Il nuovo Codice degli appalti: corruzione, riciclaggio, liberalizzazione dei subappalti, infiltrazioni mafiose
Affidamenti diretti fino a 150 mila euro e inviti senza gara fino a 5 milioni. Tornano gli appalti integrati e si moltiplicano le stazioni appaltanti. I subappalti a cascata aumentano lo sfruttamento e riducono le tutele per i lavoratori. Cancellata la riserva di posti per giovani, donne e disabili. Agevolati il conflitto di interessi e la partecipazione di imprenditori inquisiti
L'Osservatorio nazionale morti sul lavoro: “Col Codice Salvini assisteremo ad un ulteriore bagno di sangue”

Il 28 marzo il Consiglio dei ministri ha approvato in via definitiva con decreto legislativo il Codice dei contratti pubblici in attuazione dell’articolo 1 della legge 21 giugno 2022, n. 78, recante la delega al governo su questa materia. Il decreto è entrato in vigore il 1° aprile e produrrà i suoi effetti già dal luglio prossimo, giacché non ha neanche bisogno dei decreti attuativi per essere attivato. Si tratta di un provvedimento gravissimo, che riporta la legislazione in materia di appalti al Far West degli anni '50-'60, o quantomeno alla Legge-obiettivo del 2001 di Berlusconi e Lunardi, che aveva stabilito un record di sprechi di miliardi, tangenti, corruzione e opere pubbliche incompiute e fatte male.
Nella sostanza, infatti, questa legge legalizza definitivamente, mettendole a regime e peggiorandole ulteriormente tutte le norme, che avrebbero dovuto essere temporanee, del decreto “Semplificazioni” del governo Conte 2 approvato nel 2020 per rilanciare le opere pubbliche durante la pandemia, figlio diretto del decreto “Sblocca cantieri” varato nel 2018 dal governo Lega-M5S, e del decreto “Semplificazioni” di Draghi del 2021, che prorogava le liberalizzazioni del Codice degli appalti a tutto il 2023, varato per sveltire al massimo la messa in opera dei progetti del PNRR. Liberalizzazioni che in questi tre anni avevano già prodotto un significativo aumento delle morti di lavoratori nei cantieri per l'aumento dei subappalti e il peggioramento delle condizioni di sicurezza.
“Il nuovo Codice degli appalti è una rivoluzione: snellisce, accelera, semplifica. Uno strumento rivoluzionario in mano a imprenditori e sindaci”, ha esultato il ministro delle Infrastrutture, che insieme al Consiglio di Stato ha messo mano personalmente alla legge, tanto da rivendicarla come “Codice Salvini”. E in mano anche alle mafie, bisognerebbe aggiungere, giacché sono state eliminate una dietro l'altra tutte le già fragili barriere che ancora ostacolavano in qualche modo la penetrazione nel ricco mercato degli appalti pubblici delle aziende della mafia, utilizzate anche per il riciclaggio dei proventi delle attività criminali.
 

