Lollobrigida come Mussolini: “Esiste l'etnia italiana, va difesa”

 
Il ministro dell'Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste Francesco Lollobrigida ha detto testualmente lo scorso 11 maggio a margine degli Stati generali della natalità: “Credo che sia evidente a tutti che non esiste una razza italiana, è un falso problema quello di immaginare un concetto di questa natura. Esiste però una cultura, un’etnia italiana, che la Treccani definisce raggruppamento linguistico-culturale, che in questo convegno si tende a tutelare”.
Quasi un mese prima, precisamente il 18 aprile, lo stesso Lollobrigida era intervenuto sul tema della denatalità in Italia e sul contemporaneo afflusso di migranti durante un convegno organizzato dalla Cisal, dichiarando di non arrendersi a quella che, usando le sue testuali parole, sarebbe una “sostituzione etnica”.
Per comprendere il reale significato di tali parole e per capire il motivo per cui sono state pronunciate, bisogna comprendere chi è Francesco Lollobrigida, e da quale retroterra culturale provengono tali aberranti concetti.
Lollobrigida ha militato da giovane nel Fronte della Gioventù, l'organizzazione giovanile del Movimento Sociale Italiano del quale fu presidente tra il 1953 e il 1954 Rodolfo Graziani, il famigerato generale fascista che fu responsabile di comando nelle guerre coloniali mussoliniane in Africa, dove peraltro fece uso massiccio delle armi chimiche contro le popolazioni locali, e del quale fu segretario tra il 1969 e il 1988 Giorgio Almirante, segretario di redazione dal 1938 al 1942 della rivista La difesa della razza , che pubblicò, tra l'altro, il Manifesto della razza nel numero 1 del 5 agosto 1938.
Scriveva Almirante a pagina 11 del numero 38 di questa rivista pubblicato il 5 maggio 1942, al termine di un articolo intitolato “… Ché la diritta via era smarrita...”: “il razzismo ha da essere cibo di tutti e per tutti, se veramente vogliamo che in Italia ci sia, e sia viva in tutti, la coscienza della razza. Il razzismo nostro deve essere quello del sangue, che scorre nelle mie vene, che io sento rifluire in me, e posso vedere, analizzare e confrontare col sangue degli altri. Il razzismo nostro deve essere quello della carne e dei muscoli; e dello spirito, sì, ma in quanto alberga in questi determinati corpi, i quali vivono in questo determinato Paese”.
Nell'articolo, della lunghezza di tre pagine, Almirante sosteneva quello che lui definiva “razzismo biologico”, ossia una politica fondata sulla discriminazione di neri, rom ed ebrei da parte degli italiani, il tutto fondato sul presupposto dell'esistenza di razze umane con caratteristiche biologiche peculiari e della subordinazione di quelle inferiori a quelle superiori.
È stato spesso sostenuto da politici e storici di destra che il regime fascista si sarebbe convinto a sostenere il razzismo biologico solo nell'estate del 1938, al fine di consolidare i rapporti politici con la Germania nazista dopo la visita a Roma di Hitler nel maggio precedente, ma questo è falso, perché se è vero che gli ebrei italiani furono colpiti con provvedimenti normativi solo a partire dall'autunno di quell'anno, il fascismo aveva elaborato una dottrina razzista ben prima.
Infatti Indro Montanelli scriveva nel numero di gennaio 1936 del mensile Civiltà fascista, precisamente in un articolo intitolato 'Dentro la guerra' e pubblicato mentre era ancora in corso la guerra d'Etiopia: “non si sarà mai dei dominatori, se non avremo la coscienza esatta di una nostra fatale superiorità. Coi negri non si fraternizza. Non si può, non si deve. Almeno finché non si sia data loro una civiltà”. “Il bianco – scrive subito dopo Montanelli – comandi”.
E il regime fascista non attese molto tempo prima di emanare la sua prima legislazione razzista: l'articolo unico del regio decreto legge n. 880 del 19 aprile 1937 disponeva che “il cittadino italiano che nel territorio del Regno o delle Colonie
tiene relazione d'indole coniugale con persona suddita dell'Africa Orientale italiana o straniera appartenente a popolazione che abbia tradizioni, costumi e concetti giuridici e sociali analoghi a quelli dei sudditi dell'Africa Orientale Italiana, è punito con la reclusione da uno a cinque anni”. Tale regio decreto legge, entrato in vigore il 9 luglio di quello stesso anno, fu comunque convertito dalla legge n. 2590 del 30 dicembre 1937, e negli anni successivi la legislazione razziale fascista espressamente diretta contro i sudditi coloniali fu rafforzata.
