Elezioni comunali parziali del 14 e 15 maggio 2023
il 41% delle elettrici e degli elettori diserta le urne
L’“effetto” Meloni e Schlein non riesce a recuperare la fiducia dell’elettorato astensionista. La destra conquista Latina e si conferma in 3 comuni capoluogo. La “sinistra” borghese in 2. Altri 8 comuni capoluogo al ballottaggio. Quasi tutti i partiti in lizza perdono voti. In picchiata M5S, Azione di Calenda e Italia Viva di Renzi
Il proletariato abbandoni l’elettoralismo e lotti per il potere politico e il socialismo

Il 14 e 15 maggio 2023 si sono tenute le elezioni comunali parziali in alcune regioni a statuto ordinario. Sono stati coinvolti 4.587.877 elettori in circa 595 comuni. Tredici i comuni capoluoghi coinvolti di cui un capoluogo di regione (Ancona) e 12 comuni capoluogo di provincia (Brescia, Sondrio, Treviso, Vicenza, Imperia, Massa, Pisa, Siena, Terni, Latina, Teramo, Brindisi).
Elezioni molto parziali ma molto attese. Tutti i partiti del regime neofascista sono infatti alla ricerca chi di conferme, chi di segnali di inversioni di tendenza, o ancora di indicazioni per il proprio incerto futuro politico ed elettorale. Per questo sono scesi in campo in prima persona anche i maggiori leader dei vari partiti del regime neofascista: dalla Meloni ad Ancona, alla Schlein a Pisa. Persino il leader di Forza Italia Berlusconi dal suo letto di ospedale è intervenuto alla vigilia della consultazione per dire che: "Il voto nelle prossime elezioni comunali è importante, votare è un dovere dei buoni cittadini” e che l'esito di tale voto "può incidere sul peso del nostro governo".
Tutti i commentatori erano in attesa in particolare del cosiddetto “effetto” Meloni e Schlein sull’elettorato sia per quanto riguarda i risultati dei loro rispettivi partiti sia per quanto riguarda l’effetto sul richiamo dell’elettorato alle urne rimaste quasi vuote nelle ultime consultazioni in Lombardia, in Lazio e in Friuli.
L’“effetto” però non c’è stato, o comunque non è stato come si aspettavano e speravano. Nessun sconvolgimento rispetto agli ultimi risultati elettorali. Fratelli d’Italia della neofascista Meloni al massimo conferma gli ultimi risultati, mentre il PD della Schlein continua a cuocere sui carboni ardenti. L’astensionismo infine, ha continuato inesorabilmente a salire rispetto alle elezioni comunali precedenti nonostante siano state confezionate centinaia e centinaia di liste civile (che peraltro si aggiudicano oltre la metà dei voti validi, il 54,9%, nei comuni sopra i 15 mila abitanti) con migliaia di candidati; nonostante che il voto fosse quest’anno spalmato su due giornate invece che su una sola; nonostante si siano localmente sperimentate alleanze diverse come PD-M5S, PD-Azione-Italia Viva, e, infine, nonostante che vi fossero, anche rispetto al passato, più comuni in bilico e dall’esito elettorale tutt’altro che scontato.
 
