Dal 1947 a oggi
Cenni della lotta del popolo palestinese per la liberazione della Palestina
 
Per affrontare correttamente il tema dell'attuale lotta del popolo palestinese per la conquista della propria libertà bisogna comprendere innanzitutto cosa realmente è l'attuale popolo palestinese, e bisogna capire quali sono le sue origini storiche in un territorio - quello che comprende l'area geografica attualmente occupata, complessivamente, dallo Stato sionista israeliano, dalla Striscia di Gaza e dalla Cisgiordania – che sin dalla più remota antichità è stata abitata da molte popolazioni, come documentano importanti testi storici, i più antichi dei quali sono contenuti nella Bibbia.
 
L'origine del popolo palestinese
La Bibbia (in particolar modo i Libri di Numeri, Giosuè, Giudici, Rut, i due Libri di Samuele, i due dei Re, i due delle Cronache insieme ai Libri di Esdra, Neemia, Tobia, Giuditta, Ester, i due Libri dei Maccabei, i quattro Vangeli e gli Atti degli Apostoli, senza dimenticare che anche alcuni Libri profetici - soprattutto quelli di Isaia, Geremia, Ezechiele e Daniele – e alcune lettere di Paolo sono fonti preziose di notizie storiche) offre un quadro approssimativo delle vicende storiche che si susseguirono nel territorio attualmente occupato da Israele, dalla Striscia di Gaza e dalla Cisgiordania nel periodo che va approssimativamente dal XII secolo a.e.v. (avanti l'era volgare, equivalente ad a.C.)(entrata del gruppo etnoreligioso degli Ebrei attraverso il fiume Giordano nella terra di Canaan – territorio corrispondente, stando alle affermazioni contenute in Numeri XXXIV, 1-12 e in Ezechiele XLVII, 13-20, ai territori attuali di Israele, Libano, Cisgiordania e Gaza, oltre a porzioni della Giordania e della Siria) fino alla metà del I secolo e.v.., quando la stessa area geografica ormai costituiva, dall'anno 6 e.v., la provincia romana della Judea .
Gli storici moderni generalmente ritengono sulla base di ricerche archeologiche che gli Ebrei, contrariamente alle affermazioni dei libri biblici che narrano di epiche battaglie per la conquista, si stanziarono in modo relativamente pacifico convivendo con i popoli che abitavano quei territori (Filistei – il popolo dal quale deriva il nome 'Palestina' – che occupavano il territorio insieme ai Cananei, ai Fenici, agli Aramei ai Moabiti e agli Ammoniti) costituendo dapprima un regno unitario ebraico scissosi poi in due regni (Israele a nord e Giuda a sud) che vennero nel corso dei secoli rispettivamente conquistati dagli Assiri e dai Babilonesi. Nonostante le sconfitte militari, la popolazione ebraica restò su quei territori, anzi la religione ebraica divenne quella predominante, anche se gli Ebrei – a parte un effimero periodo nel II secolo a.e.v. - non avrebbero mai più avuto uno Stato proprio, cadendo sotto la dominazione persiana, ellenistica, romana, bizantina, araba, turca selgiuchide, crociata, mamelucca e infine turca ottomana.
Il territorio dell'antica Palestina, quindi, divenne soprattutto a partire dal IV secolo a.e.v. che vide la conquista di Alessandro Magno, un'area dove la popolazione professava la religione ebraica e dove si diffusero più lingue, le più importanti delle quali erano certamente l'aramaico – che gradualmente soppiantò l'antico ebraico - e il greco (quest'ultima lingua conosciuta certamente anche da Gesù Cristo come sembra indicare il colloquio con il governatore provinciale romano Ponzio Pilato, il quale certamente parlava il greco ma difficilmente le lingue locali).
A partire dal I secolo e.v., come attestano gli Atti degli Apostoli, la nuova religione cristiana si diffuse innanzitutto tra gli Ebrei che abitavano quelle terre, prima ancora che essa riscuotesse successo anche presso popolazioni non ebraiche.
I secoli di dominazione romana – lo attestano gli storici latini e greci - videro una serie di rivolte della popolazione ebraica stanziate in quel territorio contro il dominio romano (tra il 66 e il 70, tra il 132 e il 135, tra il 351 e il 352 e infine tra il 613 e il 617) fino a quando esso cadde definitivamente ed interamente sotto la dominazione araba nel 640, anno nel quale si arrese alle truppe del califfo Omar ibn al-Khattab dopo un breve assedio, la guarnigione romana di Cesarea, capitale della provincia della Palaestina Prima , nome con il quale i romani avevano nel frattempo denominato l'antica provincia della Judea .
Da quel momento per quasi 1300 anni, fino alla fine della prima guerra mondiale che vide la disfatta dell'Impero Ottomano, cade un assoluto silenzio sugli ebrei che popolavano il territorio della Palestina fino alla conquista musulmana, ma è certo che i musulmani furono tolleranti sia con i cristiani sia anche con gli ebrei: si sa per certo che durante le crociate, nelle quali dall'XI al XIII secolo i regni europei tentarono di liberare la Terra Santa dalla dominazione musulmana, gli europei trovarono insieme alla maggioranza musulmana piccole comunità di cristiani e di ebrei che parlavano l'arabo, anche se piccole minoranze continuavano a parlare l'aramaico, mentre la lingua greca era completamente caduta in disuso tra la popolazione, essendo conosciuta e approfondita, insieme al latino, soltanto dagli studiosi arabi.
È chiaro ed evidente, quindi, che già dopo alcuni secoli dalla conquista araba la popolazione che viveva in quell'area geografica aveva in maggioranza abbandonato gradualmente, da un punto di vista linguistico, l'aramaico e il greco a favore dell'arabo e, da un punto di vista religioso la quasi totalità degli ebrei e dei cristiani si era convertita pacificamente all'islam. Se da un punto di vista etnico, quindi, si può affermare che gli attuali palestinesi discendono dagli antichi ebrei etnici e religiosi che abitavano da millenni quel territorio, la nascita di una specifica identità palestinese – cioè il fatto che gli abitanti della Palestina sentano di appartenere allo stesso popolo e si considerano quindi palestinesi – è successiva e si è sviluppata soprattutto nel Novecento, in parte dovuta alla contrapposizione con genti di religione e di cultura ebraica – ma certamente non discendenti degli antichi ebrei che abitavano l'antica regione di cui ci stiamo occupando - che iniziarono a emigrare nell'area dapprima dall'Europa centrale ed orientale e in seguito anche da altre parti d'Europa, dall'Africa settentrionale e dal Medio Oriente.
Alla fine del XIX e agli inizi del XX secolo, quindi, la popolazione che viveva nel territorio che ora comprende i territori della Striscia di Gaza, della Cisgiordania e di Israele era composta da genti che parlavano nella quasi totalità l'arabo con piccole minoranze che parlavano l'aramaico e, da un punto di vista religioso, la fede maggioritaria era di gran lunga quella musulmana con minoranze cristiane ed ebraiche.
Nel 1911, quando ancora la Palestina faceva parte dell'Impero Ottomano, nella città palestinese di Giaffa fu fondato un giornale bisettimanale in lingua araba che si chiamava Filastin (che in arabo significa 'Palestina') le cui pubblicazioni durarono alcuni anni e al quale collaborarono musulmani, cristiani ed ebrei che vivevano in quel territorio. In alcuni dei suoi articoli si parlava dei palestinesi come di una componente specifica del popolo arabo, pur senza separarsi nettamente dalla più generale appartenenza araba: in quel momento, si può tranquillamente affermare, quel popolo palestinese che viveva lì da millenni aveva anche acquisito piena identità.
 
