Torna ad infiammarsi il nord del Kosovo
Rivolta della popolazione serba di Zvecan contro l'insediamento del sindaco albanese eletto da un pugno di voti
La Russia appoggia la rivolta. La Cina glissa ma strizza l’occhio a Belgrado
L'ingerenza dell’imperialismo italiano nella Regione

 
Torna ad infiammarsi il nord del Kosovo dove dal 26 maggio si sono registrati tensioni e scontri tra dimostranti di etnia serba e polizia kosovara. Gli scontri sono esplosi dopo le proteste dei cittadini di etnia serba che hanno tentato di impedire ai sindaci kosovari neoeletti alle elezioni amministrative di aprile, boicottate dalla comunità serba, di insediarsi e accedere ai loro uffici. La polizia ha disperso le manifestazioni sparando gas lacrimogeni e diverse auto sono state date alle fiamme.
In risposta agli scontri, il presidente serbo Aleksandar Vucic ha messo l'esercito in "stato di massima allerta". Vucic ha anche ordinato un invio "urgente" di truppe serbe al confine con il Kosovo. Secondo diversi media, tra cui l'agenzia di stampa turca Anadolu , Vucic ha chiesto alle truppe a guida Nato di stanza in Kosovo di proteggere i serbi kosovari dalla polizia, mentre quest'ultima ha fatto sapere di avere incrementato il numero di agenti sul posto "per aiutare i sindaci dei comuni settentrionali di Zvecan, Leposavic e Zubin Potok a esercitare il loro diritto" a insediarsi.
Il 29 maggio altri scontri fra militari della Forza NATO e manifestanti serbi hanno infiammato ancor di più la già instabile situazione. Nuovi gravi incidenti sono avvenuti a Zvecan, dove i militari della Kfor, dopo ripetuti avvertimenti e appelli alla levata dei blocchi che impedivano anche il movimento dei mezzi della polizia locale, hanno affrontato i dimostranti serbi che assediavano da ore la sede del Municipio locale per impedire al nuovo sindaco di insediarsi nel suo ufficio.
Nei duri scontri i militari hanno fatto largo uso di sfollagente, lacrimogeni e bombe assordanti, mentre i serbi hanno risposto con un fitto lancio di sassi, bottiglie, molotov e altri oggetti. Il bilancio della battaglia è stato pesantissimo, con decine di soldati NATO rimasti feriti, 14 dei quali italiani, del nono Reggimento alpini L'Aquila. Il comandante della missione Kfor, il generale italiano Angelo Michele Ristuccia, esprimendo la sua solidarietà ai militari feriti, ha fatto sapere di seguire in prima persona l'evolversi della situazione e assicurato che il contingente NATO resta "imparziale". Immediate la solidarietà e la partecipazione giunte dalla premier Giorgia Meloni - che ha condannato l'attacco come "inaccettabile e irresponsabile", avvertendo che non saranno tollerate altre azioni del genere - e dai ministri degli Esteri e della Difesa, Antonio Tajani e Guido Crosetto, che hanno espresso la vicinanza delle istituzioni ai soldati feriti. "È fondamentale - ha sottolineato Meloni - evitare ulteriori azioni unilaterali da parte delle Autorità kosovare e che tutte le parti in causa facciano immediatamente un passo indietro contribuendo all'allentamento delle tensioni. L'impegno del governo italiano per la pace e per la stabilità dei Balcani occidentali è massimo e continueremo a lavorare con i nostri alleati". L’imperialismo italiano di fatto vuole continuare a svolgere un ruolo di primo piano nella Regione. Sono 52 i serbi rimasti feriti negli scontri a Zvecan, mentre il presidente serbo Vucic ha accusato la Kfor di non aver difeso la popolazione serba che contesta l'elezione dei nuovi sindaci di etnia albanese avvenuta nel voto locale del 23 aprile scorso, una consultazione boicottata dai serbi e la cui legittimità viene contestata anche da Belgrado per via dell'affluenza alle urne estremamente bassa, poco più del 3%. È inammissibile, sostengono i serbi, che sindaci in rappresentanza del 2% della popolazione governino città i cui abitanti sono al 98% di etnia serba. Gli scontri sono avvenuti al termine di una giornata frenetica e piena di incontri, contatti e telefonate nel tentativo di disinnescare quella che appare essere una bomba pronta a esplodere in qualsiasi momento con conseguenze imprevedibili. La dirigenza di Pristina - la presidente kosovara Vjosa Osmani e il premier Albin Kurti -, sottolineando la regolarità del voto del 23 aprile, puntano il dito contro Belgrado e le strutture illegali che mantiene nel nord del Kosovo. Strutture, sostengono, che si sarebbero trasformate in bande criminali che attaccano la polizia kosovara, i militari Kfor e i giornalisti, e alle quali addossano l'intera responsabilità delle violenze e della persistente instabilità al nord. Le autorità serbe dal canto loro accusano Pristina di voler occupare il nord con l'obiettivo di espellere la popolazione locale serba. In serata Vucic, in diretta tv, ha confermato l'invio di truppe al confine con il Kosovo.