Gli affidamenti diretti e ad invito facilitano la corruzione e le mafie
Si tratta di una torta che vale 200 miliardi l'anno di investimenti, esclusi quelli del PNRR, tra lavori, forniture e servizi: dai cantieri ferroviari e autostradali alla manutenzione, dalle mense, scuole e ospedali ai servizi energetici e informatici per la pubblica amministrazione. E non solo, perché il nuovo Codice servirà anche per gli eventi straordinari, come il Giubileo e il ponte sullo Stretto molto caro a Salvini. Come ha denunciato Carlo Soricelli, curatore dell’Osservatorio nazionale morti sul lavoro, “i cantieri saranno impregnati ancora di più del sangue dei lavoratori. Già oggi un morto sui luoghi di lavoro su quattro è in edilizia, con il Codice Salvini che toglie praticamente i controlli sui subappalti assisteremo a un ulteriore bagno di sangue.”
Parecchie sono infatti le brecce che questo provvedimento ha aperto alla corruzione, al malaffare e al super sfruttamento dei lavoratori nei cantieri: a cominciare dall'affidamento diretto obbligatorio per le forniture fino a 140 mila euro e per gli appalti fino a 150 mila euro, e dalla procedura negoziale senza bando di gara per importi superiori, con l'invito a solo 5 concorrenti fino a 1 milione e a 10 concorrenti fino alla soglia di 5,38 milioni stabilita dalle norme europee per la messa a gara obbligatoria. In pratica le stazioni appaltanti, ossia le amministrazioni pubbliche, potranno invitare un numero ristretto di aziende a propria discrezione senza che tutte le altre neanche sappiano dell'esistenza dell'appalto.
E non si tratta di una fetta minore dei lavori, bensì del 98,3% di tutti gli appalti, quella che rientra nella fascia senza gare sotto i 5 milioni di euro. Un mercato che nel 2021 valeva 18,9 miliardi. Questa abolizione di fatto delle gare d'appalto è uno dei motivi che hanno allarmato il presidente dell'Autorità nazionale anti corruzione, Giuseppe Busia, il quale ha evidenziato che le “soglie troppo elevate per gli affidamenti diretti e le procedure negoziate rendono meno contendibili e meno controllabili gli appalti di minori dimensioni, che sono quelli numericamente più significativi”. Il rischio, ha spiegato il presidente dell'Anac, per il quale le gare andrebbero bandite almeno per i lavori sopra il milione di euro, è che “sotto i 150 mila euro va benissimo il cugino o anche chi mi ha votato e questo è un problema, soprattutto nei piccoli centri”. “È uno strumento che rende alle mafie maggiore possibilità di accesso agli appalti. Soprattutto nei Comuni più piccoli dove il condizionamento mafioso è forte”, ha dichiarato in proposito l'ex procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho, aggiungendo che “i soggetti mafiosi sono così incentivati a scegliere un candidato e sostenerne anche la campagna elettorale”.
Critiche queste che hanno messo evidentemente il dito nella piaga, vista la reazione furente di Salvini, che ha ordinato ai suoi scagnozzi di lapidare pubblicamente Busia e mincciarne le dimissioni, come ha fatto a tambur battente il responsabile Enti locali della Lega, Stefano Locatelli, dichiarando che “se parla così di migliaia di sindaci e pensa che siano tutti corrotti, non può stare in quel ruolo”. Come se, secondo il provocatore fascioleghista, denunciare un'aumentata possibilità di corruzione dei sindaci equivalesse ad accusare di corruzione tutti i sindaci d'Italia.
 

Disattesa la riduzione e riqualificazione delle stazioni appaltanti
Non che l'affidamento diretto non fosse già previsto nei decreti “semplificazione” di Conte e di Draghi, ma Salvini ci ha messo il carico da novanta, eliminando per esempio la clausola del “rispetto dei principi di trasparenza e concorrenzialità” che quei decreti almeno contenevano, e cancellando il divieto (per quanto riguarda le procedure negoziate) di aggiudicare i contratti ad alta intensità di manodopera con il criterio del prezzo più basso. Così come eliminando la clausola che riservava una quota di posti di lavoro per donne, giovani e disabili.
La mano di Salvini si è fatta sentire anche sulla qualificazione delle stazioni appaltanti, cioè il principio – previsto dal Codice del 2016 ma finora mai applicato – per cui solo quelle con adeguate competenze e mezzi devono poter aggiudicare gli appalti di una certa rilevanza. Il testo presentato dal Consiglio di Stato in ottobre prevedeva una sola deroga strutturale: tutti gli enti, anche i piccoli Comuni, avrebbero potuto continuare a fare da sé per forniture e lavori sotto la soglia dell’affidamento diretto, dunque non oltre i 150mila euro. Il nuovo governo ha alzato quel tetto fino a 500mila euro e in più ha previsto che le unioni di comuni anche piccoli e piccolissimi siano iscritte con riserva nell’elenco delle centrali di committenza qualificate.
“Così si spende molto di più del necessario e le pubbliche amministrazioni soccombono nella contrattazione con i grandi gruppi privati”, denuncia sempre l'Anac. Da notare che la riqualificazione delle stazioni appaltanti, insieme all'equiparazione contrattuale e di sicurezza del lavoratori delle aziende in subappalto, erano le due cose promesse da Draghi a Landini per farlo desistere dallo sciopero dopo l'adozione del decreto “Semplificazioni”. Si parla infatti di circa 35 mila stazioni appaltanti, mentre ne basterebbero poche centinaia ben qualificate per aggiudicare rapidamente gli appalti medi e grandi.
 

