Mentre crescono le disuguaglianze sociali e territoriali, la disoccupazione e i bassi salari, il carovita, lo sfascio della sanità pubblica e del territorio del Paese, la distruzione dell'ambiente
Meloni prende in giro i sindacati che non si ribellano

Martedi 30 maggio è andato in scena, nel quadro delle consultazioni con le “parti sociali”, l'ennesimo incontro tra governo e sindacati, alla presenza della presidente del Consiglio e dei segretari confederali di Cgil-Cisl e Uil, oltre a quella del capo del sindacato fascista Ugl, oramai presenza fissa a tutti i tavoli.

Il governo tira dritto senza concedere niente
“Voglio istituire a Palazzo Chigi un osservatorio governativo sul tema del potere d'acquisto: salari, monitoraggio dei prezzi e della politica dei prezzi, controllo dell'attuazione e degli effetti dei provvedimenti che noi abbiamo introdotto e che magari non hanno dato i risultati previsti, come per esempio la riduzione dell'Iva sui prodotti per la prima infanzia”, ha esordito la Meloni.
In sostanza quella dell'”osservatorio” è stata la novità più rilevante presentata dal governo. Poco più di una vaga promessa, oltre che una vera e propria presa in giro perché non occorre certo chissà quale organismo per certificare l'inadeguatezza dei salari e delle pensioni italiane, l'impoverimento di lavoratrici e lavoratori, pensionati e masse popolari in genere, e che le misure prese dal governo sul contenimento delle tariffe e dell'Iva sono stati solo dei palliativi limitati nel tempo. Ma tanto è bastato ad accontentare buona parte dei sindacati presenti all'incontro.
Le altre proposte governative non spostano di molto la situazione o addirittura la peggiorano, come ad esempio quelle sul fisco. L’obiettivo della delega fiscale “è la riforma complessiva del sistema, con una riduzione progressiva delle aliquote Irpef per abbassare la pressione fiscale”. Si riconferma quindi la strada della flat tax , anche se difficilmente si potrà arrivare a un aliquota unica per il semplice fatto che sarebbe del tutto anticostituzionale, poiché andrebbe platealmente contro la progressività delle imposte. Il governo cerca di addolcire la pillola affermando di puntare ad ampliare lo scaglione più basso, quello fino a 15mila euro lordi. Ma sarebbero proprio i redditi che arrivano fino a questa cifra gli unici che non avrebbero alcun beneficio da una riforma di questo tipo.
Sempre sul tema del fisco il governo “immagina” di inserire anche per i lavoratori dipendenti una serie di deduzioni, tra le quali quella sui trasporti, oltre a rendere strutturale il tema dei fringe benefit (i “benefici” erogati dalle aziende) e la detassazione del contributo del datore di lavoro per i lavoratori ai quali nasca un figlio, ribadendo ancora la preoccupazione per la denatalità. Si perpetua la politica familista insistendo sulla necessità di aumentare la “prole italica” per evitare la “sostituzione etnica” come indicava Mussolini e come vorrebbero fare Lollobrigida, Meloni e i loro seguaci di partito.
Tema, quello della denatalità, utilizzato anche per chiudere il discorso sulle pensioni, che in teoria doveva essere uno dei temi principali della discussione. Invece, tirando in ballo il restringimento delle persone in età lavorativa e l'aumento degli anziani, il governo fa capire che non ci saranno grandi cambiamenti sull'età pensionabile e sulla rivalutazione dell'assegno previdenziale. Perciò, passato il periodo delle promesse elettorali, si resta ancorati alla controriforma Fornero con età pensionabile a 67 anni o 43 anni di contributi e assegni da fame.
La Meloni ha poi riferito sul Pnrr, anche alla luce delle polemiche tra Lega e Fratelli d'Italia se utilizzare o meno tutto il prestito e quelle tra Roma e Bruxelles con il richiamo della UE dopo che il governo ha introdotto un emendamento per limitare il controllo preventivo della Corte dei conti sui progetti del Pnrr. Su questo il governo ha promesso di impegnarsi sul fronte della sanità: “Ci diamo l’obiettivo di una riforma complessiva che abbia come priorità la riorganizzazione dei servizi, il miglioramento dell’accesso alle cure, la valorizzazione dei professionisti della sanità”; che detta in questi termini sembra però avallare un ulteriore privatizzazione della sanità.
Il governo ha toccato anche il tema delle cosiddette riforme costituzionali. Con la solita retorica patriottarda la Meloni ha cercato di coinvolgere i sindacati nel sostenere il suo progetto di presidenzialismo (perché “la stabilità” è nell'interesse di tutti), ma per ora non c'è riuscita. In particolar modo c'è il no della Cgil, che si oppone anche all'introduzione dell'Autonomia differenziata. Alla fine il tavolo convocato dal governo per “impostare il lavoro” su riforme istituzionali, delega fiscale, inflazione, pensioni, sicurezza sul lavoro e produttività si è ridotto a questo, ad una informativa sulle future mosse dell'esecutivo, dove i sindacati hanno nuovamente illustrato le loro proposte, puntualmente inascoltate dal governo che tira dritto per la sua strada.

