Con la Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (Nadef)
Il governo neofascista Meloni programma un triennio di lacrime e sangue per i lavoratori e le masse popolari

Il 27 settembre il Consiglio dei ministri ha approvato la Nota che aggiorna alla situazione attuale il Documento triennale programmatico di economia e finanza (Def) approvato lo scorso aprile. Poiché siamo alla vigilia della definizione della Legge di bilancio, in pratica la Nadef rappresenta la cornice reale in cui la legge stessa dovrà essere scritta, e perciò ne anticipa le linee generali facendo già capire qual è la politica economica e finanziaria che il governo intende seguire da qui al 2026.
In sostanza, pur dovendo tener conto della “coperta corta” delle risorse pubbliche a causa della congiuntura internazionale recessiva, degli effetti della guerra in Ucraina, dell'inflazione ancora sostenuta, del cospicuo rialzo dei tassi operato dalla Bce, del rialzo del prezzo del petrolio e, non ultimo, dell'approssimarsi della fine del regime di deroga al patto di stabilità concessa durante la pandemia, sulla quale è in corso un'aspra trattativa a Bruxelles, il governo neofascista Meloni conferma le linee stabilite nel Def di aprile, che avevamo definito un documento all'insegna dell'austerità, dei tagli alla spesa pubblica e della moderazione salariale (cfr “Il Bolscevico n. 19/2023). Con la significativa differenza che pur di ritagliarsi un pacchetto di miliardi di extragettito da usare come mancia per rianimare il consenso elettorale, ha dovuto “aggiustare” i conti e le previsioni fino al limite dell'azzardo e del rischio di incorrere in una bocciatura della Commissione europea, quando il 15 ottobre essa esaminerà il Documento programmatico di bilancio compilato sulla base della Nadef, prima ancora di esaminare la bozza della Legge di bilancio 2024.
“Stiamo lavorando per una manovra all’insegna della serietà e del buon senso e che mantenga gli impegni con gli italiani”, aveva annunciato infatti Giorgia Meloni, esortando i suoi ministri a “concentrare le risorse sulle misure che incarnano di più la nostra visione del mondo”. Per cui, aveva concluso, “basta con gli sprechi del passato, tutte le risorse disponibili saranno usate per sostenere i redditi più bassi, il taglio delle tasse e gli aiuti alle famiglie”. Ecco allora che il ministero dell'Economia e delle finanze di Giorgetti non soltanto ha aumentato e non di poco le previsioni di aumento del Prodotto interno lordo nel 2024 e nei due anni successivi, tutto da verificare, ma ha anche spostato in avanti di un anno, al 2026, il rientro nel 3% del rapporto deficit/Pil, utilizzando il maggior margine di debito per costituire un “tesoretto” di 14 miliardi da destinare esclusivamente a misure per sostenere la politica demagogica, classista e familistica chieste dalla premier.