L’astensionismo primo “partito” assoluto
Il 41% delle elettrici e degli elettori hanno disertato le urne con un incremento del 2,2% rispetto alle precedenti elezioni comunali che in genere si sono tenute nel 2018. In particolare la diserzione, al contrario del passato, è la scelta di voto praticata maggiormente dall’elettorato del Nord, rispetto all’elettorato del Sud. Record ai comuni lombardi col 46,2% e una diserzione oltre il 50% nei comuni della provincia di Milano e Lecco. Dopo la Lombardia si piazzano le province del Piemonte (44,4%), del Veneto (43,9%), della Liguria (43,9%) e dell’Emilia-Romagna (43,5%). Al Sud disertano il 43,6% degli elettori in Calabria e il 41,7% in Basilicata.
Nei tredici comuni capoluogo il record va a Treviso che registra un netto +7% rispetto al 2018 e fa impennare la diserzione al 47,9% dell’elettorato. Poi viene Sondrio (45,9%), Vicenza (45,8%), Ancona (45,1%), Pisa (43,6%),Terni (43,1%), Brescia (42,6%), Latina (41,9%).
Significativo anche l’incremento della diserzione a Imperia (+4,7%) e Sondrio (+4%). Gli unici capoluoghi dove arretra leggermente sono Brescia (-0,4%), Siena (-0,7%) e Ancona (-0,4%). Non a caso i comuni dove il risultato era nient’affatto scontato e c’era sull’elettorato di sinistra un forte ricatto e quindi un forte richiamo alle urne per non “far vincere la destra”. È il caso di Brescia e Ancona, governate dalla “sinistra” borghese ma messe in bilico dagli ultimi risultati delle elezioni politiche, e poi Siena dove la destra nel 2018 era riuscita a strappare il governo della città dopo decenni di dominio incontrastato prima del PCI e poi del PD.
Queste lievi oscillazioni e le differenze fra città e città, provincia e provincia e regione e regione, non solo non mettono in discussione la tendenza ormai consolidata da parte dell’elettorato a disertare in massa le urne, ma anche che l’astensionismo non è un voto generico e qualunquista, e non risente del clima, delle stagioni, o di altre possibili variabili. Si tratta di una scelta che gli elettori fanno sempre più consapevolmente secondo il tipo di consultazione, i candidati e le liste in lizza, la congiuntura economica, sociale e politica.
L’astensionismo ha sempre più un significato di protesta, di rifiuto, di delegittimazione di questi partiti parlamentari, dei governi locali e centrale. Sono soprattutto gli elettori di sinistra a disertare le urne non sentendosi rappresentati da nessun partito del regime né della destra né della “sinistra” borghese, specie dopo lo smascheramento della vera natura e ruolo del Movimento 5 stelle che aveva illuso e richiamato alle urne una parte significativa dell’elettorato di sinistra.
 
Delegittimati le istituzioni borghesi e i partiti del regime neofascista
L’astensionismo di fatto, che lo si ammetta o no, rappresenta una tremenda mazzata per il regime capitalista neofascista, per il suo governo e le sue opposizioni di “cartone”, per le istituzioni rappresentative borghesi, per l’elettoralismo borghese e per tutti partiti del regime, nessuno escluso. L’astensionismo resta, ovunque, il primo “partito” in assoluto.
Guardando alle principali città coinvolte in questa tornata si può facilmente dedurre che tutti i partiti in lizza hanno perso voti rispetto alle elezioni politiche del 2022. A Brescia, per esempio Fratelli d’Italia guadagna più di diecimila voti rispetto al 2018 (ne perdono però più di 15 mila Lega e Forza Italia), ma rispetto alle politiche del settembre 2022 dove di voti ne aveva ottenuti 22.668, perde quasi diecimila voti attestandosi a 13.062. Così a Pisa dove passa da 9.513 voti alle politiche agli attuali 6.415. Ad Ancora dove ottiene 7.607 voti a fronte degli 11.619 delle politiche.
La Lega conferma il suo trend negativo. Salta agli occhi in particolare il risultato di Brescia dove nel 2018 aveva ottenuto 18.758 voti e alle politiche si era attestata a 9.680 precipitando a 5.957 voti nelle consultazioni attuali. Male anche Forza Italia. C’è da considerare, come informano analisi sui flussi elettorali, che la coalizione di destra ha potuto contare non solo su una parte di elettori usciti dal M5S, ma anche da un significativo appoggio di elettori di Azione e di Italia Viva.
Per quanto riguarda il PD, che si consola essendo il partito più votato (dopo l’astensionismo) in queste consultazioni, perde comunque voti consistenti rispetto al 2018 e riesce solo a contenere le perdite rispetto alle politiche grazie e soprattutto ai voti persi dal M5S. Scarsi per tutti i protagonisti i frutti delle alleanze del PD con il M5S a Latina, Pisa, Brindisi e Teramo, da una parte, e con Azione e Italia Viva a Brescia, Vicenza e Ancona, dall’altra.
Quasi azzerato il M5S, che alla consueta scarsa prestazione alle comunali, associa una evidente crisi elettorale. Nei comuni capoluoghi va oltre il 3% sui voti validi solo a Terni (6,5%), Brindisi (5,1%), Ancona (3,8%) e Latina (3,2%).
Ancor peggio Azione e Italia Viva che rispetto alle politiche hanno perso voti a destra e a manca e svelano a livello locale un pressoché inesistente legame con l’elettorato e il territorio.
Al momento la destra batte la “sinistra” borghese in quanto a comuni conquistati. Sui 90 comuni oltre i 15 mila abitanti, 23 sono andati alla destra borghese, 15 alla “sinistra” borghese, 13 a liste civiche e 40 vanno al ballottaggio del 28 e 29 maggio.
Per ora solo 6 su 13 sono i sindaci dei comuni capoluogo eletti al primo turno. Il resto va al ballottaggio. La destra si aggiudica Latina strappandola al “centro-sinistra”, anche se in verità si tratta di un comune commissariato andato alle urne in anticipo proprio perché il sindaco aveva dovuto dare le dimissioni per insufficienti numeri in consiglio comunale. Conferma poi i propri sindaci uscenti a Sondrio, Treviso e Imperia. Il “centro-sinistra” si riconferma per ora solo a Brescia e Teramo.
Prima del voto i comuni capoluoghi erano così spartiti: 8 alla destra, cinque al “centro-sinistra”. Vedremo come andrà a finire dopo il ballottaggio.
Fra i sindaci già eletti nessuno è riuscito a strappare il consenso della maggioranza dell’elettorato. Nemmeno l’esponente di Fratelli d’Italia Matilde Celentano che a Latina ottiene il 70,7% dei voti validi che rapportati all’intero corpo elettorale equivalgono però al 40,2%. Per non parlare poi del leghista Marco Scaramellini che a Sondrio ottiene il consenso del 30,8% degli elettori; di Laura Castelletti (già PSI e vicesindaco nella passata amministrazione) che a Brescia ottiene il 31,2%; del leghista Mario Conte che a Treviso ottiene il 33,1%.
Tutti i sindaci fin qui eletti risultano così delegittimati e privati della fiducia e del consenso della stragrande maggioranza delle elettrici e degli elettori.
 
