L'Azerbaigian si annette con le armi il Nagorno Karabakh
Esulta il dittatore fascista Erdogan

Il presidente della autoproclamata Repubblica dell’Artsak, il nome armeno della regione separatista non riconosciuta a livello internazionale, con un decreto emesso a fine settembre, ha sciolto tutte le istituzioni e organizzazioni della Repubblica e sancito che il Nagorno-Karabakh cesserà di esistere come entità statuale a partire dal 1 gennaio 2024 e diventerà una regione annessa con le armi all'Azerbaigian. Una decisione imposta dai carri armati azeri che due settimane prima avevano invaso e occupato l'enclave armena in Azerbaigian e risolto con la forza un contenzioso aperto da più di trenta anni in seguito alla dissoluzione dell'Urss revisionista e la nascita dei nuovi stati indipendenti. La soluzione trovata dall'Unione sovietica di Stalin di creare territori o repubbliche autonome in zone abitate da armeni in Azerbaigian o da azeri in Armenia che rendevano impossibile tracciare una netta linea di confine tra le due Repubbliche ha retto per decenni finché era tenuta assieme dal cemento della comune base socialista che ha ceduto distrutta dalla svolta revisionista e successivamente capitalista e liberista dei dirigenti del socialimperialismo sovietico. La prima conseguenza dell'annessione azera è stata la fuga, secondo le autorità armene, di più di 75mila armeni, sui 120mila abitanti, profughi in Armenia.
Il governo armeno di Erevan e quello azero di Baku hanno provato a risolvere il problema dell'autonomia del Nagorno-Karabakh con due guerre segnate da quasi 40 mila morti, una alla fine del secolo scorso e l'altra nel 2020. La seconda ha visto l'intervento della Russia di Putin a fianco dell'Armenia ortodossa mentre la Turchia ha sostenuto l'Azerbaigian islamico; a Baku nel 2020 sono arrivati anche i droni dei sionisti di Tel Aviv per colpire l'enclave azera. Non è una guerra di religione ma una nuova guerra locale alimentata dalle potenze imperialiste regionali e che nel caso vede il fascista turco Erdogan, pilasto militare della Nato e contemporaneamente alleato di Putin e dell'Iran nella spartizione della Siria e nella guerra ai curdi, giocare spregiudicatamente su più tavoli per inseguire il sogno della costruzione di un nuovo impero ottomano. Come sempre i diritti dei popoli, a partire da quello della loro autodeteminazione, vengono calpestati.
Non a caso ha esultato il presidente azero Ilham Aliyev che ha occupato l’enclave separatista dell’Artsakh dalla quale il suo esercito era stato cacciato nella prima guerra negli anni '90 del secolo scorso. Ma ancora di più ha esultato il suo padrino, il dittatore turco Erdogan, che aggiunge un tassello al suo progetto di riunire sotto l'egemonia di Ankara i popoli turcofoni dal Mediterraneo al Turkmenistan e tiene ancora nel mirino la stessa Armenia, un "ostacolo" che divide territorialmente l'Azerbaigian e la regione azera autonoma del Nakhchivan che impedisce la costruzione di quella che il presidente azero Aliyev ha definito "la via commerciale più importante del Caucaso del sud".
Con questi attori imperialisti che soffiavano e soffiano sullo scontro diretto tra Baku e Erevan non era difficile pensare che sarebbe stata molto precaria l'ultima tregua definita dopo la guerra del 2020 e vigliata da un contingente russo schierato a protezione anzitutto del corridoio di Lachin, la striscia di terra che collegava la regione autonoma contesa con l'Armenia.
A inizio 2023 l'Azerbaigian metteva sotto controllo il corridoio e rendeva difficile il passaggio di merci e persone fra l'Armenia e il Nagorno-Karabakh sostenendo che fosse una misura per evitare il traffico di armi. La Russia del nuovo zar Putin non batteva ciglio tanto che l'Armenia accusava Mosca di non voler più tutelare la sua sicurezza. Di recente il governo di Erevan annunciava la decisione di lasciare la Csto, l’organizzazione di assistenza militare reciproca dei Paesi ex Urss guidata da Mosca. Un cambio di alleanze fra padrini imperialisti certificato dall'avvio l'11 settembre scorso di una esercitazione militare congiunta con gli Usa.
L’esercitazione denominata “Eagle Partner 2023”, dichiarava il ministero della Difesa armeno, sarebbe stato quello di favorire la collaborazione con gli Usa e preparare le forze armate armene a partecipare a missioni internazionali. I militari armeni impegnti erano 175, quelli dell'imperialismo americano 85, compresi membri della Guardia Nazionale del Kansas che da vent’anni collaborano con Erevan, sottolineava il comando Usa. Una esercitazione molto limitata nei numeri dei militari coinvolti ma dal valore politico importante che segnava un cambio di alleanze imperialiste e che doveva durare fino al 20 settembre.
Il governo di Baku non attendeva la fine delle manovre e, dopo aver informato Russia e Turchia, già il 19 lanciava una operazione contro Stepanakert, la capitale dell'autoproclamata repubblica autonoma. Una operazione definita di "antiterrorismo", così oramai gli aggressori imperialisti di qualsiasi schieramento chiamano le loro invasioni militari per tentare di camuffarle e legittimarle, per "disarmare e assicurare il ritiro di formazioni dell'esercito armeno dal nostro territorio". Erevan negava di avere proprie forze nell'enclave in territorio azero e invocava l'intervento del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e delle forze di pace russe denunciando quella azera come una "operazione di pulizia etnica". L'esercito azero occupava in poche ore il territorio dell'enclave armena, il contingente russo stava a guardare così come l'Onu e senza gli aiuti da Erevan i combattenti separatisti erano costretti a chiedere a Baku il cessate il fuoco e l'apertura di negoziati che portavano alla smobilitazione delle forze dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh. Cancellando con la forza i diritti degli armeni del Nagorno Karabakh, con l'avallo di fatto dei paesi imperialisti in questo caso sia dell'Ovest che dell'Est, a vantaggio al momento del progetto neo ottomano di Erdogan.

25 ottobre 2023