Sconcertanti le arrendevoli reazioni sindacali
Anche se oramai non sorprendono più di tanto, restano sconcertanti le reazioni dei sindacati. A meno che non si voglia credere alla narrazione del governo neofascista Meloni e alla propaganda mediatica che dipingono il nostro Paese in netta ripresa, dove “il Pil aumenta oltre le previsioni e più di Francia e Germania”, il turismo va a gonfie vele e aumenta l'occupazione. La realtà invece è totalmente diversa perché tutti i dati ci dicono il contrario, a partire dall'allargamento delle disuguaglianze. Il 5% dei ricchi possiede il 41,7% della ricchezza nazionale a fronte dell'80% di poveri che invece ne possiede il 31,4 e dove le differenze dei redditi netti sono tra le maggiori dei paesi dell’Ue, mentre cresce il divario tra Nord e Sud, con le regioni del Mezzogiorno che risultano tra le più povere d'Europa.
La disoccupazione, specie giovanile e femminile, è molto più alta rispetto agli altri paesi della UE, mentre i nuovi occupati sono quasi tutti precari, con la quota di lavoro povero sempre più ampia a rendere i salari tra i pià bassi del continente. Per non parlare dello sfascio della sanità pubblica, sempre più taglieggiata, tanto che gli stessi politicanti borghesi ammettono come in Italia stia venendo meno il diritto universale alla salute e alle cure mediche sancito dalla nostra costituzione. A questo aggiungiamo il dissesto del territorio, la cementificazione e la distruzione dell'ambiente, come dimostrano le recenti alluvioni in Romagna.
Insomma, di motivi per incalzare il governo ce ne sono a volontà ma i sindacati, al di là di qualche dichiarazione, se ne stanno zitti e buoni e qualcuno si dichiara persino soddisfatto delle prese in giro della Meloni e dei suoi ministri. Certamente era scontato il giudizio positivo dell'Ugl in quanto legato a doppio filo a Fratelli d'Italia, tanto che il suo segretario, Paolo Capone, è stato proposto dal governo come commissario dell'Inail, momentaneamente bloccato perché indagato per aver gonfiato il suo sindacato con tessere false. Sulla stessa linea anche la Cisl, con Luigi Sbarra che ha dichiarato: “È un buon inizio di un nuovo cammino per un confronto strutturato tra governo e parti sociali”. Il segnale è chiaro, la Cisl abbandona la piazza, frequentata a dire il vero piuttosto controvoglia, e si siede al tavolo “per negoziare concreti avanzamenti per i lavoratori e i pensionati”.
Bombardieri della Uil apprezza il metodo “ma nel merito non abbiamo discusso alcunché” e il suo sindacato precisa che “La mobilitazione va vanti, di certo non ci fermeremo aspettando settembre e la legge di bilancio”. Anche Landini considera “importante questa convocazione”, ottenuta “grazie alle mobilitazioni di maggio”, però puntualizza che “risultati ad oggi non ci sono, quindi per quello che ci riguarda bisogna proseguire la mobilitazione”, ha aggiunto ricordando le mobilitazioni con una quarantina di associazioni sabato 24 giugno in difesa della sanità pubblica e del 30 settembre contro l’autonomia differenziata. “Il tema urgente e necessario è quello salariale”, ricorda Landini.
La Cgil però non agisce conseguentemente a quello che dice. Che la questione salariale in Italia non sia più rinviabile è un dato di fatto riconosciuto da tutti, persino dal governo e dalle associazioni padronali, il problema sta nel come affrontarla. Tutti i governi, da Renzi a Conte, da Draghi a Meloni, hanno preferito usare le detrazioni, per tenere bassi i salari e l'inflazione, per aiutare la “competitività” delle aziende italiane. Ciò sta bene anche ai padroni che a loro volta, e in misura assai maggiore, ricevono detrazioni, sconti e detassazioni. La leva del taglio fiscale è quella preferita perché le minori entrate nelle casse pubbliche vengono compensate dal taglio dei servizi pubblici e viene quindi pagato dalla collettività, mentre gli imprenditori non tirano fuori un euro per i lavoratori privati e il governo per quelli pubblici.
Quello che manca è sopratutto una contrattazione collettiva efficace che riesca a trainare i salari che invece, unico caso in Europa, diminuiscono continuamente il loro peso reale. I sindacati, dall'Ugl alla Cgil, in questa maniera si redono complici dei governi e dei padroni perché con la politica della concertazione e la firma di contratti da fame, sempre più poveri, flessibili, legati alla produttività, da decenni contribuiscono all'impoverimento di salari e pensioni, all'allargamento della precarietà e alla perdita di diritti. Una situazione che si è aggravata con la pandemia e con le tensioni internazionali, prime tra tutte l'invasione russa dell'Ucraina.
In molti paesi europei i maggiori sindacati si sono fatti interpreti della rabbia operaia e popolare contro il carovita e per salari più alti moltiplicando gli scioperi. In Italia solo i sindacati di base scendono in piazza, mentre il segretario del più grande sindacato italiano, la Cgil, ci dice che le mobilitazioni (le manifestazioni di sabato) sono servite a essere ricevuti dal governo. La direzione di Landini, che al momento della suo insediamento aveva creato molte aspettative, è del tutto incapace di rappresentare gli interessi immediati dei lavoratori e delle masse popolari, dimostrandosi imbelle, collaborazionista e inconcludente anche con il governo neofascista della Meloni, il più a destra che l'Italia abbia mai avuto.
 

7 giugno 2023