Misure che “incarnano la visione del mondo” meloniana
Così di questi 14 miliardi circa 9 sono destinati all'estensione anche a tutto il 2024 del taglio al cuneo fiscale contributivo per i lavoratori dipendenti fino a 35 mila euro di stipendio annuo, che scade a fine dicembre. Un taglio che pesa sulle risorse dello Stato per pensioni e sanità anziché sulle imprese, che così sono esentate dall'aumentare i salari. Gli altri 4 miliardi serviranno ad attuare un altro pezzo della controriforma fiscale classista, regressiva e familistica del governo Meloni: vale a dire il taglio delle aliquote Irpef da 4 a 3, estendendo l'aliquota del 23% dell'attuale primo scaglione di 15 mila euro fino a includere il secondo scaglione di 28 mila euro, che non porta nulla ai redditi bassi e giova soprattutto a quelli sopra i 30-35 mila euro; e alla progettata esenzione totale dalle tasse per le famiglie con almeno tre figli fino a 10 anni (che tra l'altro godono statisticamente di un reddito medio-alto), secondo la politica meloniana tesa a incoraggiare la “natalità” per il rafforzamento della “nazione”.
Oltre a ciò si è parlato anche di una detassazione totale degli straordinari degli infermieri, tanto per confermare la “visione del mondo” di un governo che invece di nuove assunzioni e stipendi dignitosi pensa di risolvere la carenza di organici e la fuga di personale dagli ospedali spremendo fino all'osso i lavoratori. E nel pacchetto dovrebbe restare infine anche qualcosa per soddisfare il leader fascioleghista Salvini sul finanziamento del ponte sullo stretto di Messina, consentendogli di realizzare almeno la messa in scena propagandistica del promesso avvio dei cantieri entro l'estate 2024.
Inoltre, poiché la manovra di Bilancio si prospetta tra i 25 e i 30 miliardi di euro, ciò significa che gli altri 10-15 miliardi dovranno essere rastrellati con nuovi dolorosi tagli alla spesa e con altre entrate. A questo proposito il ministro Giorgetti ha già annunciato che ci saranno almeno due miliardi di tagli alle spese degli altri ministeri, decisi se necessario anche d'imperio dal Mef. Nella relazione di Giorgetti allegata alla Nadef inviata al parlamento si legge anche che le risorse in deficit ricavate anche per il 2023 aumentando l'indebitamento (si parla di 3,2 miliardi), saranno destinate “in particolare al conguaglio anticipato dell'adeguamento Istat per i trattamenti pensionistici previsto per l'anno 2024, a misure per il personale delle pubbliche amministrazioni e alla gestione dei flussi migratori”, ovvero ai famigerati Cpr. Si era parlato di rinnovo dei contratti della Pa, ma in realtà si va verso una nuova una tantum, una sorta di bonus pari all'1,5% dello stipendio già sperimentato lo scorso anno.

Privatizzazioni e tagli alla spesa fino al 2026
Giorgetti ha annunciato anche la messa a bilancio di una spesa di 20 miliardi l'anno fino al 2026 per coprire le uscite del superbonus edilizio, imputato come responsabile della mancata riduzione del debito, che rimarrà sostanzialmente stabile intorno al 140% per i prossimi tre anni, e un'entrata di 20 miliardi nel triennio che dovrebbe venire dalla svendita di beni pubblici e partecipazioni dello Stato, e che molti giudicano del tutto improbabile. La certificazione della mancata riduzione del debito, che sta per raggiungere la mostruosa cifra di 3 mila miliardi, mentre gli interessi passivi per sostenerlo viaggiano verso il record di 100 miliardi l'anno, e le cifre ottimistiche sull'aumento previsto del Pil, legate per ammissione dello stesso Giorgetti agli effetti positivi del PNRR tutti da verificare, hanno spaventato i mercati finanziari facendo superare per qualche ora allo spread tra i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi la soglia di allarme dei 200 punti base. Segnali che il cammino della Legge di bilancio si va facendo molto stretto per il governo, che al di là delle poche risorse ritagliate da dare in pasto al suo elettorato, dovrà menare parecchio la scure quando si tratterà di scriverla per passare l'esame dei mercati e della Ue.
Dalle tabelle allegate alla Nadef, infatti, si ricava che a legislazione vigente e in percentuale sul Pil, dal 2023 alla fine del 2026 ci sarà un netto “dimagrimento” del Bilancio statale, con un calo sia della spesa (per effetto di tagli), che delle entrate dello Stato (per effetto degli sgravi fiscali regressivi come flat tax, riduzione delle aliquote Irpef ecc.). Non solo, ma il taglio della spesa sarà pure più pesante del taglio delle tasse: -3,6% sul Pil per il totale delle spese finali dello Stato (includenti la spesa per gli interessi sul debito), a cui si aggiunge un -1,5% sul Pil di riduzione delle entrate. E se si prende la sola spesa al netto degli interessi, che è il -4,3% sul Pil, il taglio è ancora più pesante. Ciò perché gli interessi aumentano costantemente nel triennio, mentre il calo della spesa è da imputare tutto alle spese correnti: e cioè agli stipendi dei lavoratori della Pa, alle prestazioni sociali ad eccezione delle sole pensioni (sanità, istruzione, assistenza ecc.) e alla spesa in conto capitale, ovvero agli investimenti. A conti fatti, per un Pil nominale tendenziale di 2.274 miliardi previsto per il 2026, si tratta di un taglio complessivo alla spesa di 82 miliardi in tre anni, che diventa di quasi 98 miliardi se si esclude la spesa per interessi sul debito. Se a questi si aggiungono anche i circa 34 miliardi di minori entrate si ha un'idea dell'entità imponente del “dimagrimento” a cui sarà sottoposto il bilancio dello Stato già nei prossimi tre anni.

