Consiglio europeo del 23-24 marzo
Meloni soddisfatta sui migranti. In realtà nessun passo avanti
Nel dibattito parlamentare alla vigilia del Consiglio Lega e M5S fanno asse contro l'invio di armi all'Ucraina

“Mi posso dire soddisfatta delle conclusioni, ma mi aspetto passi in avanti”: questa formula eufemistica della neofascista Meloni tradisce il bilancio assai deludente, per il governo da lei rappresentato, del Consiglio europeo tenutosi a Bruxelles dal 23 al 24 marzo, con all'ordine del giorno il sostegno all'Ucraina, l'economia della Ue, il mercato unico, la competitività, il commercio, l'energia, le relazioni esterne, “e altri temi tra cui la migrazione”. A quest'ultimo, che era infatti il tema che più stava a cuore alla premier italiana, e che già era stato relegato in fondo alla scaletta per un “breve aggiornamento”, non è stato dedicato che una mezz'oretta di discussione, per essere sostanzialmente rinviato pari pari al prossimo vertice europeo di giugno.
Nulla di fatto neanche su un altro tema sul quale Meloni proclamava di dare battaglia, quello della proroga oltre il 2035 dei motori a combustione interna se alimentati a biocombustibili (tecnologia “a bassa emissione di carbonio” cara all'Eni e su cui ha investito molto): richiesta bocciata, al contrario di quella della Germania per i suoi motori alimentati a carburante sintetico “a zero emissioni”, che è stata invece approvata al termine di una serrata trattativa subito dopo il vertice.
Per cui non si capisce di che cosa Meloni abbia da ritenersi “soddisfatta”, vantandosi di aver impresso un presunto “cambio di passo” nella politica migratoria europea, tema che a suo dire “resta centrale”, non avendo portato a casa quasi nulla se non l'incontro con Macron a margine del Consiglio. Incontro in cui, oltre al “disgelo” dei rapporti tra i due, ha ottenuto una vaga “attenzione” al problema della Tunisia e un fronte comune sull'allentamento delle regole sul rientro dal debito, in cambio del suo sostegno alla richiesta francese di inserire il nucleare tra le energie “pulite” ammesse dalla Ue. Non a caso la leader neofascista non ha tenuto la consueta conferenza stampa a fine vertice, ma solo un breve incontro informale in piedi coi giornalisti per rispondere ad un numero limitato di domande.
 

Le decisioni sull'Ucraina e l'intervento di Zelensky
Su tutti gli altri temi in agenda il Consiglio ha proceduto senza problemi, a cominciare dall'Ucraina su cui è stato approvato un documento in 12 punti tra i quali la “ferma condanna della guerra di aggressione della Russia”, il sostegno al piano di pace in 10 punti di Zelensky, il ritiro immediato e senza condizioni della Russia, la protezione delle centrali nucleari, l'accertamento dei crimini di guerra russi, il proseguimento e l'adozione di nuove sanzioni, il “fermo sostegno a livello politico, militare, finanziario e umanitario per tutto il tempo necessario”, con la consegna urgente di nuovi armamenti, missili compresi, e in cui rientra anche il piano di fornitura entro un anno di un milione di munizioni di artiglieria. Ribadendo anche l'impegno alla ricostruzione dell'Ucraina e al suo ingresso nella Ue, così come della vicina Moldova.
Durante i lavori è intervenuto in collegamento video il presidente Zelensky, che ha espresso al Consiglio la sua preoccupazione per cinque “minacce chiave”, ovvero altrettanti “ritardi” nella consegna di missili a lungo raggio e aerei moderni, nell'adottare nuove sanzioni, nell'attuare la Formula di pace ucraina e nell'organizzare un “vertice di pace”, che potrebbe tenersi in una capitale europea, e nell'integrazione del suo Pese nella Ue: “Se l'Europa esita, il male può avere il tempo di riorganizzarsi e prepararsi per anni di guerra. È in vostro potere non permettere che ciò accada. Insieme, possiamo liberare l'Ucraina dall'aggressione russa già quest'anno”, ha sottolineato il presidente ucraino.
 

