Nell'incontro alla Casa Bianca
Meloni ottiene l'appoggio di Biden sulla centralità dell'Italia nel Mediterraneo e in Africa
L'Italia deciderà autonomamente il rinnovo dell'accordo con la Cina sulla Via della seta. Gli Stati Uniti si fidano dell'Italia
I due governanti imperialisti d'accordo per contrastare il “terrorismo” nel quadro della coalizione contro lo Stato islamico

Il 27 luglio Giorgia Meloni è volata a Washington per una visita di Stato di due giorni negli Usa, nel corso della quale ha avuto un vertice alla Casa Bianca con Joe Biden e a Capitol Hill ha incontrato i leder dei gruppi democratico e repubblicano del Senato e della Camera dei rappresentanti, oltre a partecipare ad altri eventi istituzionali e politici, come l'incontro di due ore con l'ex segretario di Stato Henry Kissinger, la visita al cimitero di guerra di Arlington e un'intervista alla rete televisiva di destra Fox.
Con questa visita, accuratamente preparata fin dall'insediamento del suo governo, la premier neofascista si proponeva soprattutto di confermare autorevolmente e definitivamente, attraverso il beneplacito della Casa Bianca, la sua immagine di “affidabilità” internazionale presso le cancellerie occidentali, e di ottenere dal presidente Usa il riconoscimento del ruolo di centralità dell'Italia nel Mediterraneo e in Africa, e in particolare l'appoggio alla sua politica di contrasto alle migrazioni dalle coste del Nord-Africa verso l'Italia. Da parte sua a Biden premeva soprattutto di confermare ad ogni livello la saldezza dei legami atlantici del nuovo governo italiano con l'imperialismo Usa, dopo l'uscita di scena di Draghi, in particolare in riferimento all'appoggio dell'Italia all'Ucraina e ai rapporti con la Cina, e segnatamente alla situazione nell'Indo-Pacifico e sul rinnovo dell'accordo sulla nuova Via della seta. E su questi e gli altri punti in agenda i due leader si sono dichiarati più che d'accordo e soddisfatti, come traspare anche dal comunicato congiunto emesso dopo il colloquio di un'ora e mezzo nello studio ovale.
 

Meloni “mosca bianca” tra i leader della destra neofascista
Se nella premier italiana poteva ancora albergare il timore di qualche residua riserva di Biden sul suo curriculum politico neofascista e le sue simpatie trumpiane e putiniane, come quella espressa dal presidente Usa un anno fa dopo la sua vittoria elettorale, quest'ultimo lo ha subito fugato accogliendola con gran simpatia e con tutti gli onori, come “un partner affidabile, capace di una leadership importante per noi americani”, assicurando che “siamo diventati amici” e lodandola per “il lavoro eccellente, sorprendente, che il governo italiano sta facendo nel Mediterraneo e verso l'Africa”; mentre il suo portavoce John Kirby aveva parlato poco prima dell'incontro di “un grande feeling” fra i due.
Non meno calorosa è stata l'accoglienza riservatale al Congresso prima del colloquio alla Casa Bianca, dove il leader dei repubblicani e speaker del Senato, Kevin McCarthy, l'ha esaltata salutandola come “una leader capace di guardare avanti”; come del resto l'ha lodata dicendosene “impressionata” anche l'ex speaker democratica della Camera, Nancy Pelosi. La premier neofascista ha ricambiato le lodi dei congressisti con una scontata sviolinata all'America “faro di luce per le democrazie del mondo” e con una ruffianissima quanto risibile citazione di Oriana Fallaci, definendo la nazione capofila del capitalismo e dell'imperialismo occidentali “una nazione speciale, perché è nata dall'idea più sublime: l'idea di libertà sposata con l'idea di uguaglianza”.
Lo stesso autorevole quotidiano della capitale, Washington Post , la salutava come “una mosca bianca fra i leader di destra”, sottolineando in proposito che Biden non ha mai invitato Bolsonaro e Orban. Se poi in Italia Meloni possa essere come e peggio di questi due, in fatto di ideologia e politica interna neofasciste, oscurantiste, razziste, omofobe e anti Lgbtq, all'establishment americano non importa un fico secco, purché continui ad essere un partner affidabile sul piano atlantico e internazionale. Quando infatti le hanno chiesto se qualcuno le avesse fatto dei rilievi sul rispetto dei diritti in Italia, in particolare quelli Lgbtq e sulla maternità surrogata, la premier neofascista ha chiarito che “nessuno mi ha chiesto niente. Non l'ha fatto il Presidente Biden, non lo hanno fatto i diversi Membri del Congresso che io ho incontrato stamattina - che tra Camera e Senato erano almeno 20 persone, più quelli del pranzo che erano ancora di più -, nessuno ha posto questa tematica”. Come ha osservato in un'intervista al Corriere della Sera Kurt Volker, ex ambasciatore americano alla Nato e già inviato per l’Ucraina dell’amministrazione Usa, “a volte si dà un peso esagerato alla politica interna. L’Italia è un alleato e, finché non si allontana dalla democrazia e dalle fondamentali politiche della Nato sulla Russia, cosa che non sta facendo, nessuno dovrebbe preoccuparsi se il leader viene dal campo della destra oppure da sinistra come Biden”.
 

