Secondo i dati del Bollettino del Lavoro cinese nei primi quattro mesi del 2023
Si moltiplicano scioperi e manifestazioni in Cina
Altro che “paradiso” per gli operai, la Cina socialimperialista di Xi Jinping regno del supersfruttamento capitalista
Negli striscioni dei manifestanti: “Difendere Mao con il sangue e con la vita!”

 
Solo nei primi mesi del 2023, ci sono stati almeno 130 scioperi in diverse fabbriche cinesi, secondo i dati del China Labour Bulletin (CLB), pubblicati dall’autorevole quotidiano britannico “The Guardian”. Secondo i dati del CLB, solo nel settore manifatturiero del paese sono state registrate quest’anno, compresi gli scioperi, ben 142 iniziative di protesta e manifestazioni. La cifra di 130 scioperi rappresenta più del doppio del numero di scioperi registrati in Cina durante l’intero 2022.
Gli scioperi, in maggioranza di carattere locale, si sono succeduti in industrie di diversi settori, e hanno visto la mobilitazione di migliaia di lavoratrici e lavoratori cinesi, vittime dello sfruttamento brutale da parte del regime socialfascista di Xi Jinping. La maggiore concentrazione di queste mobilitazioni avviene intorno alle fabbriche di componenti elettronici per l’esportazione, seguite dalle industrie di abbigliamento, giocattoli e automobili.
Questa esplosione generalizzata delle proteste operaie in Cina è senza dubbio espressione dell’attuale crisi capitalistica, nonché della politica socialimperialista dettata dal Partito comunista cinese e dei suoi devastanti effetti sull’economia cinese. Con gli indici di attività economica in caduta, le aziende cinesi stanno implementando nuove strategie per incrementare lo sfruttamento con l’obiettivo di salvaguardare i profitti. E’ rilevante il fatto che la maggior parte della massa proletaria mobilitata si trova nelle industrie destinate all’esportazione.
Secondo i dati del CLB, gli stipendi non vengono interamente pagati o sono elargiti in ritardo, i licenziamenti di massa senza indennità ed i trasferimenti al fine di costringere gli operai all’autolicenziamento sono i motivi più frequenti delle mobilitazioni. Un esempio è rappresentato dalle aziende che non vogliono pagare i risarcimenti formalmente previsti per il licenziamento di un operaio e impongono il trasferiscono dei lavoratori a regioni lontane dal paese. Nel caso degli operai che rifiutano il trasferimento per l’impossibilità di portare con se le proprie famiglie, le aziende vietano l’accesso alle fabbriche ritarando i relativi permessi, oppure affermano che se l’operaio non si presenta nella fabbrica a cui è stato destinato questo fatto viene considerato come un’insubordinazione passibile di licenziamento.
Si aggiungono a questi fatti, i rapporti precari dovuti ai contratti delle imprese con le agenzie del lavoro che gestiscono direttamente i rapporti con la forza-lavoro, i licenziamenti in massa e la mancanza di diritti dei “lavoratori stagionali”. È stato il caso degli operai di Foxconn, fabbrica che nel novembre del 2022 è stata testimone di una grande rivolta operaia contro un contratto truffa scontrandosi duramente con la polizia di Pechino. È successo anche nel caso dei lavoratori dei servizi, con la protesta dei giovani adibiti alle consegne in moto, sottoposti a stipendi miserabili e condizioni precarie di lavoro, costretti a intere giornate di lavoro nonostante piogge incessanti. Questi giovani sono stati uno dei settori che si sono mobilitati all’inizio del 2023, con uno sciopero massivo realizzato in aprile.
Dopo la rivolta degli operai della fabbrica Foxconn, alle manifestazioni, sono stati esposti in diversi centri della Cina, striscioni, cartelli e ritratti in omaggio a Mao e contro il presidente Xi Jinping. In alcuni vi si leggeva: “Difendere il Presidente Mao con il sangue e con la vita!”

7 giugno 2023