Protestano sindaci e Anci
Il governo taglia 16 miliardi al Pnrr
Ne faranno le spese soprattutto il Sud, la difesa del territorio e le infrastrutture
 
Con un documento di 152 pagine Raffaele Fitto, ministro per gli affari europei, le politiche di coesione e il Pnrr del governo neofascista Meloni, ha proposto una revisione di 144 progetti contenuti nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), pari ad un totale di 16 miliardi di euro di tagli. La revisione prevede anche lo slittamento di alcune scadenze e lo spostamento di fondi nel nuovo capitolo “RepowerEu” che dovrebbe contenere le misure per accelerare la transizione “verde” e l'autonomia energetica del Paese.
I tagli arrivano dopo i ritardi e le note difficoltà nell'attuazione del Piano che è stato oggetto di negoziazioni continue, che vanno avanti da mesi, con la Commissione europea che adesso dovrà pronunciarsi in merito accettandolo o domandando nuove modifiche al governo italiano.

Tagli alla cura dell'ambiente e alle infrastrutture
In relazione alla proroga delle scadenze, entro dicembre 2023 l'Italia avrebbe dovuto centrare alcuni obiettivi di riforma previsti, tra cui la riduzione dei tempi per i pagamenti della Pubblica amministrazione e quelli relativi all'aggiudicazione degli appalti, oltre che dei processi arretrati nei tribunali. Adesso Fitto chiede alla Commissione europea di raggiungere questi obiettivi 15 mesi più tardi.
Ma il grosso della misura riguarda i tagli veri e propri dei finanziamenti e conseguentemente dei progetti, ed è particolarmente significativo osservare i settori e le misure specifiche che il governo intende eliminare dal piano. Infatti, dopo aver presentato in pompa magna il Pnrr e il suo utilizzo per la ripresa dei territori “arretrati” e per allinearsi anche dal punto di vista logistico ed ambientale agli standard europei, la riduzione di 15,89 miliardi di euro penalizza in particolare proprio le infrastrutture, a partire dalle ferrovie, le misure di tutela dell'ambiente ed il welfare, risucchiando ingenti brisorse ai comuni ed alle regioni.
Fuori dal Piano la metà dei fondi dedicati alla prevenzione del dissesto idrogeologico (1,3 miliardi di euro) proprio mentre l’Italia si conferma fragile ed impreparata di fronte al cambiamento climatico che incrementa esponenzialmente anno dopo anno il suo tragico impatto sulle popolazione delle aree a rischio. Saltano poi oltre 30 mila progetti, per un totale di circa 6 miliardi, che erano stati previsti per interventi di “resilienza”, intesa come attività di contrasto al cambiamento climatico, e valorizzazione dei piccoli Comuni, molti dei quali per la messa in sicurezza di strade. Stessa sorte per 5,8 miliardi di euro previsti per la rigenerazione di periferie e aree degradate dei centri maggiori, tra cui i “piani integrati” delle 14 città metropolitane i cui lavori andavano assegnati entro ottobre.

Penalizzato il Mezzogiorno
Sul fronte infrastrutturale, fra gli altri escono dal Pnrr i progetti ferroviari per la connessione diagonale Roma-Pescara (620,17 milioni di euro), e alcuni tratti della Napoli-Bari e della Palermo Catania, per un taglio di altri 787 milioni, per opere fino a ieri considerate cruciali per lo sviluppo del Meridione. Ma sfumano soprattutto tante opere locali, indispensabili e quanto mai necessarie, per il miglioramento della mobilità ordinaria e della sicurezza che nel nostro paese, ed in particolare nel centro-sud, fa acqua da tutte le parti.
Il Meridione viene enormemente penalizzato, anche sull’infrastrutturazione sociale delle aree interne, così come sulla valorizzazione dei beni confiscati alla criminalità mafiosa, sul finanziamento dedicato alla forestazione urbana e sul nuovo assetto della sanità pubblica. Prendendo ad esempio la Sicilia, la CGIL regionale stima che in virtù di questi tagli si possano perdere nella regione ben 75 strutture, tra case di comunità, ospedali di comunità e centrali operative territoriali, rispetto alle 234 inizialmente previste; inoltre dalla misura relativa all'emarginazione ed al degrado sociale, vengono tagliati oltre 400 milioni di euro. Ovviamente poco o nulla cambia nelle altre regioni in sofferenza.
Il governo decide dunque di intervenire proprio in quelle aree dove con interventi mirati sarebbe stato possibile dare una mano ai soggetti più deboli, risollevando almeno in parte i territori più degradati. Eppure i suoi proclami sul Pnrr, la cui realizzazione era considerata un cardine del programma di governo, sostenevano esattamente l'opposto, e cioè che le aree depresse, la capillarità dei servizi e la sicurezza ambientale erano eletti a temi prioritari sui quali investire ed intervenire in maniera massiccia con quella che viene definita “l’opportunità dal Pnrr”.

