Graziato Zaki
Restano aperti l'omicidio di Regeni e la violazione di diritti fondamentali in Egitto
 
Nel tardo pomeriggio dello scorso 19 luglio un componente del Comitato per la grazia presidenziale della Repubblica Araba d'Egitto, Mohamad Abdelaziz ha comunicato ufficialmente che il presidente Abdel Fattah al-Sisi aveva poche ore prima emesso un decreto con il quale aveva concesso la grazia a un gruppo di condannati, tra i quali Patrick Zaki: per quest'ultimo era la fine di un incubo iniziato il 7 febbraio 2020 quando fu arrestato al suo rientro al Cairo dall'Italia, dove svolgeva il lavoro di ricercatore presso l'Università di Bologna, e proseguito con un lungo arresto preventivo e con la condanna a tre anni di reclusione decisa appena ventiquattro ore prima della concessione della grazia.
Abbiamo trattato la vicenda del giovane ricercatore egiziano sin dall'inizio, e abbiamo dato sempre conto in questi tre anni sia delle numerose manifestazioni di solidarietà provenienti dal mondo dell'università e dei democratici, in Italia e non solo, verso Patrick Zaki sia della sostanziale indifferenza dei governi e delle istituzioni italiane verso la vicenda – e lo stesso è accaduto per il caso Regeni – in quanto sia la politica sia le istituzioni italiane erano, e sono, fin troppo preoccupate a salvaguardare e mantenere i rapporti politici e commerciali con l'Egitto di al-Sisi.
Se quindi Zaki è stato graziato lo si deve prevalentemente all'ampia mobilitazione dell'opinione pubblica italiana, all'impegno di tante università italiane – in testa quella di Bologna - e non solo, all'impegno di tanti sindaci e presidenti di municipi che hanno esposto striscioni di solidarietà nelle sedi istituzionali, non certo dei governi che si sono succeduti dal 2020, che non hanno fatto assolutamente nulla di concreto per Patrick Zaki, preoccupati soltanto di salvaguardare i rapporti commerciali con l'Egitto e con il suo despota al-Sisi.
Del resto lo stesso Zaki ha implicitamente preso le distanze dalle istituzioni italiane rifiutando il volo di Stato messogli a disposizione dal governo Meloni per il suo rientro in Italia, preferendo invece viaggiare su un normale volo di linea dal Cairo a Milano per far ritorno a Bologna: se avesse accettato il volo di Stato avrebbe dovuto raggiungere Roma e stringere la mano alla Meloni e a Tajani, una situazione che evidentemente il ricercatore egiziano ha voluto evitare.
A spingere il dittatore al-Sisi a graziare Zaki sono stati numerosi fattori: anzitutto lo sblocco dei 300 milioni di “aiuti umanitari nei confronti dell’Egitto”, come ha dichiarato il viceministro agli Esteri, Edmondo Cirielli; poi le intese antimigranti che Italia e Ue hanno in programma di firmare con i paesi del nord Africa, dopo quella sottoscritta con la Tunisia; e infine la montante mobilitazione popolare per la liberazione di Zaki che rischiava di peggiorare ulteriormente l'immagine del suo regime presso l'opinione pubblica italiana e internazionale.
I governi italiani che si sono succeduti a partire dal febbraio del 2020, infatti, a parole hanno richiesto la liberazione di Zaki ma concretamente hanno sempre fatto affari con l'Egitto: mentre Zaki era ancora in galera, i vari governi italiani hanno fatto accordi con il regime egiziano per la costruzione e la consegna al Paese africano di materiale militare di produzione italiana, in particolare 32 elicotteri, sei fregate Fremm, 20 pattugliatori d’altura, 24 caccia Eurofighter Typhoon, numerosi velivoli da addestramento M-346 e un satellite da osservazione, per un valore complessivo di oltre 11 miliardi di euro: parte di tale materiale è stato già consegnato agli egiziani, e non bisogna dimenticare che al momento molte migliaia di persone in Egitto si trovano nella stessa condizione giuridica di carcerazione preventiva per motivi politici nella quale si è trovato per un lungo periodo Patrick Zaki, né si può tralasciare il fatto che a fronte di un decreto di concessione di grazia per poche persone altre decine di migliaia di oppositori restano in galera in condizioni disumane per colpa di un regime rafforzato anche dalle armi italiane.
