Imponendo la fiducia
La Meloni si sbarazza del controllo della Corte dei Conti
Il rinnegato Violante la difende e giustifica

Il 1° giugno il governo neofascista Meloni ha annunciato un emendamento al decreto sulla Pubblica amministrazione, presentato alla commissione Affari costituzionali della Camera, mirato appositamente ad abolire il potere di controllo spettante alla Corte dei conti su come e in che tempi vengono spesi i 200 miliardi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr). Il decreto Pa con incorporato il suddetto emendamento, col quale Palazzo Chigi si libera di un altro fastidioso controllo sul proprio operato, è stato poi approvato col voto di fiducia il 7 giugno, in barba al parlamento che mai era stato sommerso da una tale frequenza di decreti imposti col voto di fiducia, nonostante la schiacciante maggioranza di cui questo governo dispone.
Per capire il perché di quest'ennesimo conflitto tra poteri dello Stato che la Meloni ha sollevato e risolto d'imperio a vantaggio del suo esecutivo e a detrimento delle istituzioni di controllo, occorre riandare indietro alle osservazioni che la Corte dei conti, un organismo di controllo previsto dalla Costituzione, aveva fatto sul ritardo del governo nella “messa a terra” dei progetti del Pnrr, rilevando con preoccupazione che nei primi quattro mesi del 2023 erano stati spesi solo 1,1 miliardi degli oltre 32 previsti per l'intero anno. Non facendo in pratica che certificare le evidenti difficoltà gestionali del governo, del resto ben note alla Commissione europea con la quale il ministro Fitto sta trattando per una revisione degli obiettivi e dei tempi di attuazione del piano. Ma tanto è bastato alla premier neofascista, al suo ministro per gli Affari europei e al suo fido sottosegretario Fazzolari, per cogliere la palla al balzo escogitando in quattro e quattr'otto un provvedimento per vietare che la Corte dei conti possa ficcare il naso nella gestione dei fondi da qui a tutto il periodo di attuazione del Pnrr. Rovesciando così la frittata sulla Corte stessa, che con i suoi troppi controlli sarebbe la vera responsabile dei ritardi attribuiti al governo.
L'emendamento sottrae infatti alla magistratura contabile il cosiddetto “controllo concomitante”, ovvero in corso d'opera, su tutte le spese relative ai fondi del Pnrr. Lasciandogli soltanto (e ci mancherebbe anche questo) il potere di verifica a lavori conclusi. Cioè quando i soldi sono già stati spesi, e chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato. E già che c'era il governo ci ha inserito pure la proroga fino al 30 giugno 2024 del cosiddetto “scudo erariale”, che impedisce di contestare ai dirigenti pubblici danni erariali, anche per colpa grave, salvo solo quelli di natura dolosa.

Il tacito via libera della Commissione europea e di Mattarella
La motivazione addotta dal governo per quest'ultimo provvedimento sarebbe che era stato in realtà varato dal governo Conte 2 e prorogato pure dal governo Draghi. Ma l'associazione dei magistrati contabili, che aveva espresso “sconcerto e stupore” appena appreso delle intenzioni di Palazzo Chigi, ha fatto notare che fu varato in piena pandemia per accelerare gli interventi pubblici, e che difficilmente la Corte costituzionale lascerebbe passare la sua applicazione in un'altra situazione non di emergenza. Lo stesso presidente della Corte dei conti, Guido Carlino”, pur cercando in un'audizione alla Camera di parare gli attacchi del governo e calmare le proteste dell'opposizione contro l'emendamento dichiarando che “non si può definire un bavaglio”, ha ammesso tuttavia che “sullo scudo erariale c'è assoluta contrarietà, il rischio è un abbassamento della soglia di attenzione per un'oculata gestione delle risorse pubbliche. Ed ha aggiunto che “la limitazione della responsabilità per colpa grave può andare in contrasto sia con gli articoli della Costituzione cosiddetti finanziari, sia con i regolamenti della Commissione europea”.
E in effetti per qualche momento è sembrato che quest'ultima stesse per aprire uno scontro col governo italiano, visto che la portavoce della Commissione per il “Recovery”, la francese Céline Gauer, aveva manifestato una certa preoccupazione per la mossa di Roma, sottolineando che il piano di aiuti europeo “necessita di un adeguato quadro per i controlli”, e che le autorità di Bruxelles avrebbero “monitorato con grande attenzione” cosa prevede l'emendamento. Ma Bruxelles ha subito fatto marcia indietro non appena Palazzo Chigi ha fatto uscire una nota stizzita con otto osservazioni “di merito e di metodo”, che definiva “pregiudizio non informato” e “considerazioni che alimentano polemiche politiche strumentali” i rilievi della Commissione. E' evidente che quest'ultima non ha interesse a mettersi troppo in urto col governo Meloni, vista la sostanziale continuità col governo Draghi che assicura sia in politica estera che finanziaria. E del resto, per gli stessi motivi, neanche Mattarella ha avuto nulla da eccepire di fronte alla palese incostituzionalità del provvedimento di limitazione dei poteri della magistratura contabile, per di più inserito come materia estranea in un decreto legge approvato con la fiducia, senza discussione parlamentare. Cosicché il governo è potuto andare avanti a testa bassa fregandosene delle proteste.

