In nome di una presunta “invasione di clandestini” a Lampedusa
Il governo neofascista vara il terzo decreto antimigranti
In ogni regione un lager per migranti irregolari e richiedenti asilo, che potranno esservi incarcerati fino ad un anno e mezzo

Il 18 settembre il Consiglio dei ministri presieduto da Giorgia Meloni ha approvato a tambur battente un altro decreto razzista e xenofobo contro i migranti, il terzo dal suo insediamento dopo quello per ostacolare e vessare le navi delle Ong che soccorrono i migranti in mare e quello varato subito dopo la tragedia di Cutro.
Si tratta di un provvedimento che estende dagli attuali 3 mesi con eventuale proroga di 45 giorni, fino a 18 mesi partendo da un minimo di 6 la detenzione dei migranti nei famigerati Cpr (Centri di permanenza e rimpatrio); dei veri e propri lager dove i migranti sono rinchiusi in condizioni subumane spesso peggiori delle stesse prigioni comuni, in attesa di essere espulsi nei paesi d'origine. E prevede inoltre la costruzione veloce di almeno altrettanti nuovi Cpr oltre i 10 già esistenti, uno per ogni regione, allo scopo di velocizzare e aumentare le espulsioni.
Per affrettarne l'iter il provvedimento sui Cpr è stato inserito nel “decreto Sud” già deliberato dal Cdm, e per superare le proteste e le resistenze delle regioni e dei comuni in cui dovrebbero essere costruiti i Cpr sono dichiarati “opere destinate alla difesa e sicurezza nazionale”, e quindi non soggetti a trattative tra Stato ed Enti locali, ma di esclusivo potere decisionale dei ministeri degli Interni e della Difesa. Dentro vi potranno essere rinchiusi non soltanto migranti che hanno compiuto reati di una certa gravità, ma anche tutti quelli sprovvisti semplicemente di permesso di soggiorno o con permesso scaduto e anche i richiedenti asilo in attesa di acquisizione di documenti dai paesi d'origine. Semplicemente grottesca, ma anche indicativa della mentalità inguaribilmente classista di questo governo, è poi la clausola inserita nel “decreto Cutro” che consente ai richiedenti asilo, provenienti da paesi “sicuri” e che hanno presentato ricorso contro il rigetto della domanda, di evitare la reclusione nei Cpr pagando una cauzione di 5.000 euro.

La tecnica della presunta “emergenza” a cui segue decreto
Il sistema che utilizza questo governo neofascista per varare simili provvedimenti “urgenti” è sempre il solito e ben collaudato fin dal primo decreto “anti-Rave”: si parte da un caso di cronaca, lo si amplifica e drammatizza fino a farlo diventare un'“emergenza” nazionale, per poi approvare un decreto ad hoc di stampo liberticida e fascista tipo il decreto “Caivano”, o xenofobo e razzista come in questo caso e gli altri due che l'hanno preceduto.
Stavolta il pretesto è stato il grande numero di migranti arrivati tutti insieme a metà settembre a Lampedusa, a bordo di barche e barchini provenienti dalla Tunisia, grazie anche alle condizioni favorevoli del mare. La vergognosa quanto intenzionale disorganizzazione e carenza di assistenza da parte del ministero degli Interni, che doveva provvedere alla loro accoglienza e al loro pronto smistamento in altri luoghi fuori dall'isola, ha fatto sì che il problema esplodesse fino a far parlare di “invasione” ed “emergenza”, con 4 mila migranti stipati in piedi nel centro di raccolta che a stento può ospitarne qualche centinaio, con poco cibo e acqua, o costretti a vagare per l'isola mangiando carrube e fichi d'india, dormendo in terra in mezzo alla polvere e alla sporcizia, soccorsi solo da pochi volontari della Croce rossa e dagli isolani, sempre più esasperati per essere lasciati soli dalle autorità a sopportare una tale situazione di degrado.
Come al solito il primo a sfruttare la situazione e tirare la volata al governo per questo ennesimo decreto razzista è stato il caporione fascioleghista Salvini, ormai in piena modalità elettorale in vista delle prossime europee, e intento perciò a pungolare da destra la sua alleata-rivale Meloni per contenderle i voti cavalcando la paura dell'“invasione” incontrollata: “Manca il controllo del territorio, mi sembra evidente. Quando ti arrivano 120 mezzi non è un episodio spontaneo, ma un atto di guerra. Sono convinto che ci sia una regia dietro questo esodo”, tuonava infatti il vicepremier e ministro delle Infrastrutture davanti alla stampa estera, alludendo evidentemente al presidente tunisino Saied, sospettato di lasciar partire intenzionalmente i migranti come ricatto e ritorsione contro il ritardo della UE (anche questo intenzionale, per Salvini) nell'erogazione dei soldi dell'accordo firmato dal dittatore con la Meloni e la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, lo scorso luglio a Tunisi. Ancor più esplicito nel liquidare la linea Meloni degli accordi coi governi africani, basati sul principio “soldi dell'Europa in cambio di blocco delle partenze dei migranti”, e nel chiedere di tornare invece alla politica dei “porti chiusi” e dei “decreti sicurezza” di Salvini, era il vicesegretario della Lega Crippa, secondo il quale “la via diplomatica non ha portato a niente”, e “non è possibile che un Paese come l'Italia sia sotto ricatto degli Stati del Nord Africa, come la Tunisia”.

