Per epidemia colposa e omicidio colposo
Conte, Speranza e Fontana indagati

 
La Procura di Bergamo ha concluso l’inchiesta per epidemia colposa, omicidio colposo, rifiuti di atti d’ufficio, lesioni colpose e falso all'epoca dell'esplosione della pandemia in Italia: è tutta la catena di comando che ha gestito i primi mesi della pandemia ad essere finita sotto inchiesta, scoppiata oltre tre anni fa, all'inizio del 2020, che ha investito la bergamasca con oltre 6.700 morti in più rispetto alla media dell’anno precedente.
Il procuratore aggiunto Cristina Rota insieme ai pm Silvia Marchina e Paolo Mandurino hanno tirato le somme di un’indagine con cui si è cercato di far luce sulle responsabilità, legate all'emergenza, su tre vicende in particolare: i morti nelle Rsa della Val Seriana, l’ospedale di Alzano (chiuso e riaperto in poche ore), la mancata istituzione di una zona rossa uguale a quella già disposta nel Lodigiano, il mancato aggiornamento del piano pandemico (fermo al 2006) e la relativa mancata applicazione di quello esistente che avrebbe potuto contenere la trasmissione del Covid. Per gli accertamenti gli inquirenti si sono avvalsi di una maxi consulenza firmata da Andrea Crisanti, microbiologo dell’Università di Padova e ora senatore del Pd.
Gli indagati sono 19 tra i quali l’ex premier Giuseppe Conte, l’ex ministro della Salute Roberto Speranza, il governatore della Lombardia Attilio Fontana e il suo ex assessore Giulio Gallera, il presidente dell’Istituto superiore di Sanità Silvio Brusaferro, il presidente del Consiglio superiore di Sanità Franco Locatelli, l’ex capo della protezione civile Angelo Borrelli, il coordinatore del Comitato tecnico scientifico nella prima fase dell’emergenza Agostino Miozzo. Nella relazione per l’apertura dell’anno giudiziario il procuratore Chiappani disse che l’inchiesta aveva "accertato gravi omissioni da parte delle autorità sanitarie nella valutazione dei rischi epidemici e nella gestione della prima fase della pandemia".
Per quanto riguarda la Val Seriana è accertato che tra il 27 febbraio e il 3 marzo 2020 i contagiati e soprattutto i morti nelle Valle - partendo appunto dai comuni di Nembro e Alzano - stavano crescendo molto più che in altre province. Il 4 marzo si registra infatti il seguente bollettino: 423 contagiati su 1.820 in tutta la Lombardia, con 73 decessi. Vengono dunque inviati dall’Unità di crisi lombarda i dati all’Iss, con richiesta di intervento. L’Istituto superiore della sanità conferma il 5 marzo il problema e chiede di chiudere la Val Seriana. Vengono preparati i militari, che arrivano per richiesta del ministero degli Interni ai confini dei due comuni. Il 6 marzo intanto si registrano 135 decessi, su 309, totali in Italia. Ma il comitato tecnico scientifico avvisa il premier Giuseppe Conte che la situazione sta degenerando in tutta la Lombardia. Così il 7 marzo arriva il noto Dpcm sulla zona arancione in regione e i militari tornano indietro, solo l’11 marzo tutta Italia diventa zona rossa, per evitare le fughe di persone. Quell’anno nella bergamasca la mortalità è salita del 600% rispetto agli anni precedenti.
Per quanto riguarda il mancato aggiornamento del piano pandemico dell’Oms, che per la procura non era stato aggiornato, la questione è comprendere a chi spettasse riscriverlo. Il direttore vicario dell’Oms in Italia, Ranieri Guerra, non lo aveva modificato in quanto negli ultimi anni non si erano registrati gravi episodi epidemiologici (anche se l’Oms aveva chiesto di rivederlo). L’ex funzionario dell’Oms Francesco Zambon aveva anche dichiarato di aver subìto pressioni attraverso email da parte di Guerra, per postdatare un piano vecchio, facendolo quindi sembrare aggiornato al 2016. La pubblicazione di questo “finto” nuovo piano è durata solo 24 ore.
Sulle vicende riguardanti le strutture sanitarie di Alzano sono indagati, sempre per epidemia colposa, anche Francesco Locati, il direttore generale dell’Asst di BergamoEst, e il direttore sanitario Roberto Alfio Paolo Cosentina. Secondo l’avviso di conclusione delle indagini, non hanno verificato adeguatamente la presenza dei dispositivi medici per contrastare la pandemia nelle strutture. Indagato per epidemia, omicidio colposo e lesioni personali Giuseppe Marzulli, il dirigente medico dell’ospedale di Alzano Lombardo e Gazzaniga. Per via della cattiva gestione, secondo la procura, oltre a essere morti due dipendenti a seguito del Covid, 34 hanno riportato lesioni dopo essere stati malati per oltre 40 giorni.