Le proteste dei giudici contabili e le posizioni dei partiti
Eppure l'Associazione dei magistrati contabili, che sta valutando il ricorso alla Consulta, si era riunita d'urgenza per approvare un documento in cui si “ribadisce la netta contrarietà alle due norme” che “riducono di fatto la tutela della finanza pubblica”. “Non sono in gioco le funzioni della magistratura contabile ma la tutela dei cittadini”, spiegava infatti il documento, perché la proroga dello scudo erariale “impedisce di perseguire i responsabili e di recuperare le risorse distratte, facendo sì che il danno resti a carico della collettività”. Mentre l’abolizione dei controlli in itinere “significa indebolire i presidi di legalità, regolarità e correttezza dell’azione amministrativa”.
“Forti perplessità” per la scelta del governo veniva espressa anche da Francesco Clementi, docente di diritto pubblico comparato alla Sapienza, secondo il quale “Il metodo del governo nei confronti della Corte dei Conti è patologico, tanto che ne oscura le ragioni in tema di controllo sul Pnrr, e l'estensione dello scudo erariale pone problemi di costituzionalità”. Stessi rischi evidenziati - anche per l'arrivo imminente dell'abolizione dell'abuso di ufficio preparata dal ministro della Giustizia Nordio – dall'attuale Procuratore nazionale antimafia, Giovanni Melillo: “I controlli sono parte essenziale dei processi di spesa pubblica. Il Paese ha certo il dovere di impiegare al più presto quelle risorse, ma anche di farlo bene, evitando che esse si disperdano nei mille rivoli degli abusi e della corruzione ovvero finiscano nelle mani della criminalità mafiosa”, sottolineava quest'ultimo in un'intervista a “La Stampa” che scatenava la reazione furibonda del senatore di FI Gasparri.
Per quanto riguarda l'opposizione parlamentare, alla netta contrarietà di PD e M5S faceva da controcanto il cosiddetto “terzo polo”, con Raffaella Paita (IV) che nell'emendamento del governo non ci vedeva “scandali”. E con Carlo Calenda, leader di Azione, che dichiarava in un'intervista televisiva su Rai3: “L'avrei fatto io quel provvedimento. Era un controllo assurdo e ridondante. Non è che se tu limiti il Controllo della Corte dei Conti, è una roba per cui c'è il fascismo. Diventa una roba per cui un minimo si riescono a spendere i fondi del Pnrr, che questo governo non riesce a spendere”.

Gli “insospettabili” consiglieri della premier neofascista
Intervenendo su una compiacente rete Mediaset, alle proteste dei magistrati contabili, della Procura antimafia, dell'Autorità anticorruzione, dei maggiori partiti dell'opposizione parlamentare, a tutti costoro la neofascista Meloni ha risposto con arroganza, ma anche con furbizia: “La sinistra è molto in difficoltà. Dice che c’è una deriva autoritaria se sulla Corte dei Conti proroghi le norme del governo Draghi. Noi facciamo quello che ha fatto il precedente governo del quale loro facevano parte”.
Infatti sul piano giuridico e costituzionale lei si copre abilmente servendosi, come riporta “Il Fatto Quotidiano”, dell'aiuto di quattro consiglieri non della sua cerchia più ristretta: il suo sottosegretario Alfredo Mantovano, l'ex magistrato ed ex presidente della Camera Luciano Violante, il presidente emerito della Corte costituzionale Sabino Cassese e il suo consigliere giuridico Saverio Marini. Mantovano e Marini tengono per lei i contatti col Vaticano; Violante con la magistratura (suo è il suggerimento per Fabio Pinelli alla carica di vicepresidente del CSM), la difesa (è presidente della Fondazione Leonardo) e la Guardia di finanza (ha sponsorizzato la nomina a comandante generale di Andrea De Gennaro); e Cassese con il mondo dell'alta burocrazia di Stato e della giustizia amministrativa.
Non è certo un caso che quest'ultimo, intervenendo al Festival dell'economia di Torino, abbia difeso il provvedimento del governo dicendo che “ha fatto benissimo” a limitare il controllo troppo invadente dei giudici contabili. Mentre Violante, in un'intervista al filogovernativo “Corriere della Sera”, ha definito “un bisticcio infondato” il conflitto con la Corte dei conti, ricordando che “il governo Draghi presentò nel maggio 2021 un dl che escludeva il controllo concomitante della Corte dei conti sulle procedure relative al Pnrr”. “Questa regolazione – ha aggiunto Violante - non ha indebolito la vigilanza perché il controllo in corso d’opera compete alla Commissione europea. L’attuale governo proroga di un altro anno in vista di un riassetto della responsabilità amministrativa e contabile dei dipendenti pubblici. Quindi è una disposizione temporanea, come le precedenti, non una messa a regime”. Le stesse argomentazioni giuridiche riprese, guarda caso, negli otto punti della nota di Palazzo Chigi per difendere il provvedimento dalle critiche della Commissione europea.
Ecco la fine che fanno i rinnegati dello stampo di Violante: dalla riabilitazione degli assassini e torturatori repubblichini alla corte della neofascista Meloni, che con nuove forme e sotto nuove insegne ha riportato il fascismo mussoliniano al potere a 80 anni dalla sua caduta.

14 giugno 2023