E tale norma non rimase lettera morta, perché dopo la conquista dell'Etiopia il regime fascista riordinò l'ordinamento giudiziario delle colonie portandovi tribunali e corti d'appello e creò la PAI (Polizia dell'Africa Italiana), un corpo di polizia che si macchiò in quella terra di tanti e tali crimini ai danni della popolazione civile che gli alleati la dovettero sciogliere nel 1945 sotto le pressioni del governo etiope reinsediato.
Nel numero di maggio 1940 della rivista mensile Razza e Civiltà , ed è uno dei tanti esempi che si potrebbero citare, è pubblicato il dispositivo di una sentenza della Corte d'Appello di Addis Abeba (presidente dott. Guerrazzi, giudice relatore dott. Nigro) pronunciata il 31 gennaio 1939 contro un italiano, tale Seneca, nei cui confronti viene applicata proprio la disposizione del regio decreto legge n. 880 del 1937, sopra citato: “nel caso di un nazionale – scrive la Corte d'Appello - quale confessi di aver preso con sé un’indigena, di averla portata con sé nei vari trasferimenti, di volerle bene, di averla fatta sempre a mangiare e dormire con sé, di avere consumato con essa tutti i suoi risparmi, di avere fatto regali ad essa e alla di lei madre, di averle fatto cure alle ovaie affinché potesse avere un figlio, di avere preso un’indigena al suo servizio, di avere preparato una lettera a S.M. il Re Imperatore per ottenere l’autorizzazione a sposare l’indigena o almeno a convivere con lei, si verifica un fenomeno quanto mai macroscopico di insabbiamento, perché qui non è il bianco che ambisce sessualmente la venere nera e la tiene a parte per tranquillità di contatti agevoli e sani, ma è l’animo dell’italiano che si è turbato ond’é tutto dedito alla fanciulla nera sì da elevarla al rango di compagna di vita e partecipe ed ogni atteggiamento anche non sessuale della propria vita”. Per l'ideologia e la legislazione fascista, insomma, anche il semplice rapporto sessuale tra una persona italiana e una persona nera è una vera bestialità e un vero abominio, ed è altrettanto ripugnante che dei magistrati italiani si siano prestati all'applicazione di tali abominevoli norme. “È pertanto opportuno – prosegue il dispositivo della sentenza - comminare la pena, sebbene sia un incensurato, in misura che non renda possibile la condanna condizionale perché è tale e tanta l’ubriacatura del colpevole che tornerebbe a convivere con l’indigena ove lo si scarcerasse. In concreto va inflitto un anno e un mese di reclusione, bastevoli a snebbiare il cervello dell’italiano e a disperdere la femmina in cento altri contatti che la diminuiscano di pregio per il nazionale e la vincolino a nuovi interessi e forse a nuovi interessati affetti”.
È alla luce di questi dati di fatto, di questa abominevole cultura razzista e xenofoba alla quale fin dalla gioventù Francesco Lollobrigida si è ispirato, che vanno interpretate le sue parole le quali non sono, come certa stampa filogovernativa sembrerebbe credere o vorrebbe far pensare di aver creduto, scivoloni politici o approssimazioni lessicali, ma veri e propri tentativi lucidi e coscienti di corrompere e imbonire la popolazione cercando di inculcargli questa cultura fascista e razzista che è patrimonio del partito della Meloni e dei tanti camerati che la sostengono.
Lollobrigida, quando parla di “sostituzione etnica”, teme che l'ingresso in Italia di migranti appartenenti a nazionalità diverse porti gradualmente alla scomparsa della popolazione italiana, esattamente come Mussolini negli anni Trenta combatteva il meticciato in nome di quella che, a loro dire, era la superiorità razziale italiana.
Lo stesso Lollobrigida quando parla di “etnia italiana” in realtà ha in mente la parola “razza”, che però non può pronunciare, perché tale parola è stata resa impronunciabile proprio dall'uso che ne fecero Hitler e Mussolini.
Le affermazioni del cognato della Meloni non possono in alcun caso essere sottovalutate o spacciate per sgrammaticature: sono, al contrario, lucide e coscienti, provengono da una mai rifiutata cultura fascista e sono destinate, nell'intenzione di chi le pronuncia, ad avvelenare la popolazione col razzismo, il nazionalismo e la xenofobia
Ecco perché denunciamo con forza che le parole pronunciate da Francesco Lollobrigida ripetono gli stessi concetti espressi nel ventennio da Benito Mussolini.

24 maggio 2023