Le proteste di regioni e comuni
Di pari passo all'ufficialità di questo intervento, sono giunte le proteste dei comuni italiani. “Il taglio di 16 miliardi ci colpisce molto”, dice Antonio Decaro, presidente nazionale dell’Anci (associazione dei comuni), “Chiediamo al governo garanzie immediate sul finanziamento delle opere previste, che in molti casi sono già state realizzate. (…) rischiamo di bloccare le procedure per la realizzazione di opere pubbliche come nuovi servizi, opere di rigenerazione e riqualificazione, interventi per l’assetto del territorio e in contrasto al cambiamento climatico”.
Per capire l'impatto dei tagli, è interessante osservare i calcoli di Anci Toscana, secondo cui la revisione del Pnrr significherebbe per i comuni della regione del Pegaso, la riduzione di 227,35 sui 240,9 milioni previsti per gli interventi sulla valorizzazione del territorio e l'efficienza energetica dei Comuni; di 306,9 milioni su 355,7 milioni per la rigenerazione urbana e di 13,3 milioni sui 14,3 totali per i 28 progetti per la salvaguardia e lo sviluppo delle aree interne. Poco meno di un azzeramento su questi fronti essenziali, urgenti e di prospettiva, all'interno di un taglio di un sesto sul totale dei fondi previsti (1 miliardo su 6).
In questo quadro la Conferenza delle Regioni, a maggioranza composta da esponenti di “centro-destra”, per scongiurare il blocco dei cantieri, ha chiesto al governo di garantire le coperture necessarie a coprire il definanziamento di attività e progetti in seguito alla revisione. Nel documento unitario diretto a palazzo Chigi si evidenzia anche la necessità di un maggiore coinvolgimento delle Regioni nel Pnrr che, a quanto pare, nessun esponente di governo ha contattato e consultato circa la revisione del piano.

Fitto rassicura ma i suoi tecnici lo smentiscono
In risposta alla pioggia di critiche, il ministro Fitto garantisce che il finanziamento tagliato dal Pnrr verrà spostato su altri asset a più lunga scadenza come i fondi di coesione e sviluppo e anche sul fondo complementare al Pnrr dotato ad oggi di 30,5 miliardi di euro. Secondo il ministro quindi non c'è nessun taglio, anzi, la manovra proposta punterebbe a mettere al riparo questi interventi dal rischio che alla fine per qualche motivo non vengano finanziati dall’Europa. Eppure raramente si sono viste le dichiarazioni di un ministro smentite in così poco tempo, e per giunta da analisti istituzionali.
Secondo il dossier del Servizio studi del parlamento sulla rimodulazione del Piano presentata dal ministro infatti, le misure depennate dal Pnrr al momento non hanno una copertura alternativa per essere rifinanziate.
L'elemento centrale che i tecnici evidenziano che c'è enorme chiarezza sulla disciplina e la realizzazione dei tagli, ma di contro tanta nebbia sul dove recuperare altrettante risorse per continuare a finanziare questi progetti: “Si sottolinea – si legge infatti nel dossier - come il rapporto non specifichi quali saranno gli strumenti e le modalità attraverso i quali sarà mutata la fonte di finanziamento delle risorse definanziate dal Pnrr (…) La determinazione di tali strumenti e modalità appare opportuna soprattutto con riguardo ai progetti che si trovano in stadio più avanzato, in ragione dei rischi di rallentamenti o incertezze attuative che potrebbero conseguire al mutamento del regime giuridico e finanziario e del sistema di rendicontazione cui tali misure sarebbero sottoposte”. E sul punto insistono: “Tale determinazione appare fondamentale, inoltre, al fine di verificare che le fonti alternative di finanziamento dispongano di una adeguata dotazione di competenza e di cassa nell’ambito del bilancio dello Stato”. Di fatto dunque i tecnici del parlamento confermano che ad oggi non esiste alcuna garanzia reale; intanto si taglia, poi si vedrà.
Insomma, la gestione del Pnrr, il suo utilizzo che fin dall'inizio è stato al servizio non delle masse popolari ma della “ripresa” del capitalismo italiano, conferma quali siano le priorità di questo governo. Così come fu col governo Draghi, anche Meloni continua a mantenere i fondi appannaggio delle grandi imprese per i quali gli interventi non sono stati sfiorati. Oltre al Mezzogiorno, alla sanità pubblica, alle infrastrutture, a partire da quelle locali di ordinaria mobilità, l'attacco violento alla prevenzione del rischio idrogeologico e alla transizione energetica è semplicemente scandaloso. Ma d'altra parte l’approccio rimane in piena continuità con la politica ambientale ed energetica di Meloni, ancora nei fatti ancorata ai fossili.
In ultima analisi dunque, la revisione del Pnrr contiene tanti motivi in più per unire le forze e mandare a casa il governo neofascista Meloni e tutti i suoi ministri, prima che facciano altri danni irreparabili alle masse popolari del nostro Paese ed allo stresso Pianeta che abitiamo.

20 settembre 2023