Il criminale impoverimento della sanità pubblica
Tra i settori della spesa sociale che più ne patiranno le conseguenze c'è senz'altro la sanità, già arrivata in condizioni disastrose allo scoppio della pandemia, a furia di tagli al personale e alle risorse per 36 miliardi per la criminale politica di austerità dei governi di destra e di “centro-sinistra” praticata nel decennio precedente, e oggi letteralmente sull'orlo del collasso. Il governo ha stanziato 2 miliardi in più nel 2024 per il fondo sanitario nazionale, eppure si tratta di un taglio in termini reali, perché non copre neanche l'inflazione e non è nemmeno sufficiente a mantenere l'esistente, tant'è che le regioni chiedono almeno 4 miliardi. Ma per gli investimenti urgenti, soprattutto per l'assunzione di medici e infermieri, per aumentare gli stipendi del personale e per diminuire le liste d'attesa di miliardi ne occorrerebbero subito almeno una quindicina. Senza contare che tra i numerosi progetti che il governo ha cancellato dal PNRR ci sono anche le Case di comunità che dovevano assicurare la medicina territoriale oggi praticamente inesistente.
I soldi andrebbero presi colpendo gli evasori e da quegli strati della popolazione, dalle banche e dalle grandi aziende che si sono ancora più arricchite in questi anni, a cominciare dall'1% più ricco (500 mila persone) che detiene un quarto della ricchezza nazionale. Come propone ad esempio la campagna “Tax the rich” dell'associazione Sbilanciamoci, chiedendo oltre ad una patrimoniale sulle grandi ricchezze e rendite finanziarie, di aumentare la progressività sui redditi oltre i 70 mila euro, aumentare le tasse sulle successioni milionarie e una vera ed efficace Tobin tax.
Ovviamente il governo Meloni se ne infischia altamente e continua piuttosto la criminale politica dei risparmi sulla salute delle masse con l'obiettivo di privatizzare un po' alla volta l'intero servizio sanitario nazionale, prova ne sia che nella Nadef è scritto nero su bianco che la spesa sanitaria passerà dal 6,7% del Pil del 2022 al 6,6% quest'anno e al 6,2 nel 2024 e 2025, mentre nel 2026 scenderà addirittura al 6,1%. Decisamente inferiore alla media dei paesi della Ue e dell'Ocse, che nel 2022 era del 7,1%. In valore assoluto fra tre anni il definanziamento della sanità ammonterebbe allo 0,6% del Pil, pari a quasi 14 miliardi.
Di fronte a questa impostazione di politica finanziaria, economica e sociale del governo neofascista Meloni, da una parte così demagogica, classista e familista, e dall'altra all'insegna dell'austerità, dei tagli e della moderazione salariale, che cosa aspettano le direzioni sindacali, o quantomeno anche la sola Cgil a proclamare lo sciopero generale? Invece quest'ultima continua a parlarne solo come una possibilità teorica e rinviata ad un tempo indeterminato. Ma non c’è più tempo da perdere: lo sciopero generale unitario deve essere proclamato subito dai tre sindacati confederali e dai sindacati di base, per il lavoro, l'aumento dei salari e delle pensioni medio-basse, il blocco dei prezzi dei beni di prima necessità, l'abrogazione della legge Fornero e le altre rivendicazioni essenziali e urgenti per i lavoratori e le masse popolari.

4 ottobre 2023