La passerella di Lampedusa per annunciare una stretta
Questi attacchi da destra alla sua politica antimigranti, basata soprattutto su un accordo col dittatore tunisino che rischiava di fallire già alla prima prova sul campo, spingevano la premier neofascista ad andare a Lampedusa il 17 settembre, accompagnata dalla presidente della Commissione europea, per lanciare un segnale al Paese che lei “ci metteva la faccia” per risolvere l'“emergenza clandestini”; ma anche al dittatore Saied, per rassicurarlo che era sua intenzione, e anche della von der Leyen, far sbloccare i soldi europei e far funzionare l'accordo di Tunisi. E infatti, durante la passerella propagandistica di neanche due ore, in un'isola tirata a lucido e svuotata per l'occasione da quasi tutti i migranti trasferiti in fretta e furia altrove, Meloni ha ribadito che non le interessa la redistribuzione dei migranti tra i paesi europei: “l'unico modo è fermare le partenze. Servono accordi strutturali con il Nord Africa, quote concordate, lotta ai trafficanti, strumenti legislativi comuni”, nonché una “efficace missione navale europea” e magari anche “il coinvolgimento dell'Onu”.
E la von der Leyen le è andata dietro dichiarando che “dobbiamo decidere noi chi arriva e non i trafficanti”, che occorre “pugno duro e approccio congiunto” contro di essi e che “l'Italia può contare sull'Unione europea”. E ha annunciato un piano europeo in 10 punti del tutto in sintonia con la linea della premier neofascista, basato in particolare sul “rafforzamento delle strutture di Frontex”, per la sorveglianza aeronavale e il supporto per l'identificazione e i rimpatri, nella “lotta ai trafficanti” e con l'impegno ad “arrivare al più presto con la Tunisia allo sblocco dei fondi messi a disposizione della Ue”. Piano che il giorno dopo Meloni ha potuto così sbandierare, nel Cdm che ha approvato il decreto sui Cpr, come “sorprendente, perché in linea con quel cambio di paradigma che questo governo ha sostenuto fin dal suo insediamento”. Infatti, ha ribadito la premier neofascista, “il nostro obiettivo sono i rimpatri, non la redistribuzione”, e a questo scopo ha dato mandato al ministro della Difesa Crosetto “di realizzare nel più breve tempo le strutture per trattenere gli immigrati illegali”, da costruire “in località a bassissima densità abitativa e facilmente perimetrabili e sorvegliabili”: in altre parole dei veri e propri campi di concentramento, isolati, chiusi da reticolati e sorvegliati da guardie armate, sembra di capire.

