L'editoriale di Scuderi: La questione del potere politico

È un tema sostanziale perché determina una classe sociale e il ruolo che deve assumere nella storia

La questione dell’assenza della richiesta del potere politico da parte del proletariato italiano e che il compagno Giovanni Scuderi fa emergere nel suo Editoriale, in occasione del 46° Anniversario della fondazione del PMLI, deve fare riflettere tutti quanti. Perché la mancanza di questa legittima rivendicazione pone, di fatto, la classe operaia, e l’insieme delle masse lavoratrici, in una situazione in cui è contemplata la sola difesa. E quando la strategia di una intera classe sociale, si riduce alla sola difesa di quei diritti, concessi o ottenuti attraverso lotte e sacrifici, alla conclusione di un inevitabile scontro sociale quella classe può fare i conti solo su quanto ha dovuto cedere, su quanto è costata la lotta per la tutela di quei diritti che magari venivano dati, a torto, per sicuri, per garantiti.
La borghesia, nella sua strategia, non arretra, chiede sempre il conto; e anche quando sembra che stia concedendo qualcosa in verità sta ottenendo ciò che voleva; molto spesso ottiene proprio quello che all’origine del conflitto sociale voleva.
Come ricorda l’Editoriale del compagno Scuderi, questa assenza della richiesta del potere politico da parte del proletariato italiano non è figlia del nuovo che sta avanzando, e neppure di un più moderno rapporto di collaborazione che si sta instaurando fra le diverse classi sociali. È una scelta politica che parte da lontano, e decisa dalla linea revisionista compiuta, nei primi decenni del Novecento, dal Partito Comunista Italiano. L’ipotesi della presa del potere, pietra miliare del marxismo-leninismo, con buona pace della borghesia, di conseguenza venne rimossa, persino soffocata.
Uno dei momenti in cui in Italia questa posizione si fece attiva e sacrificò le spinte rivoluzionarie che arrivavano dalle masse popolari, fu durante la Resistenza e nei periodi che seguirono la Liberazione dal nazi-fascismo. Fra i partigiani comunisti, ma non solo fra loro, viveva la volontà di farla finita con la borghesia italiana che nel corso del ventennio si era servita del fascismo. Viveva la volontà di rovesciare il capitalismo e di imporre il potere dei lavoratori. Ma sopra di loro c’erano dei patti. Degli accordi. PCI e Togliatti fecero restituire ai padroni, le fabbriche occupate dai partigiani e pretesero che, questi ultimi, consegnassero le armi. Togliatti, ministro di Grazia e Giustizia, fece ancora di più, amnistiò i fascisti. Il resto è noto.
Tuttavia la questione sollevata dal Segretario generale compagno Giovanni Scuderi non è, come un revisionista definirebbe, la prosecuzione di un sogno da tempo cullato o il recupero di un progetto dal sapore nostalgico. Piuttosto un tema sostanziale perché determina una classe sociale e il ruolo che deve assumere nella storia.
Niente da dire. La borghesia italiana, con la fattiva collaborazione dei revisionisti, preoccupata dai risultati ottenuti dal proletariato russo nella Rivoluzione di Ottobre del ’17 e temendo che il medesimo evento potesse svilupparsi in Italia, si è rimboccata le maniche e ha ottenuto i risultati che pretendeva. Ha lavorato culturalmente e politicamente talmente “bene” che in ampi strati della popolazione, e questo avviene da vari decenni persino fra la classe operaia, l’obiettivo della presa del potere politico da parte del proletariato è diventato un argomento non riproponibile, da collocarsi nel passato e in ogni modo un progetto ottocentesco. Un progetto fuori dalla storia. Nella visione del futuro del mondo che immagina e propone la borghesia, per il socialismo non esiste nemmeno l’ipotesi. Nella sua bontà la borghesia italiana potrebbe concedere qualche forma di socialdemocrazia, purché non scompagini i propri piani e che aderisca al proprio sistema economico. Il socialismo viene evocato, ma a sproposito e capovolgendo ogni senso logico, quando c’è da salvare qualche istituto bancario, o quando c’è da spalmare, sulla classe operaia, i costi delle ristrutturazioni industriali.
Ora, se questo concetto lo sostiene la borghesia non c’è da stupirsi, è persino lecito. Ma non è lecito, e logico, che quella classe sociale che nel sistema di produzione capitalistico fornisce la propria forza-lavoro in cambio di salari sufficienti per sopravvivere e di briciole di democrazia borghese non si ponga come obiettivo strategico la presa del potere.
Occorre un cambio di passo. Un cambio necessario. Un cambio che deve essere soprattutto culturale. Nei prossimi anni, ma già da ora, l’intera umanità sarà chiamata ad affrontare sfide difficili e molto complesse; cambiamento climatico, guerre imperialiste, crisi economiche, fame. Queste sfide sono il frutto delle contraddizioni insite nel sistema di produzione capitalistico. Il capitalismo si trova nella necessità di doversi ristrutturare, di ricomporre nuove alleanze, di andare alla ricerca di nuovi mercati da invadere. D’altronde questa politica è la missione storica del sistema di produzione capitalistico. Ottenere il massimo profitto senza preoccuparsi della ricaduta che ne deriva. Disposto a gettare intere popolazioni nella disperazione della disoccupazione, nella miseria. Disposto a scatenare guerre, a generare genocidi. È la sua natura. La sua ragione di vita. L’unica strategia che può garantirgli l’esistenza.
Ecco che allora inserire nel proprio programma, da parte del proletariato e delle masse lavoratrici, il superamento per via rivoluzionaria del capitalismo e la presa del potere politico, assume una funzione di civiltà. Un compito di progresso civile assegnato dalla storia che dovrebbe attrarre ogni proletario, ogni sfruttato.
A questo punto nasce la necessità di rivolgersi a quei compagni e compagne che per delusione, per amarezza, si sono chiusi nel proprio privato consegnando ad altri la propria voce. La necessità di rivolgersi ai giovani. Essi vivono in una società confusa, senza sicurezze, con il precariato come futuro. Molti di loro della politica trovano repulsione. Perché si sentono esclusi. Perché non si fidano. Perché credono che nulla possa cambiare.
A questi compagni e compagne dico che sotto il sole abbiamo un Partito di riferimento: il PMLI. Un Partito senza compromessi. Un Partito aperto al dialogo, al confronto. Con un sito chiaro, pulito. Nessuna velina cela ciò che sostiene. Basta visitarlo e leggere le idee, e gli articoli, che contiene per capire che la casa di un comunista, e di chi intende lottare contro il capitalismo, non può che essere un vero Partito Comunista: il PMLI.
“Noi comunisti siamo come i semi e il popolo è come la sua terra. Ovunque andiamo, dobbiamo unirci al popolo, mettere radici e fiorire in mezzo al popolo” (Mao).

 

Ugo – Genova

19 aprile 2023