Ribadita la politica del pugno duro sui migranti
I risultati vantati dalla premier neofascista appaiono ancor più inconsistenti se confrontati con le aspettative ambiziose e roboanti di cui aveva caricato questo appuntamento nel dibattito in parlamento alla vigilia del Consiglio europeo, il 21 in Senato e il 22 alla Camera. “L'Italia, che ho l'onore di rappresentare nel Consiglio europeo, ha oggi tutte le carte in regola per recitare in Europa un ruolo da protagonista e non da comprimaria”, aveva esordito infatti nel suo discorso davanti ai senatori, aggiungendo che “un primo banco di prova è certamente rappresentato dal tema dell'immigrazione”, sul quale ha centrato il suo intervento ed è tornata più volte nelle due repliche. Anche perché chiamata da alcuni parlamentari dell'opposizione a rispondere alle domande rimaste ancora inevase sulla strage di Stato di Cutro; alle quali ha reagito ancora una volta alternando un ridicolo vittimismo (“io sono una madre... cerchiamo di contenere i toni”), alle sfuriate minacciose e ai toni sguaiati da comizio fascista, applauditi con un tifo da stadio dai banchi della destra, con cui ha respinto le accuse per il mancato soccorso definendole “una calunnia non del Governo ma una calunnia nei confronti dello Stato italiano, una calunnia nei confronti degli uomini e delle donne delle Forze dell'ordine che stanno facendo sacrifici enormi! È una calunnia nei confronti del nostro intero sistema!”.
Col che ha ribadito la linea neofascista, razzista e xenofoba anti migranti con cui intendeva presentarsi al consesso europeo, forte di un consenso di massima della presidente della Commissione europea Von der Leyen: “Fermare le partenze, collaborare con i principali Paesi di origine e transito dei migranti, aumentare i rimpatri, rendere efficienti i percorsi per la migrazione legale e la protezione umanitaria, dedicare risorse finanziarie che siano adeguate a questi obiettivi; sono queste le priorità che ci siamo dati e sono anche le priorità che abbiamo portato al tavolo dei leader europei”.
In questo quadro rientravano anche richieste specifiche come il rafforzamento del controllo delle frontiere esterne della Ue da parte di Frontex, il “coinvolgimento degli Stati bandiera delle navi Ong nelle operazioni Sar” (per costringerli a fermarle), il “mutuo riconoscimento, tra i 27 Stati membri, dei provvedimenti di espulsione degli immigrati irregolari”, e “rendere finalmente effettive le procedure di rimpatrio degli irregolari: un tema che noi abbiamo posto con forza e che sta molto a cuore al Governo italiano”. Un approccio cioè puramente repressivo e poliziesco al fenomeno migratorio, al di là della foglia di fico del richiamo alla “protezione umanitaria”, che in realtà il decreto Cutro ha negato ulteriormente tagliando la protezione speciale concessa in Italia a certe condizioni ai rifugiati, che infatti Meloni ha bollato come un'“anomalia in Europa”.

Lo smarcamento della Lega e l'intervento di Romeo
La premier neofascista contava di presentarsi al Consiglio Ue anche con un mandato forte del parlamento sul sostegno politico e militare all'Ucraina, per stornare i sospetti degli altri leader europei sulla tenuta dell'Italia indebolita dalla contrarietà popolare all'invio delle armi, per paura di un coinvolgimento del Paese nella guerra, e dalle posizioni filoputiniane presenti in parlamento e in seno alla stessa maggioranza di governo, forti soprattutto nella Lega di Salvini e in Forza Italia di Berlusconi, due vecchi amiconi e soci in affari del nuovo zar.
Ma le cose non sono andate come lei sperava. È vero infatti che la mozione del governo è stata votata disciplinatamente da tutti e quattro i gruppi della maggioranza, anzi ha avuto anche i voti di Azione-IV, che a sua volta ha ricevuto i voti della maggioranza sulla propria mozione, a dimostrazione che il “Terzo polo” di Renzi e Calenda è sempre più il quinto partito occulto del governo. Ma a parte il fatto che tale mozione di maggioranza nel sostegno all'Ucraina non faceva menzione dell'invio di armi (e la stessa Meloni in aula aveva tenuto a sottolineare che quelle inviate dall'Italia erano comunque armi “difensive”, e che per di più non pesavano sul bilancio perché “sono già in nostro possesso”), la Lega ha voluto marcare lo stesso in maniera eloquente la sua posizione filoputiniana facendo mancare sia al Senato che alla Camera la presenza dei suoi ministri sui banchi del governo. Probabilmente anche per sottolineare il malumore di Salvini per la partita della spartizione delle nomine negli enti pubblici troppo egemonizzata da FdI.
Ma soprattutto è stato l'intervento in dichiarazione di voto del capogruppo della Lega in Senato, Romeo, non applaudito da FdI, a marcare clamorosamente il dissenso con la linea pro Nato, pro Ue e pro Ucraina della premier, lamentando che “le iniziative di mediazione di alcuni Paesi (leggi Cina, ndr) vengono accantonate e giudicate non credibili prima ancora di essere attentamente analizzate”; che “l'obiettivo della cessazione delle ostilità sembra più una dichiarazione di principio. Anzi, si sente parlare costantemente di offensiva”; che “il problema non è il sostegno militare all'Ucraina; il problema è una corsa ad armamenti sempre più potenti, con il rischio di un incidente da cui non si possa più tornare indietro”; e che “non esiste una soluzione militare per questo conflitto: né Kiev, né Mosca possono vincere”. Romeo chiudeva anzi il suo intervento chiedendo in tono provocatorio a Meloni, “che ha fama di essere una tosta”, di farsi interprete in Europa e nella Nato del “ruolo storico dell'Italia per favorire il dialogo e almeno la tregua”.
 

