Cisgiordania
Israele sionista e neonazista invade Jenin
Il ritiro dopo aver incendiato il campo profughi, ucciso 13 palestinesi e feriti altri 120
Importante dichiarazione congiunta Hamas-Jihad “per affrontare tutte le sfide della causa palestinese in modo da realizzare le aspirazioni del nostro popolo palestinese alla libertà”

Dopo due giorni di assedio, iniziati il 2 luglio, i blindati e i soldati sionisti e neonazisti israeliani hanno lasciato la città di Jenin e l’annesso campo profughi. Il bilancio di quella che è stata definita l’operazione militare più grande dall’epoca della seconda Intifada si è conclusa con tredici palestinesi uccisi, tra cui tre minori, 120 i feriti. Per le autorità israeliane erano tutti “terroristi”.
L’impiego simultaneo di raid aerei e terrestri, accompagnato dall’avanzata dentro e intorno al campo profughi di enormi ruspe militari che hanno spaccato strade, rete idrica e fognaria, schiacciato automobili e danneggiato edifici, è qualcosa che Jenin non vedeva infatti da più di venti anni fa. Dall’assedio del 2002 quando metà del campo profughi fu distrutto durante l’operazione israeliana “Muraglia di difesa”. Jenin ieri assomigliava anche a Gaza dopo l’offensiva israeliana del 2021, con le strade ridotte a canali di scarico fangosi dopo essere state centrate da bombe e missili.
La Mezzaluna rossa ha riscontrato almeno 3mila sfollati, mentre molti quartieri sono rimasti senza acqua né corrente elettrica a causa della distruzione degli impianti da parte dell’esercito di occupazione di Tel Aviv. Dopo l’annuncio del ritiro delle forze israeliane da Jenin, Hamas ha sparato cinque razzi dalla Striscia di Gaza verso Israele. In risposta all’attacco, Israele ha bombardato alcune postazioni nell’enclave palestinese, dichiarando di aver colpito un deposito per la fabbricazione di armi.
Soddisfatti dell’ennesimo criminale massacro, lasciando Jenin, governo ed esercito israeliani hanno plaudito “all’assoluto successo” dell’operazione, sostenendo di aver contrastato “le attività terroristiche” confiscando armi e arrestando oltre un centinaio di persone.
Dopo la proclamazione dello sciopero generale in tutta la Cisgiordania l’Autorità nazionale palestinese ha condannato l’operazione, definendola una “guerra aperta contro la popolazione di Jenin”, e denunciato tra le altre cose che “l’aggressione israeliana ha raggiunto il suo culmine” quando il 4 luglio l’esercito “ha sparato direttamente contro cittadini che si trovavano nel cortile dell’ospedale di Jenin, ferendone tre, due dei quali gravemente”. Lo ha detto il ministro della Sanità Mai Al-Kaila, aggiungendo che le forze hanno anche preso d’assalto l’ospedale Ibn Sina. L’accusa di attacchi agli ospedali è giunta anche da Medici senza frontiere. L’ong ha riferito di diversi lacrimogeni lanciati dall’esercito nell’area dell’ospedale Khalil Suleiman, alcuni dei quali “sono finiti all’interno, rendendo inutilizzabile il pronto soccorso e il resto della struttura. Abbiamo curato i pazienti sul pavimento dell’atrio”, stando alla testimonianza di Jovana Arsenijevic, coordinatrice delle operazioni di Msf a Jenin.
L’offensiva sionista è stata fortemente voluta dal ministro della Sicurezza Itamar Ben Gvir e altri “ultranazionalisti” desiderosi di “dare una dura lezione ai palestinesi” dopo l’uccisione di quattro coloni in Cisgiordania. Per il premier israeliano, il boia Benjamin Netanyahu, l’invasione di Jenin doveva continuare finché i suoi obiettivi non saranno raggiunti: “In questo momento le nostre forze stanno agendo con tutta determinazione a Jenin. Eliminano e arrestano terroristi, distruggono i loro quartier generali e magazzini. L’operazione ‘Casa e giardino’ continuerà per il tempo necessario fino al raggiungimento degli obiettivi”.
