La lezione del Cile di 50 anni fa

50 anni fa in Cile un golpe militare istigato e finanziato dalla Cia, con l'appoggio della Democrazia cristiana di Frei e delle classi borghesi più reazionarie, annegò nel sangue l'esperienza del governo socialdemocratico di Unidad popular guidato da Salvador Allende. L'11 settembre 1973 le forze armate cilene agli ordini del generale Augusto Pinochet e di altri ufficiali golpisti misero in stato d'assedio le principali città del Paese, bombardarono con l'aviazione il palazzo presidenziale della Moneda a Santiago, uccisero il presidente Allende che si difese fino all'ultimo con le armi in pugno (anche se le prime versioni parlarono di suicidio), occuparono militarmente le sedi dei partiti e dei sindacati democratici arrestando i dirigenti delle forze democratiche e antifasciste, instaurarono un rigido coprifuoco e revocarono tutte le libertà costituzionali e democratico-borghesi.
Migliaia di operai e di studenti scesi spontaneamente in piazza furono massacrati dall'esercito. Altre migliaia di oppositori furono imprigionati nello stadio nazionale della capitale, per essere successivamente torturati, uccisi o fatti sparire senza lasciare tracce. Fu instaurata infatti una lunga e sanguinaria dittatura fascista, con a capo il boia Pinochet, che durò fino al 1990 e le cui profonde ferite sono ancora aperte.

Il programma sociale del governo Allende
Dopo aver vinto le elezioni del 1970 a capo di una coalizione di partiti della sinistra, Unidad popular, Allende riuscì a formare un governo e cominciò ad attuare il suo programma denominato “via cilena al socialismo”, che intendeva cioè realizzare una serie di riforme di ispirazione socialista ma mantenendosi rigorosamente nei confini della democrazia borghese e del rispetto della legalità costituzionale. Nel primo anno e mezzo di governo numerose imprese vennero nazionalizzate, tra le quali il 90 per cento delle banche, la compagnia aerea di bandiera e le miniere di rame, che rappresentavano i tre quarti delle esportazioni cilene. Una riforma agraria concedette 10 milioni di ettari a più di 100mila famiglie, anche espropriando quasi cinquemila terreni di proprietà di latifondisti.
Furono al contempo avviati numerosi progetti di lavori pubblici e costruite numerose case popolari. Furono aumentati tra il 40 e il 60 per cento i salari dei lavoratori e calmierati i prezzi di tutti i beni di largo consumo, mettendo un freno all'inflazione galoppante degli anni precedenti. Furono avviate le riforme del sistema sanitario e dell’istruzione, assicurando per esempio mezzo litro gratuito di latte al giorno per ciascun bambino, i libri a prezzi bassi e i sussidi alle famiglie povere per mandare i figli a scuola, l'abolizione dei finanziamenti alle scuole private. Inoltre fu applicata una tassa sui profitti e approvata una moratoria sul rimborso del debito estero. Il risultato fu che il Prodotto interno lordo crebbe del 9 per cento nel 1971 e la disoccupazione scese al 3,1 per cento l’anno successivo, così come scese drasticamente anche l'analfabetismo.
In politica estera il Cile, fino ad allora sempre strettamente alleato e dipendente degli Usa, scelse di schierarsi nel campo dei Paesi non allineati, stabilì relazioni diplomatiche con la Cina di Mao e altri paesi socialisti, tentò una politica di distensione con i vicini paesi dell'America Latina, allora dominati prevalentemente da cricche militari e reazionarie, perché solo Cuba, il Perù e il Messico guardavano con favore al governo Allende. Quest'ultimo cercò anche di intrattenere rapporti con diverse nazioni africane e asiatiche, mentre invece si oppose all’Organizzazione degli stati americani e all’Accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio (Gatt), entrambi al servizio degli interessi degli Stati Uniti.

