La controriforma del fisco favorisce i ricchi borghesi e i capitalisti
Abolita la progressività della tassazione. Premio agli evasori. La flat tax è l'obiettivo dichiarato
Esentare dall'Irpef i redditi fino a 28 mila euro

Il 16 marzo, contestualmente all'autonomia differenziata e al ponte sullo stretto di Messina, il Consiglio dei ministri ha approvato la Delega sulla riforma fiscale, un provvedimento che la neofascista Meloni non ha esitato a definire “una riforma epocale, strutturale e organica: una rivoluzione attesa da 50 anni con importanti novità a favore di cittadini, famiglie e imprese. Con il nuovo Fisco delineiamo una nuova idea di Italia, vicina alle esigenze dei contribuenti e attrattiva per le aziende”.
E non a caso, tra i beneficiari di questa “riforma epocale”, la leader di FdI non ha citato i lavoratori e i pensionati. Questa controriforma fiscale, infatti, è tagliata su misura per le imprese, le partite Iva e i professionisti, gli evasori fiscali, i ricchi borghesi e i capitalisti, ossia i ceti “produttivi” e le classi sociali che costituiscono il bacino elettorale e di riferimento del suo governo neofascista. Perché prima ancora delle tante specifiche misure a loro favore - dalla flat tax alla riduzione dell'imposta sulle società (Ires), dall'abolizione dell'imposta regionale sulle attività produttive (Irap) al concordato preventivo - è la filosofia stessa di questo provvedimento, ispirata al motto classista meloniano “non disturbare chi vuole fare”, che rovescia completamente il senso dell'imposizione fiscale da parte dello Stato, che è vista come un male in sé e non come strumento indispensabile per finanziare lo Stato sociale riducendo le disuguaglianze attraverso la progressività. Mentre chi “crea il lavoro e la ricchezza”, sempre secondo questa concezione, sono gli autonomi, i professionisti e i capitalisti, che rischiano in proprio e quindi vanno lasciati in pace il più possibile ad aumentare il Pil, che poi andrà a beneficio di tutti, lavoratori dipendenti compresi. Da qui anche l'idea che lo Stato deve fare un passo indietro, non deve scovare e punire i renitenti e gli evasori, ma deve al contrario trattarli in guanti bianchi, con condoni e agevolazioni di ogni tipo, perché come ha sottolineato il viceministro all'Economia Maurizio Leo di FdI, estensore della controriforma, “i sistemi premiali sono più efficaci di quelli punitivi”.
 

La riduzione delle aliquote favorisce i redditi medio-alti
Trattandosi di una legge delega non contiene misure dettagliate ma solo enunciazioni di principio, linee guida e obiettivi da raggiungere, e solo su questi il parlamento può pronunciarsi. Dopodiché entro due anni il governo varerà dei decreti attuativi con le misure concrete sui quali il parlamento potrà esprimere solo un parere consultivo. Ma già da ora la strada è tracciata e gli obiettivi che il governo si propone sono chiarissimi.
A cominciare dall'Irpef, l'imposta sui redditi delle persone fisiche, che secondo l'articolo 53 della Costituzione dovrebbe essere improntata “a criteri di progressività”, e che invece il governo vuole sostituire entro 5 anni con la flat tax per tutti, la tassa piatta che attualmente è applicata con un'aliquota del 15% a partite Iva e professionisti con ricavi fino a 85 mila euro. Con un passaggio intermedio, da approvare entro due anni, che prevede la riduzione delle aliquote fiscali dalle attuali 4 a 3, e con l'estensione della flat tax incrementale anche ai lavoratori dipendenti (l'imposta sostitutiva agevolata sugli incrementi di reddito intesa a premiare il “merito”).
Le aliquote Irpef erano già state diminuite da 5 a 4 da Draghi con la legge di Bilancio approvata nel 2021, che aveva già portato ad una riduzione della progressività concentrando tutte le risorse stanziate sui redditi medio-alti. Il governo meloni si muove dunque sulla sua scia, riducendo ulteriormente la progressività. Tant'è che Marattin (IV) e il leader del “Terzo polo” Calenda hanno subito appoggiato la misura perché “è copiata da Draghi”.
Le ipotesi in campo sono tre, con l'accorpamento per tutte dei primi due scaglioni di reddito fino a 28 mila euro, con aliquota 23%, e in due casi anche la riduzione dell'aliquota dello scaglione da 28 fino a 50 mila euro, che scenderebbe dall'attuale 35% al 33% o al 28%. Per un costo complessivo che può variare dai 5 ai 10 miliardi. L'ulteriore riduzione degli scaglioni sarà anche stavolta, manco a dirlo, a vantaggio soprattutto dei redditi medio alti, tant'è che l'Associazione dei commercialisti ha calcolato che a seconda delle tre ipotesi i redditi fino a 20 mila euro possono guadagnare al massimo 100 euro o persino perdere fino a 150 euro. Mentre per le fasce alte fino e oltre i 50 mila euro il beneficio è sempre assicurato, e va da un minimo di 260 euro a un massimo di 1.150 euro.
 

