La piazza costringe Netanyahu a sospendere la controriforma sulla giustizia

 
La sera del 27 marzo, a fronte di una crescente protesta che dopo settimane di mobilitazione era arrivata fino a diventare un’ondata di manifestazioni molto partecipate fino agli oltre centomila davanti alla Knesset, il parlamento sionista e a scioperi che bloccavano le attività, il premier sionista Benjamin Netanyahu annunciava “una sospensione” del percorso di approvazione in parlamento della controriformna della giustizia, rinviata a dopo la Pasqua ebraica, in nome della “responsabilità nazionale” e per scongiurare “una guerra civile” e invitava l’opposizione al dialogo per gli “aggiustamenti” necessari. La piazza mobilitata dalla "sinistra" borghese ha quindi costretto l'esecutivo di Tel Aviv a rallentare quel progetto che mirava a mettere sotto il suo controllo l'attività del potere giudiziario, compresa la Corte suprema, fino alla possibilità di annullare con una decisione parlamentare le sentenze che riguardano ministri e atti governativi.
Per ottenere l'assenso delle formazioni minori di destra, che sono determinanti alla vita del governo, sulla sospensione del percorso di approvazione parlamentare della legge, almeno fino alla sessioni di maggio, il premier aveva concordato col ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir di creare un nuovo corpo paramilitare, una cosiddetta Guardia nazionale di volontari messa alle dirette dipendenze del ministro. O meglio di una sorta di milizia privata ufficiale della destra sionista che affiancherà esercito e servizi nella repressione della resistenza palestinese. Già il Consiglio dei ministri del 2 aprile dava il via al progetto, finanziato con circa 260 milioni di euro recuperati con un taglio dell’1,5% dei bilanci approvati appena una settimana prima di tutti gli altri ministeri.
Netanyahu vuole il pieno controllo politico dell'attività inquirente e giudiziaria, quell'obiettivo che la destra borghese persegue in ogni latitudine, liquidando anche formalmente quelle regole del cosiddetto stato di diritto sulla sbandierata indipendenza dei poteri istituzionali. In ogni caso dalla disputa istituzionale tra destra e "sinistra" borghese sionista sono tagliati fuori i palestinesi e i loro diritti. Anzi occupazione e repressione, cresciute a dismisura nei primi due mesi dell'anno, restano patrimonio comune dei due schieramenti sionisti tanto che ci sono alcune voci come quella del giornalista e scrittore Gideon Levy che ha definito su Haaretz “una tempesta nella tazza di tè dell’apartheid questa patetica battaglia in difesa della democrazia israeliana, una democrazia riservata ai privilegiati".
In effetti la attuale indipendenza della Corte Suprema di Tel Aviv messa in discussione dalla controriforma di Netanyahu non le ha impedito di conferire legittimità formale a tutti i crimini contro i palestinesi negli ultimi 75 anni, fino a approvare il drastico piano governativo per la pulizia etnica a Masafer Yatta, nel Sud della Cisgiordania, del precedente governo e a emettere nel marzo scorso un altro decreto per spingere il governo a completare la pulizia etnica di Khan al-Ahmar, a Est di Gerusalemme, su richiesta di un’associazione militante di coloni. Completa il quadro la denuncia del 26 marzo del quotidiano Haaretz e dell’ong palestinese Addameer, impegnata nella tutela e la difesa dei detenuti politici palestinesi nelle carceri israeliane, sul raddoppio nel 2022 fino a quasi mille del numero dei detenuti palestinesi in detenzione amministrativa, quella che prevede il carcere senza accuse ufficiali né processo. La detenzione amministrativa, metteva in evidenza la denuncia, è una forma speciale di custodia cautelare usata dal regime coloniale britannico e riportata nell'ordinamento sionista, una misura repressiva e liberticida che prevede il carcere senza accuse ufficiali né processo, sulla semplice base di rapporti confidenziali dell’esercito o dei servizi a cui i legali dell’accusato non hanno accesso. L’ordine di detenzione amministrativa sionista dura sei mesi ma è rinnovabile senza limiti di tempo, in aperta violazione del diritto internazionale che lo prevede solo in casi eccezionali.


5 aprile 2023