Come si arrivò al golpe
Tutto ciò non poteva che suscitare la reazione della borghesia finanziaria, industriale, commerciale e latifondista all'interno, e dell'imperialismo americano all'esterno; forze che controllavano di fatto l'esercito cileno, i cui ufficiali provenivano tutti dalle classi più agiate e che da sempre venivano formati e addestrati negli Usa ed erano strettamente legati alla Cia.
Già all'indomani della vittoria elettorale di Allende, il presidente americano Nixon cercò senza successo, attraverso la Cia e i suoi referenti politici in Cile di impedirgli di formare un governo, e successivamente decise di adottare un piano che avrebbe dovuto portare ad un rovesciamento del governo di Unidad popular, anche con un golpe militare “che avrà luogo appena possibile”. Parlando al Consiglio nazionale per la sicurezza, Nixon dichiarò senza mezzi termini: “La nostra principale preoccupazione per il Cile è che Allende possa consolidare il suo potere. Non dobbiamo lasciare che l’America Latina pensi che si possa scegliere quella strada senza subire conseguenze”.
Il segretario di Stato Kissinger (lo stesso che ha abbracciato Draghi l'anno scorso e la Meloni poche settimane fa) mobilitò le multinazionali per boicottare e strozzare l'economia cilena, facendo crollare il prezzo del rame per togliere al governo cileno una delle maggiori entrate. William Colby, direttore della Cia dal 1973 al 1976, affermerà nelle sue memorie che Washington spese milioni di dollari per cercare di “creare un clima propizio ad un golpe”, come difatti avvenne con attentati di organizzazioni terroristiche della destra, e scioperi e boicottaggi da parte delle potenti organizzazioni dei camionisti e dei commercianti, finanziate dagli Usa. Tanto che un primo tentativo fallito di rovesciare il potere era avvenuto già nel giugno del ’73. Allende credette di salvarsi aprendo il governo alla presenza di militari, tra i quali lo stesso Pinochet che fu nominato capo delle forze armate, finendo così per firmare ciò la sua condanna a morte che avverrà nel giro di pochi mesi.

La trappola del legalitarismo borghese
Il fatto è che il governo Allende non era un governo socialista secondo la teoria e l'esperienza pratica marxista-leninista dell'Unione Sovietica di Lenin e Stalin e della Cina di Mao, ma al massimo un esperimento di socialdemocrazia, per quanto avanzata dati i tempi e le circostanze. Ciò significa che il potere politico non stava in alcun modo nelle mani del proletariato, ma era ancora saldamente in pugno alla borghesia monopolistica in ogni campo, soprattutto nell'economia, nell'apparato dello Stato, nei mezzi di informazione, nella polizia e nelle forze armate. Lo Stato borghese, ossia la macchina burocratica e repressiva mediante la quale la borghesia esercita la dittatura di classe sul proletariato, non era stato distrutto e demolito con la salita al governo di Allende, e i riformisti di Unidad popular erano al governo ma non al potere, e subivano infatti l'iniziativa e i ricatti del grande capitale nazionale e internazionale. Il governo Allende contava su un seguito di massa, e le masse generosamente lo hanno difeso come hanno potuto, fino all'ultimo, ma nulla hanno potuto davanti alla forza brutale e alla potenza di fuoco dell'esercito della borghesia. A conferma della giustezza dell'insegnamento di Mao secondo cui “Il potere politico nasce dalla canna del fucile”.
Non poggiando sulla dittatura del proletariato e non avendo mobilitato, armato e guidato le masse in una lotta rivoluzionaria per l'abbattimento della borghesia, perché aveva deciso di mantenersi rigorosamente nei limiti impostigli dalla rigida osservanza delle norme costituzionali borghesi, parlamentari, pacifiste e legalitarie, il governo Allende inevitabilmente andò incontro alla sua fine. È significativo che alle 7,55 del mattino dell'11 settembre, mentre il golpe era già iniziato con l'occupazione militare di Valparaiso, parlando alla radio Allende esortava gli operai a “mantenere la calma e la serenità” e a recarsi come sempre nelle fabbriche e nei posti di lavoro, avendo egli “dato ordine alle truppe dell'esercito di dirigersi a Valparaiso per soffocare il tentativo golpista”. Salvo, neanche due ore dopo, avendo capito tutta la gravità della situazione, parlando da un'altra emittente, dire che quella era “probabilmente l’ultima opportunità che ho di rivolgermi a voi”, e che le sue parole non erano “di amarezza bensì di disillusione”, da parte di un uomo “che giurò di rispettare la Costituzione e la legge, e cosi fece”. Il suo legalitarismo e la sua rigida osservanza della democrazia borghese rasentavano la cecità, al punto di non ammettere fino all'ultimo che la borghesia, l'imperialismo e i militari stessero tramando per abbattere con la violenza e col sangue l'esperienza della “via cilena al socialismo”.