La flat tax distruggerà lo “Stato sociale”
Secondo il governo le risorse necessarie saranno trovate disboscando la giungla delle detrazioni e deduzioni, arrivate a circa 600 per un totale di 125 miliardi, senza toccare quelle per le spese sanitarie, scolastiche, gli interessi sui mutui ecc. Ma ciò non toglie, come ha fatto notare l'economista Carlo Cottarelli, che intanto si è premunito di inserire una clausola “secondo la quale, nel caso servano risorse aggiuntive, queste potranno essere definite (per esempio con tagli di spesa) anche attraverso altri decreti legislativi del cui contenuto non si sa nulla”. Decreti che il governo potrà adottare senza l'approvazione del parlamento.
Va considerato inoltre il fatto che l'Irpef, per quanto riguarda i contribuenti più abbienti, comprende ormai una parte sempre più ridotta dei redditi percepiti, che negli anni sono stati sottratti alla tassazione progressiva per essere tassati con imposte sostitutive agevolate, come rendite da capitale d'impresa, rendite finanziarie, da affitti ecc., e che invece di invertire questa tendenza la Delega fiscale la incrementa, introducendo per esempio la cedolare secca anche per gli affitti di immobili commerciali e un'altra imposta sostitutiva sui rendimenti finanziari delle casse di previdenza.
La flat tax completerebbe l'opera cancellando la progressività del tutto, e facendo pagare ad un lavoratore dipendente o un pensionato la stessa aliquota di un manager, un professionista o un padrone d'azienda, il che è palesemente anticostituzionale, oltre che sfacciatamente iniquo. Il governo sostiene che la progressività verrebbe assicurata da un sistema di detrazioni decrescenti al crescere del reddito. Ma a parte il fatto che lavoratori e pensionati a basso reddito avrebbero poco o punto vantaggio dalla flat tax, i cui benefici andrebbero invece tutti ai redditi medi e alti, per i quali l'aliquota del 15%, anche con zero detrazioni, andrebbe ad abbattere di due o tre volte l'Irpef, come ha sottolineato il quotidiano dei vescovi Avvenire “questo gioco di deduzioni rappresenta pur sempre una 'correzione' rispetto a un sistema che non sarebbe più costitutivamente informato alla progressività e che, oggettivamente, premierebbe in maniera proporzionalmente maggiore i redditi più alti”.
In ogni caso ciò non risolverebbe il problema dei mancati introiti fiscali dovuti alla flat tax, calcolabili in decine di miliardi. Il governo sostiene che la tassa piatta si finanzierebbe “da sola”, perché renderebbe non conveniente evadere e farebbe emergere il nero allargando la base imponibile, ma ciò è tutto da dimostrare, per un paese come il nostro caratterizzato da un'evasione cronica di oltre 100 miliardi l'anno, per i tre quarti attribuibile al lavoro autonomo, e dove il 90% delle imposte sono pagate da lavoratori dipendenti e pensionati. È molto più probabile invece, anzi certo, che finirebbe per essere compromesso il finanziamento dei beni pubblici essenziali, come la sanità, l'istruzione, gli investimenti pubblici, i servizi sociali e assistenziali, la tutela del patrimonio culturale e dell'ambiente, e così via. Non per nulla la flat tax ce l'hanno solo una manciata di paesi dell'Est Europa, come Russia, Estonia, Romania, Bosnia-Erzegovina, Bielorussia, Bulgaria, Ucraina e Ungheria, dove peraltro lo “Stato sociale” è di una decina di punti di Pil inferiore al nostro.
 