L’appello del PMLI
Occorre prendere atto ancora una volta che le istituzioni rappresentative borghesi ormai sono marce, delegittimate, irrecuperabilmente fascistizzate e inservibili a un qualsiasi uso da parte del proletariato e del suo partito sempre ammesso che questo possa accedervi in qualche modo e in qualche misura, viste le attuali regole elettorali. Dopo oltre 70 anni di esperienza e sperimentazione dell’elettoralismo e del partecipazionismo borghesi sarebbe l’ora di ammettere il suo completo fallimento. Persistere a perseguire questa strada da parte del proletariato e dei partiti che si dichiarano comunisti non solo risulta inutile e dispersivo, ma profondamente sbagliato perché così si continua a spargere fra l'elettorato di sinistra illusioni elettorali, costituzionali e governative quando invece avrebbe bisogno di liberarsi completamente da queste catene e agire liberamente sul fronte della lotta di classe e di piazza.
“È giunto il momento che il proletariato rifletta sul suo futuro, - ha esortato il Segretario generale del PMLI, compagno Giovanni Scuderi, nel recente Editoriale per il 46° Anniversario del PMLI - si appropri della sua cultura, che è il marxismo-leninismo-pensiero di Mao e non quella dell'operaismo, dell'anarco-sindacalismo, del riformismo e della socialdemocrazia, che prenda coscienza di essere una classe per sé, non solo in sé, il cui compito fondamentale è cacciare dal potere la borghesia con la forza e prenderne il posto come classe dominante, cambiando radicalmente la società, nella struttura e nella sovrastruttura”.
“Il proletariato – indica concretamente Scuderi - deve porsi come obiettivo strategico la conquista del socialismo. Intanto mettendo nel mirino il governo neofascista Meloni, che tra l'altro tenta di riscrivere la storia del fascismo e dell'antifascismo calunniando la Resistenza, e creando il più largo fronte unito possibile per abbatterlo”. (cfr Il Bolscevico n. 14/2023) Su questo appello tutti coloro che vogliono davvero cambiare il volto capitalista dell’Italia in senso socialista è chiamato a riflettere ed esprimersi.

24 maggio 2023