Sudan
Sugli scontri armati delle due fazioni militari pesano gli interessi di Russia, Cina, Egitto e Emirati

 
In base all'accordo di quattro mesi fa tra il Consiglio supremo di transizione (Tsc), ossia la giunta golpista al potere guidata dal generale Abdel-Fattah al-Burhan, e i rappresentanti di una parte delle organizzazioni di opposizione riunite nel cartello delle Forze per la libertà e il cambiamento (Ffc), ai primi di aprile si sarebbero dovuti concludere i negoziati per definire i tempi di passaggio verso il ritorno a un governo a guida civile a Khartoum. Il processo si è bloccato e la ragione è risultata evidente il 15 aprile quando il braccio di ferro interno alla giunta golpista tra il generale Al-Burhan e il suo secondo, il generale Mohamed Hamdan Dagalo, si è trasferito dalla sede governativa allo scontro armato aperto nella capitale e in molte regioni del paese tra le loro formazioni militari, le forze armate ufficiali e i paramilitari delle Forze di sostegno rapido (Rsf). In pochi giorni il bilancio degli scontri è stato di diverse centinaia di vittime civili, migliaia di feriti e centinaia di migliaia di profughi.
Lo scontro tra i due generali golpisti sarebbe arrivato al punto di rottura sul tema dell'unificazione tra esercito regolare e Rsf, da attuare in tempi brevi nei progetti di Al-Burhan, da spalmare in un periodo di transizione di dieci per Dagalo che voleva mantenere ancora intatto il controllo sul suo braccio armato. In realtà quella tra i generali sudanesi “non è altro che una battaglia per spartirsi il bottino”, denunciava un rappresentante della giunta civile liquidata dal golpe, un bottino rappresentato in gran parte dalle risorse minerarie, quelle petrolifere controllate da Al-Burhan e dalle miniere d'oro controllate dal rivale. Una ricchezza finita nel mirino di altri paesi, a partire da Cina e Russia nella loro più ampia politica neocolonialista di penetrazione nel continente africano; di paesi confinanti come Egitto e Etiopia, interessati anche al tema della gestione delle acque del Nilo che passa nel nord del Sudan nella parte tra il confine etiope e quello egiziano; del fronte dei paesi arabi reazionari guidato dall'Arabia saudita che con gli Emirati Arabi sono da tempo impegnati a costruire un'alleanza che rafforzi la loro posizione nel Mar Rosso. Dietro le quinte lavora da tempo anche la Turchia, i cui servizi sono sempre più attivi nelle crisi regionali africane, col fascista Erdogan che si è proposto come mediatore tra le parti sudanesi in conflitto.
L'attuale giunta militare al potere a Khartoum si è insediata col golpe del 25 ottobre 2021 che interruppe la transizione democratica del paese avviata da una coraggiosa mobilitazione popolare che nell’aprile 2019 aveva portato alla fine della trentennale dittatura di Omar Hassan el-Bashir.
L'ultima parte della dittatura di Bashir è stata caratterizzata dalla repressione dei movimenti nel Sud Sudan, che nel 2005 con l'aiuto dell'imperialismo americano riuscirono a staccarsi dal paese e privarlo delle importanti risorse petrolifere della regione, e dal via libera nella sanguinosa repressione della ribellione in Darfur alle milizie Janjaweed, oggi inquadrate nelle milizie Rsf di Dagalo. Nell'ultimo tentativo di salvare il suo regime, Bashir chiuse i rapporti con l'Iran e si avvicinò ai paesi arabi reazionari, dall'Arabia saudita al Qatar alla ricerca di ampie terre da coltivare in Africa, agli Emirati arabi in cerca di alleati nel continente per sostenere la guerra del generale Haftar contro il governo di Tripoli in Libia. I proventi della svendita delle terre ai paesi arabi del Golfo Persico e gli investimenti ricevuti in cambio finivano sostanzialmente nelle tasche dei generali, della borghesia in divisa ciadiana che come in Egitto controllava e controlla le principali risorse economiche. Quegli stessi generali che dopo mesi di proteste popolari deponevano il dittatore, appoggiavano un governo diretto da un civile e promettevano elezioni democratiche.