La popolazione palestinese per contro ha manifestato massicciamente a sostegno di Jenin e a Ramallah un manifestante è stato ucciso dai soldati israeliani. Anche l’Autorità nazionale palestinese di Abu Mazen ha parlato di “crimine commesso dalle forze di occupazione”. Il 3 luglio il portavoce di Hamas, Hazem Qassem, affermava che “L’aggressione su larga scala lanciata dalle forze di occupazione israeliane contro la Jenin occupata non raggiungerà i suoi obiettivi”, ribadendo che “il governo fascista dell’occupazione e il suo capo criminale Benjamin Netanyahu hanno la piena responsabilità di questa escalation”. Salutando la resistenza palestinese nella Jenin occupata, Qassem ha sottolineato che “la città occupata è stata e rimarrà indistruttibile di fronte alla brutale aggressione dell’occupazione israeliana”. Il portavoce di Hamas ha aggiunto che “il popolo palestinese continuerà la sua lotta per la libertà fino alla liberazione e all’indipendenza”.
Il 5 luglio dopo che l’esercito di occupazione israeliano si era ritirato dal campo profughi di Jenin “con la coda tra le gambe”, il capo dell’Ufficio politico di Hamas, Ismail Haniyeh, ha dichiarato: “Primo: Rendiamo omaggio ai combattenti per la libertà palestinesi e ai residenti del campo per la loro fermezza di fronte all’aggressione israeliana. Secondo: tutte le opzioni per sostenere il campo di Jenin sono sul tavolo. La resistenza rimane l’opzione strategica per il popolo palestinese per affrontare l’aggressione israeliana e porre fine all’occupazione della Palestina. Terzo: abbiamo inviato un chiaro messaggio all’occupazione israeliana, attraverso tutti i mediatori, che la resistenza palestinese segue ovunque la situazione e chiede che l’occupazione israeliana ponga immediatamente fine alla sua aggressione”. Il 6 luglio, infine, il movimento di resistenza islamica palestinese Hamas e il Jihad islamico palestinese hanno salutato i combattenti per la libertà palestinesi per essere rimasti fermi di fronte all’esercito di occupazione israeliano durante il suo attacco mortale contro la città di Jenin, nella Cisgiordania occupata. In una importante dichiarazione congiunta, i due principali gruppi della resistenza palestinese hanno chiesto di concordare un approccio nazionale globale per affrontare l’occupazione israeliana. Hamas e la Jihad islamica hanno invitato tutti i “segmenti del popolo palestinese ad agire immediatamente per affrontare tutte le sfide della causa palestinese in modo da realizzare le aspirazioni del nostro popolo palestinese alla libertà”.
Un’unità antimperialista e antisionista forgiatasi di fatto con il passare dei mesi, dove tuttavia si è assistito non solo a una maggiore resistenza da parte dei gruppi armati palestinesi contro i raid israeliani, ma anche all’intensificazione delle pratiche militari dell’esercito sionista. Due
settimane fa gli israeliani hanno fatto intervenire un elicottero Apache per lanciare un attacco aereo. E due giorni dopo ha inviato un drone. Non succedeva da vent’anni, dalla seconda Intifada. Ciò svela non solo le difficoltà che l’esercito incontra nel tentativo di fermare i gruppi armati, ma anche la disposizione a usare metodi sempre più violenti per raggiungere lo scopo. C’è una crescente frustrazione a Tel Aviv che si traduce, di nuovo, nella punizione collettiva delle città: se dicono di colpire le “infrastrutture dei terroristi”, in realtà danneggiano gravemente i civili palestinesi le loro case e le loro infrastrutture.
In tale scenario le forze della resistenza attirano palestinesi di diverse ideologie e provenienze, soprattutto giovani uomini che stanno crescendo senza alcuna speranza, che hanno conosciuto solo la vita nel campo profughi, gli insediamenti, la violenza dei coloni e quella militare. È una generazione che non vede altra opzione se non quella di imbracciare le armi. Ed è questo che disturba le autorità israeliane e quelle palestinesi moderate e collaborazioniste che hanno un interesse comune a vedere questi gruppi domati o messi fuori gioco. Sta qui la minaccia per Israele e gli USA, nell’espressione violenta di un’opposizione di massa che sta nascendo nella società palestinese contro gli occupanti sionisti e neonazisti.

12 luglio 2023