Usa e Italia uniti in un “partenariato strategico”
Dunque non solo la leader della destra neofascista italiana - e si può dire anche europea – è stata pienamente sdoganata dalla Casa Bianca, ma viene ormai trattata al pari di un atlantista di rango come Draghi. E questo si riflette anche nella dichiarazione congiunta, dove in premessa i due leader imperialisti sottolineano “l'alleanza incrollabile, il partenariato strategico e la profonda amicizia tra Stati Uniti e Italia”; che i legami tra le due nazioni “si basano sui nostri valori e principi condivisi – democrazia, libertà, rispetto dei diritti umani” (sic); e che “le connessioni tra le nostre persone sono al centro di questa relazione”: “Il Partenariato transatlantico è una pietra angolare della nostra sicurezza condivisa e le truppe italiane stanno svolgendo un ruolo fondamentale in Europa, nel Mediterraneo e oltre”, ha sottolineato a questo proposito l'inquilino della Casa Bianca.
Entrando in merito ai temi discussi, in omaggio alle priorità di Washington il documento conferma la postura interventista globale dell'Alleanza atlantica sancito al recente vertice di Vilnius, “per affrontare le sfide provenienti da tutte le direzioni strategiche, compreso il fianco meridionale della Nato” (precisazione quest'ultima chiesta da Meloni), e ribadisce che “gli Stati Uniti e l'Italia continueranno a fornire assistenza politica, militare, finanziaria e umanitaria all'Ucraina per tutto il tempo necessario, con l'obiettivo di raggiungere una pace giusta e duratura che rispetti pienamente la Carta delle Nazioni Unite e la sovranità e l'integrità territoriale dell'Ucraina”. Entrambe le parti si impegnano inoltre ad un “ulteriore coordinamento sulla ricostruzione dell'Ucraina”, riconoscendo il ruolo dell'Italia in questo sforzo con la presidenza del G7 nel 2024 e ospitando la Conferenza sulla ricostruzione nel 2025.
 