L'11 aprile 2021 il Ministro della difesa Auf annunciava l’arresto di Bashir e la costituzione di un consiglio militare che per due anni avrebbe guidato il paese in preparazione di elezioni democratiche ma già il giorno dopo era sostituito da un altro generale, Abdel Fattah Al-Burhan, immediatamente sostenuto da Emirati arabi e Arabia Saudita che gli assicuravano il loro sostegno e disponevano l'invio di aiuti, petrolio, grano e medicinali del valore di 3 miliardi di dollari. La farsa democratica inscenata dai generali tirava giù il sipario il 25 ottobre 2021 quando i militari mettevano ai domiciliari il primo ministro del governo di transizione sudanese Abdalla Hamdok e sospendevano l'attività del governo civile.
I golpisti padroni del paese consolidavano il loro controllo e ricorrevano all'aiuto di paesi imperialisti interessati a sfruttare risorse e vantaggi strategici.
La fazione golpista del generale Burhan si guadagnava l'appoggio politico del socialimperialismo cinese che si presentava con la consueta lista di investimenti per mettere più di un piede nel paese. Ma era in particolare la Russia di Putin a frequentare con assiduità i palazzi di Khartoum con l'obiettivo, riuscito nella visita ufficiale del ministro degli Esteri Lavrov lo scorso 15 febbraio, di dare il via libera all'iter per la costruzione di una base militare a Port Sudan sul Mar Rosso; un accordo che aveva fatto squillare numerosi campanelli d'allarme a Washington. A garantirsi l'appoggio dell'altra componente golpista ci stava lavorando da tempo il gruppo Wagner che con alcune società controllate già partecipava allo sfruttamento delle miniere d’oro del Darfur, parte dell'impero economico di Dagalo. Legami economici che accompagnavano gli accordi militari per l'azione congiunta in Libia dalla parte del generale Haftar, supportata da Russia e Egitto, e iniziative in altri paesi della strategica fascia del Sahel e centroafricana.
Dalla parte di Al-Burhan, l'Egitto dell'altro ex generale golpista al Sisi che mantiene in Sudan un contingente di militari e aerei da guerra per averlo come alleato nella contesa sulla gestione delle acque del Nilo Azzurro con l'Etiopia che grazie anche a società e imprese cinesi e italiane ha dato vita al megaprogetto idroelettrico Gerd.
Dalla parte del golpista Dagalo, gli Emirati Arabi Uniti che hanno ripagato l'aiuto delle sue milizie a fianco del contingente militare degli Emirati nello Yemen con l'invio di micidiali munizioni di ultima generazione comprate nel 2020 in Serbia e ritrovate recentemente in un deposito di armi scoperto dalle truppe del generale Al Buhran. Lo spregiudicato Dragalo, abituato a lavorare contemporaneamente su più tavoli, si era recentemente guadagnato anche un contributo dalla Ue per controllare i confini tra Sudan e Libia e impedire ai migranti di arrivare al Mediterraneo, e dall'Italia, pubblicamente ringraziata il 29 luglio scorso quando aveva sostenuto che le sue milizie “stanno cooperando esclusivamente con l’Italia nei settori della lotta al terrorismo e dell’immigrazione”, secondo quanto riportato dal quotidiano online Africa ExPress.
Una possibile via di uscita dalla giunta golpista si stava delineando in seguito al negoziato tra il Consiglio supremo di transizione e una cinquantina di leader appartenenti a partiti politici, associazioni e organizzazioni della società civile. Vasti settori dell'opposizione contrari a qualsiasi intesa coi goilpisti del Tsc, riuniti in comitati di resistenza e successivamente nel nuovo raggruppamento delle Forze per la libertà e il cambiamento - Blocco Democratico (Ffc-Db), non avevano partecipato al negoziato che ritenevano avrebbe finito per legittimare il colpo di stato. Lo scorso 5 dicembre il negoziato si era concluso con la firma di un accordo politico preliminare che avrebbe dovuto portare a una intesa per dar vita a un governo a guida civile entro l'11 aprile. Non era questo l'obiettivo di Al-Burhan e Dagalo come l'avvio dello scontro del 15 aprile confermava.
Ancora una volta viene confermato che l'imperialismo significa guerra e sopraffazione dei paesi resi sempre più poveri e affamati quantunque siano ricchi di materie prime: sugli scontri armati delle due fazioni militari in Sudan pesano gli interessi di Russia, Cina, Egitto e Emirati, potenze imperialiste mondiali e locali.

26 aprile 2023