Competizione “identitaria” e nazionalista sulla pelle dei migranti
Quanto al clamoroso flop dell'accordo col dittatore tunisino, Meloni l'ha attribuito a quelle forze in Europa e in Italia “che per ragioni ideologiche, o peggio per calcolo politico, remano contro e fanno di tutto per smontare il lavoro che stiamo portando avanti”, precisando di riferirsi ai socialisti europei e a Borrel colpevoli di ritardare i pagamenti a Saied, e “alle prese di posizione di diversi esponenti della sinistra ma non solo”. Col che ha cercato di parare anche le stoccate da destra di Salvini, che nello stesso giorno della passerella di Lampedusa ostentava grande sintonia con la fascista francese Le Pen sul pratone di Pontida, attaccando all'unisono le istituzioni europee sulla mancata “difesa delle frontiere esterne della Ue”, e di conseguenza anche la linea antimigranti troppo “europeista” della Meloni. Per non lasciare la bandiera “identitaria” e nazionalista solo in mano a Salvini, infatti, quest'ultima è costretta a rincorrerlo continuamente nelle sue sparate a destra, come quella sollevata ultimamente sul finanziamento del governo tedesco ad alcune Ong che operano nel Mediterraneo (tra l'altro deciso lo scorso novembre), a cui Palazzo Chigi ha reagito con una nota ufficiale di protesta considerandolo un attacco all'Italia “in difficoltà”.
Una polemica chiaramente strumentale e propagandistica, dal momento che il governo sa benissimo che le navi delle Ong hanno raccolto non più del 5% dei 130 mila migranti approdati in Italia nell'ultimo anno, e quindi è spudoratamente falsa la sua tesi che la loro presenza nel Mediterraneo costituisce un “fattore di attrazione” per i migranti. I quali arrivano e arriveranno comunque e con qualsiasi mezzo, perché spinti inesorabilmente dalle guerre, dalle carestie e dai cambiamenti climatici. Tra l'altro Meloni e Salvini fingono anche di ignorare che la gran parte di chi sbarca in Italia non resta nel nostro paese ma prosegue per gli altri paesi europei, tant'è vero che il numero dei migranti, regolari e irregolari presenti in Italia è invariato da almeno dieci anni, e che Germania e Francia hanno un numero di richiedenti asilo incomparabilmente più alto dell'Italia.
Eppure costoro strillano lo stesso di “invasione” e di “emergenza”. Lo ha fatto anche il “progressista” Conte, anche lui in passerella elettorale a Lampedusa, ribadendo di essere contrario allo Ius soli (dare la cittadinanza a chi nasce in Italia da genitori stranieri, ndr) e che “il blocco navale è una presa in giro, ma non possiamo neanche dire oggi agli italiani che noi possiamo accogliere tutti i migranti”. Aggiungendo inoltre che “bisogna lavorare nei Paesi di transito e di origine, con l'intelligence. Potremmo usare ambasciate europee per scrutinare le domande”. Il che costituisce in definitiva un appoggio alla strategia antimigranti di Meloni.

Meloni invoca dall'Onu la guerra ai migranti
Mentre agita insieme a Salvini la bandiera “identitaria” contro Francia e Germania, Meloni rilancia anche sulla sua politica di accordi mercenari con i governi dittatoriali nord africani (Tunisia, Algeria, Libia, Egitto) per fare da carcerieri in cambio di soldi tenendo bloccati i migranti nei lager o respingendoli verso il deserto, impedendo loro di imbarcarsi o riportandoli a terra. O anche accettando che lo facciano le navi militari europee di una nuova “missione Sophia” nelle loro acque territoriali (perché in quelle internazionali non lo potrebbero fare se i migranti chiedono lo status di rifugiati, dato che quei paesi non sono considerati “porti sicuri”).
La premier neofascista cerca non solo la sponda europea a questa sua politica, ma persino quella dell'Onu, come ha dimostrato col discorso che ha tenuto all'Assemblea delle Nazioni Unite e con i diversi incontri bilaterali che ha avuto con alcuni capi di governo Africani. Un discorso tutto incentrato sull'attacco all'“ipocrisia” dell'accoglienza e della solidarietà ai migranti, a cui ha contrapposto l'esortazione a “dichiarare una guerra globale e senza sconti ai trafficanti di esseri umani”; ove dietro il concetto di “guerra ai trafficanti” maschera il suo vero intento di fare la guerra ai migranti, che però non può dichiarare come tale.
Il suo obiettivo è infatti quello di convincere l'Onu a istituire, attraverso le sue organizzazioni umanitarie, dei campi di concentramento nei paesi di partenza e di transito dei migranti per vagliare sul posto chi ha diritto alla protezione umanitaria e rispedire indietro tutti gli altri, così da levare le castagne sul fuoco all'Italia e al resto dell'Europa. E comunque avere dalle istituzioni internazionali via libera legale e appoggio concreto, anche finanziario, alla sua politica di accordi coi governi africani per bloccare le partenze dei migranti e facilitare i rimpatri. E magari anche alle infami deportazioni forzate dietro compenso, sul modello applicato dal premier inglese Sunak con l'Uganda, che Meloni ha tanto lodato nella sua visita nel Regno Unito. A sondare infatti questa possibilità è servito probabilmente il suo abboccamento col presidente ugandese Kagame al Palazzo di vetro.
 
27 settembre 2023