La presenza nell'Indo-Pacifico e il nodo della Via della seta
Sempre assecondando le priorità di Washington, Stati Uniti e Italia confermano “l'impegno per la sicurezza e la stabilità” dei Balcani occidentali, e in particolare il contributo militare dell'Italia alle missioni KFOR, EULEX ed EUFOR Althea in quella regione. Le due parti ribadiscono inoltre l'impegno “per un Indo-Pacifico libero, aperto, prospero, inclusivo e sicuro” e per il “mantenimento della pace e della stabilità attraverso lo stretto di Taiwan”. E in particolare gli Usa “accolgono con favore l'accresciuta presenza italiana nella regione”, anche in riferimento all'invio in quel ribollente teatro della nave da guerra “Morosini”.
Non ci sono riferimenti diretti al memorandum italo-cinese sulla nuova Via della seta firmato dal primo governo Conte e in scadenza quest'anno, che gli americani non vogliono che sia rinnovato. Meloni ha negato recisamente che Washington le abbia fatto pressioni in questo senso, come insinuava invece il giornale portavoce del PCC Global Times , e ha teso a sottolineare che “l'Italia deciderà autonomamente” sul rinnovo del memorandum, annunciando a questo proposito un prossimo viaggio a Pechino per discutere delle relazioni tra i due paesi. Negli ambienti di governo si dà però per scontato che la premier ha già deciso di non rinnovare l'accordo e che il viaggio a Pechino servirà più che altro per cercare di attenuare le tensioni con la Cina e le probabili ritorsioni economiche che ci saranno.
Nella dichiarazione congiunta c'è infatti un riferimento all'impegno di Stati Uniti e Italia “a rafforzare le consultazioni bilaterali sulle opportunità e le sfide poste dalla Repubblica Popolare Cinese”, intendendo con “sfide” non solo quelle di natura economica ma anche militare e strategiche. Non a caso in altri passi si parla dell'impegno comune per “la riduzione dei rischi, la diversificazione e la riduzione delle dipendenze eccessive per costruire catene di approvvigionamento resilienti e sicure”, cioè di ridurre la dipendenza dalla Cina per tutta una serie di materie prime e produzioni strategiche su cui anche Meloni come Biden insiste molto, annunciando nei suoi interventi che ne farà uno dei temi principali del prossimo G7 a presidenza italiana.
 

Mediterraneo, Africa e guerra allo Stato Islamico
Per parte sua anche la Meloni ha ottenuto quel che più gli premeva, e cioè un forte riconoscimento di Biden agli interessi e al ruolo preminenti dell'Italia nel Mediterraneo e in Africa, e in particolare un esplicito appoggio alla sua politica di blocco dei flussi migratori dalle coste nord africane finanziando i regimi dittatoriali e corrotti di quei paesi per respingere indietro i migranti o tenerli confinati: come quello siglato di recente col dittatore tunisino Saied, firmato anche dalla Commissione e dal Consiglio europei. Cosa che nel documento congiunto figura subito dopo le dichiarazioni sulla convergenza di vedute e di intenti sulla Nato e sull'Ucraina, dichiarando che le due parti “affermano il loro sostegno al popolo tunisino” e che “rilevano l'importanza degli sforzi condivisi per promuovere la stabilità e la prosperità nella più ampia regione del Mediterraneo, anche affrontando le cause profonde dell'instabilità, del terrorismo e dei flussi migratori irregolari”.
Più specificamente, in appoggio alla politica antimigranti, interventista e neocolonialista del governo italiano, si sottolinea infatti che gli Stati Uniti “hanno accolto con favore la Conferenza su Migrazione e Sviluppo tenutasi il 23 luglio a Roma, nonché l'istituzione del 'Processo di Roma' per promuovere partenariati tra i paesi di origine, transito e destinazione della migrazione nella più ampia regione del Mediterraneo, del Medio Oriente e in Africa” (ne parliamo in altra parte del giornale, ndr), e che “prendono atto del 'Piano Mattei' per l'Africa del governo italiano”.
In questo stesso ambito, in un altro punto del documento congiunto, si sottolinea che i due governi imperialisti “rinnovano inoltre l'impegno a promuovere efficaci politiche di contrasto al terrorismo nel quadro della Coalizione D-ISIS” (Defeat-ISIS, ndr), la coalizione interimperialista anti-Daesh a guida statunitense di cui l'Italia è da tempo fra i principali e più convinti partecipanti. E a maggior ragione lo è adesso che la lotta al “terrorismo” dello Stato islamico si sposa egregiamente con la politica antimigranti, espansionista e neocolonialista del governo neofascista Meloni nel Mediterraneo allargato e in Africa, benedetta adesso anche da Washington.

6 settembre 2023