L’export italiano verso l'Egitto durante il 2021 - mentre Zaki era ancora nelle durissime carceri egiziane - ha toccato la cifra di 34,5 miliardi di euro, facendo dell'Italia il primo partner del Cairo tra i paesi dell’UE e l’ottavo Paese in assoluto, con un import che è arrivato a toccare i 62 miliardi: sono presenti stabilmente in Egitto, infatti, Eni, Intesa Sanpaolo, Maire Tecnimont, Leonardo, Ansaldo Energia, Mapei e numerose altre aziende italiane minori.
Così come i governi italiani se ne sono infischiati di Zaki, già dal 2016, al di là delle chiacchiere inutili che sono servite solo a scopo propagandistico, non hanno mai fatto nulla di concreto a livello diplomatico e politico per consentire lo svolgimento di un giusto processo, che comunque la magistratura italiana ha da tempo incardinato a Roma, nei confronti degli imputati per l'omicidio di Giulio Regeni, che sono quattro militari del regime di al-Sisi: infatti la mancata collaborazione del governo egiziano nel fornire i recapiti degli imputati impedisce alla magistratura italiana di notificare loro gli atti introduttivi del processo, e in base al codice di procedura penale italiano la mancata notifica di tali atti arresta irrimediabilmente il percorso processuale e, di fatto, blocca il processo e impedisce che a Giulio Regeni sia fatta giustizia: ora tutto è nelle mani della Corte costituzionale italiana alla quale si è rivolto il Tribunale di Roma, la quale a settembre dovrà decidere se il processo potrà proseguire in assenza di regolari notifiche agli imputati. Ovviamente, se il governo italiano avesse fatto adeguate pressioni su al-Sisi affinché il governo egiziano fornisse i recapiti degli imputati, forse qualcosa in tal senso si sarebbe mosso, invece il governo ha abbandonato al loro destino la magistratura ordinaria e quella costituzionale per fare affari con un Paese, l'Egitto, che Amnesty International – indipendentemente dai casi di Zaki e, soprattutto, di Regeni - accusa apertamente di pesantissime e sistematiche violazioni dei diritti umani.
In un suo recentissimo rapporto l'organizzazione che si occupa della tutela dei diritti umani ha affermato che a partire da novembre dello scorso, in concomitanza con le proteste organizzate nel Paese in occasione della Cop27, il regime egiziano ha arrestato centinaia di persone coinvolte negli appelli alla protesta, inasprendo la repressione politica già fortissima, con già migliaia di detenuti per motivi politici detenuti arbitrariamente e almeno 50 decessi in custodia avvenuti in circostanze sospette, con allarmanti notizie di diniego di cure mediche adeguate o tortura. Amnesty ricorda che l'Egitto è in cima alla lista sia dei Paesi africani sia dei Paesi arabi per numero di condanne a morte ed esecuzioni.
Anche contro i migranti il regime di al-Sisi usa il pugno di ferro, perché un numero enorme di rifugiati e migranti – provenienti soprattutto da Eritrea, Etiopia e Sudan meridionale - sono stati arbitrariamente detenuti per il loro ingresso o soggiorno irregolare in Egitto e deportati con la forza a centinaia nei loro Paesi d’origine: e il governo Meloni insieme al resto delle istituzioni dello Stato, a fronte delle infondate vanterie circa il rilascio di Zaki, non si lasceranno di certo sfuggire l'occasione per proporre ad al-Sisi un accordo in tema di migranti sul modello di quello recentemente siglato a Tunisi con Saied, lasciando così fare il lavoro sporco ai dittatori sulla pelle di tanti migranti e rifugiati che cercano solo una vita migliore.

26 luglio 2023