In 30mila a Bologna contro la macelleria sociale della Meloni
CGIL, CISL e UIL in piazza ma lo sciopero generale non c'è
I lavoratori contestano i vertici sindacali e invocano lo sciopero generale
Il 6 maggio, in occasione della prima delle tre manifestazioni interregionali indette da CGIL, CISL e UIL il 4 aprile scorso contro la macelleria sociale e il decreto lavoro varato provocatoriamente il 1° maggio dal governo neofascista Meloni, circa 30 mila manifestanti sono sfilati in corteo a Bologna da Piazza XX Settembre a Piazza Maggiore lungo Via Indipendenza.
Dietro lo striscione di apertura del corteo con il titolo della mobilitazione: “Per una nuova stagione del lavoro e dei diritti” sono sfilati i lavoratori di tutte le categorie provenienti dalle regioni del Centro Italia.
Una mobilitazione massiccia che però è stata fiaccata dai vertici sindacali confederali che, nonostante le richieste avanzate a gran voce dalla base durante le assemblee nei luoghi di lavoro e nei territori svoltesi ad aprile, si sono guardati molto bene dall'indire lo sciopero generale e la manifestazione unitaria a Roma.
Una linea filogovernativa e collaborazionista ribadita dai vertici sindacali durante i comizi finali in Piazza Maggiore a cominciare dal segretario generale della Uil Pierpaolo Bombardieri che si è schierato apertamente contro lo sciopero generale affermando fra l'altro che “La mobilitazione dev’essere lunga per condizionare le scelte del governo. Fare uno sciopero generale adesso non serve”. Mentre Luigi Sbarra, segretario Cisl, ha chiarito: “Vogliamo un dialogo permanente e strutturato col governo in grado di sostenere assieme la sfida della ripartenza del Paese”.
Sulla stessa linea anche il segretario della CGIL Landini il quale, in nome dell'unità sindacale, si è appiattito sulle posizioni della Cisl che fra l'altro ha imposto di escludere lo sciopero generale e la lotta contro l’autonomia differenziata dalla piattaforma di mobilitazione che proseguirà con altre due manifestazioni interregionali: il 13 maggio a Milano e il 20 maggio a Napoli.
Pur rivendicando “il superamento della precarietà; una riforma del fisco in direzione contraria a quella del governo; un contributo straordinario sui profitti; la riforma delle pensioni; il rinnovo dei contratti, più investimenti e assunzioni per sanità e scuola pubblica; il rafforzamento della sicurezza sul lavoro”; Landini nelle conclusioni ha avvertito: “Sia chiaro noi andremo avanti finché non otterremo gli obiettivi che ci siamo prefissi. Non sarà facile ma questa piazza piena come non si vedeva da tempo ci dice che l’unità è la strada giusta”.
Un giudizio non condiviso dai lavoratori che invece hanno contestato a più riprese i vertici sindacali urlando “Giù le armi su i salari, sciopero sciopero generale”. E di sicuro non non è la strada indicata dalle categorie che nei giorni scorsi hanno indetto parecchi scioperi unitari a cominciare dagli edili e legno-arredo in lotta per il rinnovo del contratto, dalle telecomunicazioni che il 6 giugno ha proclamato uno sciopero generale, fino ai lavoratori della AirDolomiti, di proprietà della Lufthansa, che sta per prendersi la piccola Ita, ex Alitalia.
Al contrario di quanto tenta di far credere Landini, la piazza di Bologna conferma la distanza siderale esistente tra i dirigenti di Cgil-Cisl-Uil e le reali esigenze dei lavoratori. Basta vedere come in Paesi come Francia, Gran Bretagna, Germania, Spagna, Portogallo, Grecia, assistiamo a grandi mobilitazioni e scioperi con al centro i salari, le pensioni e la sanità, mentre in Italia i sindacati confederali hanno indetto solo delle iniziative interregionali da tenersi di sabato e per giunta senza la proclamazione dello sciopero.
Bologna ha dimostrato che la forza per ottenere migliori condizioni di vita e di lavoro e per cacciare via il governo neofascista Meloni c'è. Quello che manca è un sindacato in grado organizzare e indirizzare la lotta contro i padroni e il governo che regge le sorti e ne cura gli interessi.
Diventa obbligatorio cambiare pagina e superare questa situazione che vede da una parte Cgil-Cisl-Uil oramai compromessi fino al collo con il governo, le istituzioni borghesi e il padronato. Una complicità che ha favorito l'impoverimento dei lavoratori e delle masse popolari italiane che in pochi anni hanno visto erosi i salari e le pensioni, con le famiglie che negli ultimi tre mesi hanno perso il 3,7% del potere d'acquisto. Se l'Italia è l'unico Paese in cui i salari negli ultimi 30 anni sono diminuiti del 3%, subendo una caduta di -10% nell'ultima decade e di ben -6% soltanto nell'ultimo anno a causa dell'impennata dell'inflazione, ciò è dovuto anche all'accettazione da parte sindacale della cosiddetta “moderazione salariale”.

10 maggio 2023