L’ospedale in sostanza non aveva protezioni sufficienti e il personale non era stato preparato a quello che stava per arrivare.
Insomma i vertici dello Stato sono stati colti totalmente impreparati dalla pandemia iniziata a Wuhan non solo per il virus in sé, ma per effetto del mancato aggiornamento del piano nazionale anti-pandemia, fermo appunto al 2006, la Procura di Bergamo sta indagando infatti oltre che su Speranza anche sui suoi predecessori al Ministero della Salute Giulia Grillo (M5S) nel primo governo Conte e di Beatrice Lorenzin del governo Gentiloni allora nell'Ncd di Alfano.
La competenza dell’indagine spetta ora alla procura di Roma e al tribunale dei ministri di Brescia, a cui i magistrati bergamaschi avrebbero trasmesso gli atti già a novembre 2022.
Secondo i pm, quanto accaduto in Lombardia tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo 2020 mostra le conseguenze di anni di sottovalutazione del rischio pandemico, pagato da migliaia di morti per Covid in Lombardia e non solo. In quasi tutte le dichiarazioni rilasciate ai pubblici ministeri di Bergamo, i responsabili della gestione dell’emergenza Covid hanno concordato su un punto: l’Italia ha affrontato la pandemia "senza manuale di istruzioni" (queste le parole dell’ex-ministro Speranza). I magistrati però hanno respinto questa versione: il "manuale" c’era, ed era il "Piano nazionale di preparazione e risposta a una pandemia influenzale" vigente.
Tutti erano al corrente che l’Italia avesse un piano per le emergenze, è accertato anche dal verbale della task force ministeriale del 29 gennaio 2020 in cui l’allora direttore scientifico dell’istituto Spallanzani, Giuseppe Ippolito, invitava "a riferirsi alle metodologie del piano pandemico di cui è dotata l’Italia". Il punto è che vergognosamente dal 2006 in poi nessuno si è preso la briga di aggiornarlo né di verificarne l’applicazione, gli aggiornamenti, le azioni conseguenti e la formazione degli operatori sanitari in particolare e soprattutto non lo si può tirare fuori da un cassetto quando arriva l’emergenza e trincerarsi dietro di lui per nascondere le proprie responsabilità.
Proprio su questo punto lavorano ora i PM di Roma che intendono fare luce sulle responsabilità dei dirigenti del ministero della Salute che dal 2006 al 2020 avrebbero dovuto occuparsi dell’aggiornamento del piano, come previsto dal Regolamento sanitario internazionale adottato dall’Oms nel 2007 e dalla decisione del Parlamento europeo 1082 del 2013. Tra gli indagati a Roma figurano i vertici della direzione della prevenzione degli ultimi anni:
Claudio D’Amario, Francesco Maraglino, Loredana Vellucci, Ranieri Guerra, Mauro Dionisio, Maria Grazia Pompa, Giuseppe Ruocco. Oltre al mancato aggiornamento, i pm ipotizzano persino la falsificazione di atti ufficiali. Come si legge nella relazione del consulente della procura Andrea Crisanti "dal 2010 al 2017 i funzionari dell’ufficio prevenzione (…) hanno contribuito a stilare e approvare le autovalutazioni trasmesse a OMS nelle quali veniva attribuito all’Italia un elevato livello di preparazione (88/100)". In realtà, il piano anti-pandemico non era cambiato di una virgola dal 2006 nonostante i progressi dell’epidemiologia, non erano state effettuate le attività di formazione per renderlo operativo sul territorio né erano state verificate le scorte di dispositivi di protezione e attrezzature sanitarie necessarie a far fronte a un’emergenza, come fu evidente appunto durante il disastro della Valseriana.
E dire che secondo la ricostruzione dei magistrati bergamaschi già il 5 gennaio 2020 l’Oms diffonde un primo allarme sulla diffusione del Covid dalla Cina e raccomanda agli Stati di attuare i propri piani antinfluenzali, di attivare una ricognizione dei posti letto di malattie infettive negli ospedali, di fare scorta di tamponi e dispositivi di protezione individuali, di formare e informare il personale sanitario. Il 20 gennaio 2020 un secondo report dell’Oms intitolato "Epidemiological update Novel Coronavirus" confermava la trasmissione del virus da persona a persona e indicava le disposizione attivate per la Sars e per la Mers "quale guida per la risposta contro questo nuovo patogeno". Ma il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Silvio Brusaferro, per tutta risposta propose in quei giorni "di non dare attuazione al Piano pandemico, prospettando azioni alternative, così impedendo l’adozione tempestiva delle misure in esso previste".