Intanto la Russia sostiene "incondizionatamente" la Serbia, "segue molto da vicino gli sviluppi della situazione" in Kosovo ed è "preoccupata". Lo ha detto il 30 maggio il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, citato da Ria Novosti. "Tutti i legittimi interessi dei serbi del Kosovo devono essere rispettati e non ci deve essere posto per azioni provocatorie che violino i loro diritti", ha aggiunto Peskov. Vicina a Belgrado anche la Cina. La portavoce del ministero degli Esteri Mao Ning, commentando l'incontro tra l'ambasciatore cinese a Belgrado e il presidente della Serbia Vucic, ha affermato che Pechino ha rinnovato il proprio supporto "agli sforzi della Serbia di salvaguardare la sua sovranità e l'integrità territoriale". Riguardo alla situazione nel Kosovo, ha aggiunto la portavoce, "nella situazione attuale è necessario evitare l'escalation delle tensioni e mantenere la pace e la tranquillità nella regione dei Balcani occidentali". Una condanna ferma “delle azioni del governo del Kosovo che stanno intensificando le tensioni nel nord e aumentando l'instabilità. Chiediamo al primo ministro Albin Kurti di fermare immediatamente queste azioni e rifocalizzarsi sul dialogo facilitato dall'Ue" è giunta dal segretario di Stato americano, Antony Blinken. Anche l’Unione europea dal canto suo ha condannato “fermamente gli scontri che coinvolgono polizia e manifestanti kosovari nel nord del Kosovo, iniziati con il tentativo dei sindaci neoeletti di entrare negli edifici comunali. Deploriamo fermamente gli attacchi alle pattuglie della missione civile dell'Ue in Kosovo, Eulex" che "deve poter svolgere il proprio mandato pacificamente". Così Peter Stano, portavoce dell'Alto rappresentante Ue, Josep Borrell. "Tutti – ha proseguito - devono intraprendere azioni per ridurre la situazione di tensione e tornare immediatamente alla calma. L'Ue non accetterà ulteriori azioni unilaterali o provocatorie e la salvaguardia della pace, e la sicurezza sul terreno dovrebbe avere la priorità". Il 31 maggio il premier kosovaro Kurti si è detto disposto a valutare elezioni anticipate nel nord del Kosovo se finiranno le violenze. "Se fosse stata una protesta pacifica, avrebbe avuto la mia comprensione, ma non una manifestazione folle con la lettera Z (simbolo filorusso, ndr), dove sparano a soldati e poliziotti, lanciano granate, gridando "uccidi, uccidi". A questa folla fascista, non cediamo la nostra Repubblica democratica. Se protestano pacificamente per chiedere elezioni anticipate, hanno un primo ministro che è più che disposto ad ascoltarli e forse è d'accordo con loro", ha detto Kurti a Bratislava citato dal Guardian .
Il primo giugno la NATO ha annunciato “uno spiegamento di forze addizionali in Kosovo”, come “misura di prudenza per assicurare che la Kfor abbia le capacità necessarie per mantenere la sicurezza in accordo con il mandato del Consiglio di sicurezza dell’Onu”.
Dopo giorni di pressing internazionale il primo ministro kosovaro Kurti, in un colloquio con la stampa italiana, ha fatto una parziale apertura e lanciato un suo piano per la de-escalation: “La legittimità del voto è bassa, lo ammetto. I sindaci inizino il mandato e facciamo colloqui a Bruxelles con la Serbia, poi organizzo elezioni anticipate”. Pristina vuole cioè tornare al dialogo, ma a patto che si formalizzi il riconoscimento del Kosovo, “con un modello ispirato a quello delle due Germanie della dottrina Willy Brandt”, ha chiosato il premier.

7 giugno 2023