La “sinistra” borghese regge il sacco al governo neofascista Meloni sulle “riforme” costituzionali
Né elezione diretta del presidente della Repubblica o del premier, né il cancellierato o più poteri al premier

“Ne parleremo domani con le opposizioni perché io vorrei fare una riforma il più possibile condivisa, certo. Ma la faccio. La faccio! E la faccio perché il mandato io l'ho ricevuto dal popolo italiano a fare quella riforma, e tengo fede agli impegni che ho preso con i cittadini”! É su questa premessa minacciosa e arrogante, lanciata il giorno prima in un comizio elettorale ad Ancona, che Giorgia Meloni ha aperto il 9 maggio le consultazioni con i partiti dell'opposizione sulla controriforma presidenzialista della Costituzione: cioè dopo aver ribadito in sostanza che lei il presidenzialismo è decisa a farlo comunque, con o senza il consenso dell'opposizione, forte della schiacciante maggioranza che il suo governo detiene in parlamento.
Ma sa anche che se vuole evitare un rischioso referendum popolare, come quelli che bocciarono sonoramente la controriforma presidenzialista e federalista Berlusconi-Calderoli nel 2006 e quella Renzi-Boschi nel 2016 che istituiva il monocameralismo, le occorrono i due terzi dei voti dei componenti delle Camere come prescritto dall'articolo 138 per le modifiche costituzionali, e perciò prova a vedere se riesce a creare delle brecce tra i parlamentari dell'opposizione, con l'intento di portarne il più possibile dalla sua parte. È per questo che si è presentata all'incontro con le delegazioni di questi partiti, guidate da Schlein per il PD, Conte per il M5S, Calenda e Boschi per Azione-Italia Viva, Bonelli e Fratoianni per Alleanza Verdi-Sinistra e Magi per Più Europa, non con la sua proposta preferita di “riforma” basata sull'elezione diretta del presidente della Repubblica, sapendo in partenza di incontrare un no generale perché comprometterebbe il ruolo di “garanzia” del capo dello Stato, ma con quella del cosiddetto premierato, ovvero l'elezione diretta del presidente del Consiglio: un'alternativa altrettanto presidenzialista nella sostanza, ma che potrebbe avere più attrattiva per una parte dell'opposizione non toccando formalmente i poteri del Quirinale.
 

Già pronti i voti di Renzi e Calenda
Infatti su questa proposta Meloni avrebbe sicuramente i voti di Calenda e Renzi, che glieli hanno ampiamente garantiti, essendo oltretutto il premierato un vecchio cavallo di battaglia dell'ex premier fin dai tempi della fallita controriforma elettorale ultra maggioritaria Italicum, cucinata insieme al pregiudicato Berlusconi, e che continua a portare avanti tutt'ora con la sua proposta del “sindaco d'Italia”: cioè appunto l'elezione diretta del capo del governo sul modello a doppio turno della legge elettorale per i sindaci delle città sopra i 15 mila abitanti, a cui aggiunge pure il suo vecchio pallino del monocameralismo. “Io dico alla Meloni: vai avanti, noi sul premierato ci stiamo anche se non ci stanno gli altri e saremo corretti con voi a differenza di quanto fece la destra con le nostre riforme”, ha detto Renzi in un'intervista a La Stampa del 9 maggio, peraltro piena di altri elogi e incitamenti alla premier neofascista, tipo questo: “Dico a Giorgia Meloni: se sei seria e fai riforme serie, sulle riforme costituzionali noi ci siamo, anche se non ci stanno gli altri. Essere riformisti non è uno slogan, è una vocazione”.
A fare da sponda alle profferte renziane è Forza Italia, il cui “reggente” Tajani, in margine al comizio di Ancona, ha detto ai giornalisti: “Le riforme le vogliamo fare con tutti, ma se l’opposizione si divide come facciamo? Ad esempio potremmo fare con Renzi, e senza i due terzi in Parlamento facciamo il referendum e decideranno gli italiani”. Stessa musica da parte di Salvini, secondo il quale il referendum “è il bello della democrazia. Se qualcuno continuerà a dire no a ogni proposta, allora saranno gli italiani a metterci il timbro”.
Dunque la strategia del governo neofascista sembra delineata: presentare al più presto, al massimo entro giugno-luglio (come aveva anticipato la ministra per le Riforme istituzionali Casellati a Gennaio dopo il primo giro di consultazioni), una proposta di “riforma” presidenzialista, che nelle intenzioni di Meloni dovrebbe essere il premierato, e approvarla con almeno i voti di Renzi e Calenda, per poi ratificarla con il referendum se proprio non le riuscisse il colpaccio di evitarlo ottenendo anche i voti mancanti per agguantare il quorum dei due terzi, che potrebbero arrivarle ad esempio dai renziani ancora presenti nel PD, e magari anche da parlamentari Cinquestelle.

