistra cattolica e non violenta che sentono anche l'esigenza di un superamento della società capitalistica e delle sue inumane ingiustizie di classe, ma non hanno ancora il coraggio di abbracciare l'alternativa del socialismo e della sostituzione del potere politico della borghesia con quello del proletariato. Per questo si fermano all'impossibile salvataggio di una Costituzione ridotta ormai a un colabrodo e riescono a concepire al massimo un “socialismo” di concezione liberale e azionista come quello teorizzato da Calamandrei e dai fratelli Rosselli, non a caso richiamati da lui nel suo intervento di Piazza Santa Croce a Firenze. Che nella sostanza era solo il tentativo di “addolcire” il capitalismo attraverso un riformismo liberale di “sinistra” per allontanare il pericolo della rivoluzione socialista. Oggi che si fa sempre più strada la consapevolezza che il sistema economico capitalistico e il suo sistema politico non possono e non potranno mai un futuro all'umanità, i democratici conseguenti e gli antifascisti devono capire che solo il socialismo può rappresentare quell'alternativa storica e autentica che può liberarla dallo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, dall'immiserimento e sterminio dei paesi e dei popoli più poveri, dalle guerre imperialiste e dalla stessa distruzione del pianeta.
L'astensionismo che Montanari legge come una sciagura non è una “malattia della democrazia” ma è invece il primo passo che le masse lavoratrici e popolari, e in particolare quelle più povere ed emarginate, stanno sempre più facendo per guarire dalle illusioni elettorali, parlamentari e costituzionali e prendere finalmente coscienza che per cambiare veramente l'Italia occorre lottare non per difendere la democrazia borghese, fondata sull'ingiustizia di classe, non per addolcire l'inumano sistema capitalista, fondato sullo sfruttamento, il profitto, la distruzione dell'ambiente e le guerre, ma per abbatterli entrambi e conquistare una nuova società, il socialismo; e realizzare la vera democrazia, il potere politico del proletariato.
 

15 marzo 2023