La questione del potere politico del proletariato
La responsabilità della tragedia cilena fu quindi in ultima analisi del revisionismo moderno e della sua strategia delle “vie nazionali” pacifiche, elettorali e parlamentari al socialismo, che illusero le masse consegnandole indifese alla violenza della borghesia e del suo braccio armato, proprio come era già successo nel 1965 con il sanguinario colpo di Stato in Indonesia e lo sterminio di un milione di persone, in maggioranza comunisti. Eppure neanche nel 1973 i revisionisti vollero trarre la giusta lezione da queste due tragedie. Al contrario. In Italia il PCI, traendone una lezione esattamente opposta, colse l'occasione per accelerare la sua resa definitiva al sistema capitalista e all'imperialismo occidentale, già iniziata nel 1956 da Togliatti con la linea della “via italiana al socialismo”: per Berlinguer, infatti, il golpe cileno era avvenuto perché nel governo Allende avevano prevalso le forze estremiste, e quindi in Italia occorreva allearsi con la DC e la borghesia, anziché combatterle.
Occorrevano cioè il “compromesso storico” con la borghesia e i governi di “solidarietà nazionale” con la DC per cogestire il sistema capitalista, perché dopo il golpe cileno persino la via elettoralista e parlamentare al socialismo, spacciata fino ad allora al proletariato e alle masse come l'unica possibile, si era di fatto dimostrata fallimentare e impossibile. Ciò era verissimo, ma anziché fare autocritica e cambiare linea i revisionisti ne approfittavano per sterzare ulteriormente a destra, cioè per cancellare l'idea stessa di socialismo e convincere il proletariato che doveva rassegnarsi ad accettare l'intangibilità del sistema capitalista. Tre anni dopo arriverà anche l'accettazione dell'imperialismo occidentale, ossia dell'“ombrello della Nato” sotto il quale Berlinguer dichiarerà di sentirsi più sicuro.
Non per nulla gli ex revisionisti, oggi rinnegati e liberali dopo aver liquidato il PCI, continuano a sostenere quell'interpretazione falsa e opposta della tragedia cilena. Il rinnegato D'Alema, per esempio, che è stato invitato alle cerimonie per ricordarla indette dall'attuale presidente del Cile, Gabriel Boric, in un'intervista a La Stamp a ha detto: “Allende era un democratico, ma l'esperienza di Unidad popular fu segnata anche da spinte radicali, che favorirono gli argomenti della destra e il colpo di Stato avvenne sull'onda di un'ondata reazionaria, che ebbe anche una base popolare”. Ciò per sottolineare che il PCI di Berlinguer non poteva non trarne l'insegnamento che “in un Paese dell'Occidente un'alternativa seccamente di sinistra non era realistica e occorreva fare un'alleanza con forze come la DC”.
Mentre un altro rinnegato come Veltroni, in un'intervista al Corriere della Sera , da quel liberale incallito che è esalta la figura di Allende soprattutto in quanto “era davvero un democratico, non ha mai contemplato il ricorso all’uso della forza per garantirsi il potere e ha sempre affermato che il pluralismo e le libertà, come il rispetto delle istituzioni democratiche, erano il cuore della sua concezione politica”. Cioè proprio ciò che ha causato allora la sua sconfitta e il massacro dei lavoratori e delle masse popolari cilene viene invocato per esaltare la compiuta mutazione liberale della “sinistra” borghese di oggi. Per questi rinnegati, liberali e riformisti, quindi, il proletariato non deve rivendicare il potere politico, ma rassegnarsi ad elemosinare qualche miglioramento di condizioni attraverso l'elettoralismo e il parlamentarismo garantiti dalla Costituzione borghese, di cui essi si ergono a difensori e guardiani.
Il Segretario generale Giovanni Scuderi, nell'Editoriale per il 46° Anniversario della fondazione del PMLI, ha scritto: “Il proletariato, sia perché produce tutta la ricchezza del Paese, sia perché è l'unica classe che può sradicare lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo e le cause economiche che generano le classi e tutti i problemi delle masse, sia perché numericamente è di gran lunga maggiore rispetto alla borghesia, ha il diritto di avere il potere politico. Un diritto che deve rivendicare con forza e determinazione e imporlo con la rivoluzione socialista, quando matureranno le condizioni, perché non gli è riconosciuto dalla Costituzione e perché non è possibile ottenerlo per via parlamentare”.
Questa è la verità confermata dall'esperienza storica del movimento operaio internazionale, e questa e solo questa è anche la vera lezione da trarre dalla tragedia del Cile di 50 anni fa.

20 settembre 2023