L'intervento del liberale trasformista Conte
Posizioni, queste di Romeo, del tutto analoghe a quelle del liberale trasformista Conte, secondo il quale il sì del M5S all'invio delle armi quando era nel governo Draghi venne dato “nella convinzione che alle armi, però, si affiancasse subito una forte iniziativa diplomatica dell'Italia, dell'Unione europea e della Nato”. Lamentando anche lui come Romeo che invece le armi sono diventate sempre più offensive, fino ad arrivare a missili, aerei da combattimento e tank, il leader M5S ha accusato il governo Meloni di trascinare il Paese “di gran carriera in guerra, nella convinzione di poter conseguire una vittoria militare sulla Russia”, e che “per questa ragione – ha aggiunto - non possiamo sostenere ulteriori forniture militari”.
Infatti la mozione del M5S, respinta dall'aula, al punto primo invitava il governo a chiedere in sede europea l'immediato cessate il fuoco e a fare dell'Italia il “capofila di un percorso di soluzione negoziale del conflitto che non impegni in ulteriori forniture di materiali di armamento”. Questo punto non è stato votato dal PD, che ha votato invece separatamente il resto della mozione M5S.
Oltre a questo inedito rilancio del vecchio asse Lega-M5S, che rimescola le carte tra maggioranza e opposizione, Conte ha attaccato Meloni su tutta la sua politica: dal taglio del Reddito di cittadinanza e del superbonus edilizio ai condoni e la recente riforma fiscale che premia i ricchi e gli evasori; dalla minaccia ai diritti dei bambini alla strage di Cutro; dall'aumento delle spese militari alla minaccia di blocco navale contro i migranti, e così via. Definendo il suo governo “una brutta copia del governo Draghi” e dandole della “faccia di bronzo”. Tutto questo per approfittare delle difficoltà della nuova segretaria del PD Schlein sul tema per lei spinoso delle armi all'Ucraina, che non si è fatta vedere in aula lasciandogli così campo libero per riprendersi la scena come capo dell'opposizione.
 

Un rinvio e una sconfitta netta per l'ambiziosa premier
Meloni è andata quindi a Bruxelles con un mandato non proprio forte del parlamento e della sua maggioranza, e sapendo anche di essere piuttosto isolata rispetto ai leader nord europei, e per questo ha telefonato prima al presidente polacco Morawiecki per rinverdire l'asse con il gruppo dei Paesi di Visegrad. Che però si rifiuta di accettare quote di migranti dagli Stati mediterranei, né del resto Meloni glielo chiede, perché punta tutto sul blocco delle partenze finanziando con soldi europei i governi nord africani e del Sahel in funzione di carcerieri, e a coinvolgere la Ue in una missione navale, sul modello di quella militare “Sofia” del passato, per bloccare le partenze dei barconi. Vorrebbe anche un coinvolgimento militare della Ue e della Nato per “stabilizzare” il Sud del Mediterraneo e l'Africa.
Nello scarso tempo concesso al tema migranti, Meloni ha cercato di convincere gli altri leader europei a prendere qualche decisione concreta su questa sua linea, appoggiata a parole dalla lettera della presidente della Commissione europea. In ciò facendo leva anche sul pericolo di un crollo della Tunisia se non viene sbloccato il prestito di 2 miliardi di dollari del Fondo monetario internazionale, e agitando lo spauracchio di 900 mila migranti pronti a partire da quel Paese. Ma con scarsissimi risultati. Anzi la lettera della Von der Leyen ha ricevuto diverse critiche, non ultima per la promessa consegna di altre motovedette alla guardia costiera libica, dopo i ripetuti episodi di violazione del diritto internazionale. Il premier olandese Rutte, pur appoggiando le richieste della Meloni di “difesa delle frontiere esterne”, è tornato però a battere, insieme al collega austriaco, sul tasto di riprendersi i migranti provenienti dall'Italia e a chiederle di “rispettare l'accordo di Dublino”.
Alla fine la premier italiana è riuscita a malapena a far inserire la richiesta di una “rapida attuazione delle conclusioni del Consiglio di febbraio” nel comunicato finale, che peraltro rimanda il tema dei migranti al prossimo vertice europeo di giugno. Né miglior sorte hanno avuto altri temi su cui Meloni aveva annunciato di dare battaglia, tra cui la “sostenibilità sociale ed economica” e la “piena sovranità politica” della transizione verde, in particolare riguardo al patrimonio edilizio e all'automotive, una “maggiore flessibilità” nell'attuazione del PNRR (in cui il suo governo sconta un forte ritardo), la revisione del patto di stabilità con lo scomputo dal deficit delle spese per le riforme e gli investimenti chiesti dall'Europa, e altre del genere.
Tutte richieste neanche presentate e discusse nel vertice, a parte quella sull'uso dei biocarburanti per permettere all'automotive italiana di sopravvivere oltre il 2035 (e all'Eni di rientrare dei suoi investimenti agricoli per la produzione di biomasse in diversi Paesi africani), che come abbiamo già detto è stata respinta al mittente, mentre è passata quella tedesca sui carburanti sintetici. Un duro colpo anche d'immagine per la premier neofascista, che però si è rivenduta la sconfitta come una battaglia “non ancora persa”.

29 marzo 2023