In questo filone dell'inchiesta sono indagati anche l’ex assessore al Welfare della Lombardia Giulio Gallera e il suo ex direttore generale Luigi Cajazzo per la mancata attuazione del piano pandemico regionale lombardo. Gallera in particolare non avrebbe "censito e monitorato i posti letto di malattie infettive", non avrebbe verificato "tempestivamente la dotazione di Dpi" tra cui mascherine, tute e guanti, né garantito "l’adeguata formazione del personale sanitario" come previsto invece dal piano pandemico, seppur non aggiornato, del 2006. Condotte che avrebbero causato una "diffusione incontrollata" del virus.
Dal 23 febbraio in poi l’attenzione della Procura si sposta sulla Valseriana, tra Alzano Lombardo e Nembro per comprendere perché non fu dichiarata la zona rossa in Valseriana, vicenda per la quale sono indagati per epidemia colposa Giuseppe Conte, Attilio Fontana e diversi membri del Cts. Secondo la Procura Fontana sottovalutò l’allarme dal 23 febbraio, giorno della scoperta dei primi due positivi all’ospedale di Alzano, non disponendo adeguate misure di contenimento come fatto invece nei dieci comuni del lodigiano.
Addirittura con due distinte mail il 27 e 28 febbraio Fontana chiedeva al governo "il mantenimento delle misure di contenimento già vigenti in Lombardia, non segnalando alcuna criticità relativa alla diffusione del contagio nei comuni della Valseriana" e in particolare Alzano e Nembro, nonostante fosse a conoscenza dei dati aggiornati dall’epidemiologo Stefano Merler che indicavano un indice di diffusione fuori controllo e che l’ospedale di Alzano era già in grave difficoltà. Al vertice della catena di comando in quei giorni c’era il premier pentastellato Giuseppe Conte, che secondo i magistrati bergamaschi avrebbe frenato la zona rossa in Valseriana.
Esattamente il 5 marzo 2020 l’ex ministro della Salute Speranza scriveva una bozza del decreto per chiudere Alzano e Nembro, Conte però non lo rese esecutivo e i militari già inviati nella valle bergamasca per chiuderla come fatto in provincia di Lodi tornarono indietro. Poi il presidente del consiglio mise la Lombardia in lockdown l’8 marzo e l’Italia il 9. Secondo alcuni dati i ritardi nell'adozione delle misure da parte del governo hanno contribuito a provocare, specie in Lombardia e nel bergamasco oltre 6mila morti, molti dei quali nelle RSA della regione, assai carenti di dispositivi di prevenzione e contenimento del contagio.
Intanto il 7 marzo scorso il Tribunale dei Ministri di Roma ha archiviato la posizione dell'ex premier Giuseppe Conte e degli ex ministri Roberto Speranza, Luciana Lamorgese, Lorenzo Guerini, Luigi Di Maio, Roberto Gualtieri e Alfonso Bonafede, indagati in seguito a diverse denunce da parte di associazioni e cittadini, tra cui il Codacons. La Procura aveva chiesto l’archiviazione.
Aldilà delle responsabilità penali le responsabilità politiche di quegli eventi sono per noi marxisti-leninisti chiare come il sole a mezzogiorno. Ecco perché abbiamo lottato fin dall'inizio della pandemia contro il governo del dittatore antivirus Conte, velocissimo nel restringere gli spazi di democrazia borghese, ma lentissimo nel fermare la produzione quando era necessario in talune zone sull'altare degli ordini di Confindustria e della legge del massimo profitto capitalistico, esponendo tra l'altro (si pensi ai corrieri per esempio) centinaia di migliaia di lavoratori al contagio, ben prima che venissero introdotti i vaccini e facendo pagare le mascherine e i dispositivi di protezione che per noi dovevano e devono essere gratuiti come gli stessi tamponi, così come urge oggi più di ieri togliere il brevetto dei vaccini alla case farmaceutiche che hanno visto schizzare alle stelle i loro profitti grazie proprio alla pandemia.
Conte, (e dopo di lui Draghi e Meloni) non ha voluto né in alcun modo ha operato per riqualificare e investire massicciamente nella devastata sanità pubblica, ridotta a colabrodo, favorendo quindi quella privata.
Apprezziamo il lavoro che sta svolgendo la magistratura borghese e speriamo venga fatta piena luce da un punto di vista giudiziario sulle tristi vicende di quei terribili mesi, mentre riteniamo prioritario lottare per la sanità pubblica, gratuita, senza ticket e cogestita dai pazienti e dai lavoratori del settore, affossare l'infame e neofascista "autonomia differenziata" che finirebbe se approvata per distruggere quel poco che ne rimane della sanità pubblica e creare un ampio fronte unito antifascista e antimperialista per buttare giù da sinistra e dalla Piazza il governo neofascista Meloni, anche per impedire che vengano insabbiate le indagini e lasciati impuniti i responsabili di quella carneficina, come avvenuto decine e decine di volte nel nostro martoriato Paese.

22 marzo 2023