Giù le tasse alle imprese e altri condoni agli evasori, anche penali
Per le imprese ci sono poi i due ricchi regali già promessi da Meloni al padronato in campagna elettorale, la riduzione dell'Ires e la cancellazione dell'Irap. L'imposta sulle società verrà ridotta dal 24% al 15% per quelle imprese che destineranno una parte del reddito in investimenti o nuova occupazione, con due anni di tempo per effettuarli, mentre lo sconto partirà da subito. Facile immaginare che all'impresa basterà comprare qualche macchina nuova per ottenere i benefici, visto che l'aumento di occupazione è solo facoltativo. Quanto all'Irap, che finanzia la sanità per 17 miliardi, la Delega parla di revisione “organica volta all'abrogazione del tributo”, con il taglio immediato per 650 mila società di persone. Per le altre imprese è prevista l'istituzione di una sovraimposta Ires per “garantire” - assicura il governo – il finanziamento del sistema sanitario.
Come se fossero troppo pochi i 12 condoni concessi nella legge di Bilancio, il governo ne escogita altri e vi aggiunge pure tutta una sfilza di agevolazioni fiscali e anche penali all'insegna del motto “fisco amico” coniato da Leo e della “pace sociale” cara a Salvini e Giorgetti. Per cominciare c'è il concordato preventivo biennale per le piccole e medie imprese, quelle dove secondo le statistiche si annida il 70% di evasione. L'impresa concorda con il fisco l'ammontare delle tasse e per due anni è al riparo dagli accertamenti. E per tutte le altre imprese c'è l'estensione della Cooperative compliance (adempimento collaborativo volontario), attualmente riservata solo alle grandi imprese sopra il miliardo di fatturato che hanno tenuto comportamenti non dolosi e lo comunicano tempestivamente all'erario, che mette al riparo da sanzioni anche di natura penale.
“Con l’istituzione del concordato preventivo biennale e il rafforzamento dell’adempimento collaborativo si riscrivono le regole della lotta all’evasione fiscale che diventa preventiva e non più repressiva”, ha spiegato il viceministro Leo. “Aderirà solo chi pensa di poter pagare, in questo modo, meno tasse del dovuto. Una vera resa di fronte all'evasione”, ha commentato invece Cottarelli. Di sicuro sembra un sistema tagliato su misura per far pagare meno tasse ai clienti del ricco studio romano del commercialista Maurizio Leo.
Si va poi verso il superamento del sistema dell'iscrizione a ruolo e delle cartelle esattoriali, con il pagamento in 120 rate (10 anni), e in caso di mora c'è anche la riduzione delle sanzioni, perché secondo Leo “attualmente raggiungono livelli intollerabili”. Ma la vera ciliegina sulla ricca torta per gli evasori è un vero e proprio condono penale, con l'alleggerimento delle sanzioni penali per dichiarazione infedele, e addirittura la non applicabilità se il contribuente paga prima del processo. Il giudice deve tenere infatti conto di eventuali accordi raggiunti in sede amministrativa o giudiziale che implicano “l'irrilevanza del fatto ai fini penali”. Insomma, il messaggio è: si può evadere anche fraudolentemente, tanto si è sempre in tempo a pagare dopo ed evitare il processo se si viene beccati. E c'è pure la legalizzazione dell'evasione “di necessità”, ovvero la non punibilità per omesso versamento “per fatti che non sono imputabili al soggetto inadempiente”, qualunque cosa questa formula voglia dire.
 

Unire le forze contro la controriforma fiscale del governo neofascista
Dopo l'incontro del 13 marzo a Palazzo Chigi, dove si son visti presentare per sommi capi da Leo e Giorgetti questa Delega fiscale tanto preconfezionata quanto indigeribile, incontro “non andato bene né sul merito né sul metodo” per la vice segretaria Cgil Gianna Fracassi, le tre confederazioni sindacali hanno annunciato di voler valutare “iniziative di mobilitazione”; che per Landini, almeno prima del Congresso, non escludevano lo sciopero, mentre dopo la sua rielezione già dice che ci vuole prima “un percorso” e che “la stessa legge delega ha due anni di tempo per la sua applicazione”. Per non dire del leader della Cisl, Sbarra, per il quale occorre evitare “fughe in avanti su ipotesi di sciopero impegnano solo chi le fa” e preferisce il “dialogo sociale” col governo.
È più che mai necessario e urgente invece che tutti gli anticapitalisti e tutte le forze sindacali e parlamentari di opposizione, si uniscano per combattere e affossare con gli scioperi e le lotte nelle piazze e in parlamento questo iniquo, classista e pericoloso provvedimento del governo neofascista Meloni, che mira solo a premiare i ricchi, i capitalisti e gli evasori e a smantellare e privatizzare la sanità, la scuola e tutti i servizi pubblici.
La piattaforma di lotta deve comprendere almeno queste rivendicazioni basilari sancite nel Nuovo Programma d'Azione del PMLI: esenzione dall'Irpef per i redditi fino a 28 mila euro annui indicizzati. Colpire l'evasione, erosione ed elusione fiscale e combattere l'iniquità fiscale attraverso l'abolizione dei regimi fiscali sostitutivi, l'inclusione di tutti i redditi nella base imponibile, con il ripristino di una forte e graduata progressività, l'abolizione del segreto bancario e il pieno utilizzo delle banche dati per far emergere i patrimoni nascosti e l'economia sommersa. Un'imposta patrimoniale su tutti i beni mobiliari e immobiliari, salvaguardando la prima casa e i risparmi dei lavoratori e pensionati.


22 marzo 2023