I dispetti di Salvini e il nodo dell'autonomia
Rispetto all'elezione diretta del capo dello Stato, il premierato sarebbe oltretutto un'occasione d'oro per lanciare la nuova aspirante duce degli italiani a regnare da monarca assoluta anche dopo la fine dell'attuale legislatura. Lo ha ben fiutato Salvini, che sentendo puzzo di bruciato nella proposta meloniana le ha subito messo i bastoni tra le ruote, facendo dire ai suoi uomini, come il sottosegretario ai Trasporti, Rixi, che “il premierato mette a rischio l'autonomia del parlamento”; e come il capogruppo della Lega alla Camera, Molinari, il quale ha ricordato che il patto elettorale nella coalizione della destra prevedeva l'elezione del presidente della Repubblica, e non del presidente del Consiglio. L'avvertimento del caporione leghista alla premier sottintendeva anche l'irritazione dei vertici del Carroccio per il temporeggiare di FdI sul progetto di autonomia differenziata che Meloni, pensando al suo elettorato nel Meridione, vorrebbe procedesse in parallelo con la “riforma” costituzionale presidenzialista: vale a dire approvata negli stessi tempi, e non prima di aver stabilito i Livelli essenziali delle prestazioni (Lep), mentre la Lega preme perché sia approvata in tempi rapidi, possibilmente entro quest'anno, o comunque prima delle elezioni europee del 2024. Un vantaggio che oltretutto la premier non vorrebbe concedere a Salvini. Ciò non toglie che come ha ribadito anche il suo sottosegretario con delega all'attuazione del Programma, Fazzolari, l'autonomia differenziata, come il presidenzialismo, “è una battaglia di tutti i partiti di centrodestra... sono due percorsi complessi che cercheremo di portare avanti nel minor tempo possibile”.
 

Opposizioni favorevoli al cancellierato alla tedesca
E gli altri partiti dell'opposizione parlamentare, PD, M5S, AVS e Più Europa? Formalmente si sono dichiarati tutti contrari alla proposta meloniana basata sul premierato, con motivazioni in parte comuni (soprattutto la diminuzione dei poteri del capo dello Stato che un premier eletto direttamente “dal popolo” comporterebbe di fatto), e in parte diverse a seconda dei rispettivi interessi di bottega. “Diciamo no all'elezione diretta del presidente della Repubblica e anche al premierato, il cosiddetto sindaco d'Italia”, ha dichiarato infatti Elly Schlein, dopo aver replicato alla Meloni che il presidenzialismo non è una priorità del Paese, che ne ha ben altre. Anche Conte ha detto no sia all'elezione diretta del capo dello Stato che del governo, mentre Magi ha definito “una follia” la proposta del “sindaco d'Italia”, e Fratoianni ha auspicato “un fronte ampio e comune delle opposizioni a difesa della Costituzione”.
Ma intanto tutti questi leader della “sinistra” borghese hanno accettato di partecipare alle consultazioni indette dalla destra, e questo segna già un punto a favore della premier neofascista legittimando il suo assalto presidenzialista e fascista alla Carta del 1948. Ma non solo, perché tutti costoro condividono anche il postulato meloniano, che lei pone a fondamento della sua offensiva presidenzialista, della necessità di rafforzare i poteri del presidente del Consiglio per dare più “stabilità” e durata ai governi. Infatti tutte le delegazioni dell'opposizione si sono dette disposte a discutere sul rafforzamento dei poteri del premier secondo il modello del cancelliere tedesco, in particolare con la possibilità di nominare e revocare i ministri (prerogativa che oggi spetta formalmente al presidente della Repubblica) e la cosiddetta sfiducia costruttiva, per la quale un governo non può essere sfiduciato dalle Camere se queste non dimostrano di avere una maggioranza di governo alternativa.
Addirittura il trasformista Conte, pur rifiutando presidenzialismo e premierato, ha aperto però ad una commissione Bicamerale, spiazzando la Schlein e non ricevendo un no netto dalla Meloni, che ci ha intravisto l'occasione per inserire un cuneo nell'opposizione. Anche se ha avvertito che non accetterà che dietro questa proposta ci siano “intenti dilatori”, e che in ogni caso non è disposta a negoziare sul principio dell'elezione diretta. Lo ha messo in chiaro il capogruppo di FdI alla Camera, Foti, uno dei fedelissimi della premier, registrando al tempo stesso la non pregiudiziale chiusura della “sinistra” borghese sul principio del rafforzamento dei poteri dell'esecutivo : “Io penso che sulla diagnosi in fondo siamo tutti d'accordo. Ci si divide sulla cura”, ha detto in un'intervista a La Stampa del 13 maggio. “Per quanto riguarda non solo la destra ma il centrodestra che l'ha messo nel programma, l'elezione diretta del Presidente della Repubblica è un obiettivo. Dopodiché, anche il premierato è una forma di presidenzialismo. Perché, alla fine, il presidenzialismo non è solo dare nuovi poteri a Tizio o a Caio, ma di farlo tramite consenso popolare, per elezioni diretta. Per noi, il consenso popolare è la stella polare. Quindi,il premierato, è effettivamente un'ipotesi sulla quale mi auguro molte forze politiche possano convenire”.
 

