Rapporto Fondazione Cariplo
Dal 2005 i poveri sono triplicati

 
Lo scorso 28 marzo la Fondazione Cariplo ha presentato a Milano il suo primo rapporto sulla povertà in Italia denominato “Disuaglianze”, un dettagliato e analitico studio di 92 pagine a cura di Federico Fubini, e i dati statistici che contiene sul fenomeno della povertà nel nostro Paese sono drammatici.
I dati statistici dello studio mostrano che nel 2005 in Italia c'erano 1,9 milioni di poveri e attualmente – i dati si fermano comunque alla fine del 2022 – essi sono quasi triplicati fino a giungere a 5,6 milioni, e lo squilibrio tra la popolazione povera e quella più ricca anziché stringersi ha continuato negli ultimi diciassette anni ad allargarsi sempre di più.
Per ciò che riguarda l'area geografica, 2,3 milioni di poveri sono al Nord, 2,5 al Sud e nelle Isole e 861 mila al Centro.
Il rapporto si è concentrato sull'analisi del momento nel quale si originano le disuguaglianze le quali, mostra chiaramente lo studio, hanno un'origine sociale e di classe: i figli dei laureati in un modo o nell'altro si laureano e sono avvantaggiati nella ricerca di un futuro lavoro redditizio, i figli di grandi e medi imprenditori tendenzialmente proseguono l'attività di famiglia e riescono a mantenersi nell'alveo di una classe sociale benestante, mentre i figli dei non laureati o comunque non benestanti hanno tendenzialmente molte più difficoltà a laurearsi, e comunque hanno grandi difficoltà nella ricerca del lavoro.
A pagina 18 del rapporto si mette in evidenza, inoltre, che “per i contribuenti più ricchi, il reddito percepito non deriva prevalentemente da redditi da lavoro, ma da altre tipologie: redditi finanziari, canoni di locazione immobiliare, redditi da lavoro autonomo e d’impresa, redditi che notoriamente sfuggono alla progressività dell’Irpef e sono soggetti ad aliquote sostitutive nel complesso più basse”: ciò significa che la classe sociale che produce materialmente ricchezza in tutte le sue forme (operai della produzione e dei servizi e braccianti agricoli) è fortemente penalizzata sia nei redditi sia nella tassazione rispetto a coloro che vivono di rendita o che comunque si limitano a dirigere la produzione di beni e servizi.
Ciò è pienamente corroborato da quanto si legge a pagina 19 del rapporto, dove è scritto che “la stragrande maggioranza (circa il 90%) della ricchezza posseduta dallo 0,01% più ricco delle famiglie è costituita da attività finanziarie e attività imprenditoriali, quota che scende a circa il 60% per il top 0,1% e a meno del 40% per il top 1%; la parte rimanente della distribuzione, ovvero il 90-95% più povero, detiene invece una quota compresa tra il 20 e il 25%”: è evidente da questa analisi una conclusione, che forse al di là dell'intenzione degli autori di questo rapporto, ovvero che la struttura del sistema capitalista in cui noi viviamo premia fortemente una classe sociale – la borghesia - che è, da un punto di vista economico, totalmente parassitaria, e nello stesso tempo svantaggia altrettanto fortemente una classe sociale – il proletariato - che produce effettivamente tutta la ricchezza che permette a pochi di vivere nell'agiatezza e alla stragrande maggioranza di sopravvivere a stenti.

19 aprile 2023