Sancita la mostruosità dei subappalti a cascata
Salvini e il Consiglio di Stato hanno tolto ogni limitazione anche al ritorno dell'appalto integrato, cioè l’affidamento di progettazione ed esecuzione dell’opera allo stesso soggetto, che così potrebbe decidere di aumentare i costi, decidere varianti e allungare i tempi senza che nessuno possa controllare al di fuori di sé stesso. Previsto dalla famigerata Legge-obiettivo del governo Berlusconi, era stato riportato in vita con alcuni paletti dal decreto “Sblocca cantieri” del Conte 1 e confermato dal decreto “Semplificazioni” di Draghi. Paletti che il governo ha tolto definitivamente: ora l'appalto integrato sarà consentito sempre, non solo per “appalti di lavori complessi” e opere di valore sopra una certa soglia.
C'è poi la vera e propria mostruosità, inserita con la scusa di rispettare una normativa europea, della completa liberalizzazione del subappalto, che diventa a cascata, cioè con la libertà di subappaltare virtualmente all'infinito, con tutte le conseguenze per le infiltrazioni di aziende mafiose, la sicurezza sui cantieri, il super sfruttamento dei lavoratori, e così via. Per protesta anche contro questo odioso decreto la Fillea, il sindacato degli edili della Cgil, ha proclamato insieme agli edili della Uil lo sciopero del 1° aprile con manifestazioni in 5 città, Torino, Roma, Napoli, Cagliari e Palermo.
“Se permetti il subappalto del subappalto, senza fine, sarà molto difficile verificare l'applicazione dei contratti e delle norme sulla sicurezza e salute, la parità di trattamento dei lavoratori. In altre parole, se allunghi a dismisura la catena, è inevitabile un dumping sui costi: il livello più basso di subappalto proverà a risparmiare su tutto, userà gru vecchie, la calce con la sabbia, non metterà il presidio medico, non applicherà il salario giusto o la congruità”, ha spiegato il segretario della Fillea, Alessandro Genovesi. “Se la Cgil annuncia uno sciopero vuol dire che il Codice è stato fatto bene”, è stata la risposta strafottente di Salvini.
In compenso in nuovo Codice ha ricevuto, manco a dirlo, il plauso dell'iper liberista Calenda e di Azione-IV, che ha chiesto anzi di “rivedere il ruolo di Anac”. Cosa che Salvini ha già fatto, anche sopprimendo l'elenco custodito dall'Anac delle amministrazioni aggiudicatrici che affidano direttamente lavori a società in house che fanno capo alle stesse amministrazioni. Secondo l'Autorità anticorruzione “in circa i due terzi dei casi i requisiti dell’in house erano carenti e i soggetti esaminati erano spesso sostanzialmente equiparabili ad imprese liberamente operanti nel mercato, che godevano di affidamenti diretti di contratti pubblici, ottenuti senza gara, in assenza dei necessari presupposti”.
 

Tagliati tutti i “lacci e lacciuoli” che disturbano “chi vuole fare”
Ma non è ancora tutto. A dimostrazione del lavoro scientifico che il governo neofascista Meloni ha fatto per eliminare tutti i “lacci e lacciuoli” che possono “disturbare chi vuole fare”, sono state smantellate anche quelle poche norme di elementare tutela della legalità che ancora esistevano nel vecchio Codice. Come per esempio la norma che escludeva dagli appalti pubblici quegli imprenditori che avessero ricevuto un avviso di garanzia o un rinvio a giudizio, che ora potranno invece partecipare tranquillamente ai bandi; e anzi, grazie alla “riforma” Cartabia, anche in caso abbiano patteggiato una condanna per bancarotta, frode fiscale e altri reati tributari e societari. E come il depotenziamento delle disposizioni per la prevenzione del conflitto di interessi, con il rovesciamento dell'onere della prova sul danneggiato che denuncia il conflitto, che deve dimostrarne l'esistenza effettiva e che esso danneggi gli interessi specifici di un'impresa, non bastando più che sia un vulnus al principio generale dell'imparzialità dei concorsi.
Come se non bastasse ancora, sempre nell'ottica meloniana di “non disturbare chi vuole fare”, l'Ispettorato del lavoro, alle dipendenze del governo, ha stipulato una convenzione con il Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro, al servizio delle aziende, che stabilisce che prima di effettuare controlli nelle aziende gli ispettori dovranno avvisare i consulenti, e se questi autocertificano la regolarità, l'ispezione finisce in coda alla lista.
Intanto in parlamento la maggioranza, con i voti di Italia Viva, ha cancellato i reati contro la pubblica amministrazione dall’elenco di quelli per i quali sono esclusi i benefici penitenziari. E il governo sta per depotenziare anche il reato di abuso d’ufficio, come ha annunciato più volte il ministro della Giustizia, Nordio. Nella sua controriforma della giustizia penale, annunciata entro la fine di aprile, c’è la revisione del reato di traffico di influenze e un’altra picconata alla legge Severino, per eliminare la sospensione per i sindaci condannati in primo grado. E per finire il suo sporco lavoro, ci sarà pure un bel taglio netto alle intercettazioni, che comprenderà anche e soprattutto i reati contro la pubblica amministrazione.

5 aprile 2023