Il PMLI e il disegno di repubblica presidenziale
Al di là infatti della forma di presidenzialismo, che sia repubblica presidenziale, semipresidenziale o premierato, quello che a Meloni interessa è soprattutto l'elezione diretta del “capo della nazione”, perché è il plebiscito popolare che le assicurerebbe poteri simili a quelli di Mussolini, che è l'obiettivo a cui punta per completare la marcia su Roma elettorale che l'ha portata a Palazzo Chigi. Non per nulla la repubblica presidenziale era un obiettivo storico del MSI e del suo padre spirituale e politico Almirante, condiviso da tutta la destra golpista e stragista e dalla P2 di Gelli. Un disegno reazionario e neofascista che dopo la stagione delle stragi e del terrorismo nero e sedicente “rosso” la destra della classe dominante borghese ha cercato di realizzare per via parlamentare con diversi tentativi, con la complicità attiva della “sinistra” borghese, come con le commissioni Bicamerali Bozzi del 1983, quella De Mita-Iotti del 1992, e quella D'Alema del 1997, che aveva raggiunto un accordo per una repubblica semipresidenziale e che fallì solo perché Berlusconi ci ripensò e ritirò il suo consenso.
Dopo di allora vi furono altri tentativi di controriforma della Costituzione ma di iniziativa governativa, alcuni bocciati come quello del governo Berlusconi nel 2006 e quello di Renzi nel 2016; altri invece riusciti come la controriforma federalista del Titolo V della Costituzione del governo di “centro-sinistra” Amato nel 2001 (sfruttata oggi dalla Lega per imporre l'autonomia regionale differenziata), l'obbligo di pareggio di Bilancio inserito all'unanimità nella Costituzione sotto il governo Monti nel 2012, e il taglio dei parlamentari, una modifica alla Carta voluta dal M5S mentre governava con la Lega, ma votata poi da tutti i partiti nel 2020.
Il PMLI ha denunciato e combattuto puntualmente tutti questi passaggi, smascherando il disegno presidenzialista fin da quando venne allo scoperto nel 1979 con la “Grande Riforma” istituzionale del neoduce Craxi, leader del Partito socialista. Nessuno, a parte il nostro Partito, aveva capito allora la pericolosità di questo disegno e che fosse di stampo neofascista. Solo due anni dopo , con la scoperta degli elenchi della P2 e del “Piano di rinascita democratica” e dello “Schema R” di Gelli, verrà alla luce che il progetto di repubblica presidenziale lanciato da Craxi e poi ripreso dopo la sua caduta da Berlusconi, era stato concepito già alcuni anni prima dalla P2.
Oggi questo disegno è ripreso e portato avanti dalla neofascista Meloni, e c'è il serio rischio, se non si uniscono tutte le forze anticapitaliste e antifasciste in un largo fronte unito per buttarla giù, che stavolta riesca ad andare in porto, vista la forte maggioranza di cui dispone in parlamento, che comprende anche i gruppi di Renzi e Calenda, e visto anche il sostegno quasi unanime dei giornali e quello totale del sistema televisivo Rai-Mediaset. Ma soprattutto vista l'ambiguità della “sinistra” borghese, che non rifiuta il dialogo sulle “riforme” e apre anzi ad una controriforma presidenzialista della Costituzione nella forma per ora del cancellierato alla tedesca, ma che può aprire oggettivamente la strada al premierato voluto da Meloni e dalla destra neofascista.


17 maggio 2023