La lotta del popolo palestinese per la liberazione della Palestina fino al 1947
Ancora prima della nascita ufficiale del movimento sionista, nel 1897, gruppi non numerosi di ebrei europei erano emigrati verso la Palestina ottomana.
Tra il 1882 e il 1903 una prima ondata di circa 35.000 ebrei europei emigrarono in Palestina soprattutto dalla Russia e dalla Romania, unendosi alla preesistente popolazione ebraica di lingua araba che nel 1880 contava non più di 25.000 persone.
Poi, sotto la spinta della propaganda sionista, tra il 1904 e il 1914 altri 40.000 ebrei emigrarono dall'Europa orientale nella Palestina ottomana.
Poi, dopo la pausa imposta dalla prima guerra mondiale che si combatté anche nel territorio della Palestina ottomana, giunsero in quest'ultimo territorio tra il 1919 e il 1923 ulteriori 40.000 ebrei, provenienti anche questa volta principalmente dall'Europa orientale. Quest'ultima ondata migratoria era avvenuta nel contesto del passaggio di sovranità sull'area dall'Impero Ottomano alla Gran Bretagna, che aveva ricevuto il 25 aprile 1920 dalla Società delle Nazioni il mandato di governare quei territori, che terrà in suo possesso fino al 1948.
Tra gli immigrati ebrei in Palestina si era intanto diffusa, come strumento di comunicazione, la lingua ebraica scritta e parlata, perché nella seconda metà dell'Ottocento filologi ebrei europei avevano creato l'ebraico moderno: gli ebrei sparsi per il mondo, infatti, per oltre duemila anni avevano parlato esclusivamente le lingue nazionali delle varie popolazioni o, in Europa orientale, l'yiddish, un'antica lingua germanica parlata anche nella Russia meridionale da dove provengono gli ebrei askenaziti.
In tale contesto storico si segnala il primo rilevante episodio di tensione tra la comunità palestinese e gli immigrati ebrei in quanto violenti disordini scoppiati a Gerusalemme tra il 4 e il 7 aprile 1920 provocarono la morte di 5 ebrei e 4 palestinesi.
Nel frattempo non si arrestava l'emigrazione di ebrei proveniente dall'Europa, perché tra il 1924 e il 1929 arrivarono soprattutto dalla Polonia 82.000 ebrei e non è certo un caso che tra il 23 e il 29 agosto a Gerusalemme scoppiarono violentissimi scontri, dopo una manifestazione sionista, tra palestinesi da una parte e immigrati ebrei dall'altra, alla fine dei quali si contarono 110 morti tra i Palestinesi e 139 tra gli immigrati ebrei: è degno di nota il fatto che ebrei palestinesi di lingua araba si scontrarono con gli ebrei europei sionisti.
Ma è nel decennio tra il 1929 e il 1939 che la situazione si fece più grave, perché durante questo periodo giunsero in Palestina ben 250.000 immigrati ebrei europei, dei quali 174.000 tra il 1933 e il 1936 in fuga soprattutto dalla Germania nazista.
Le autorità britanniche – consapevoli che a lungo andare un simile afflusso indiscriminato di migranti dall'Europa avrebbe comportato tensioni - tentarono di mettere un freno all'immigrazione europea, ma era troppo tardi, perché tra l'aprile del 1936 e l'agosto del 1939 la grande rivolta araba infiammò l'intera ragione.
Tra il 1918 e il 1936, infatti, la popolazione ebraica proveniente dall'Europa era più che quadruplicata, passando da meno di 80.000 persone a oltre 360.000. Inoltre gli ebrei immigrati avevano creato bande armate come l'Haganah e l'Irgun che avevano iniziato a compiere attentati terroristici sia contro i britannici sia, soprattutto, contro la popolazione araba palestinese, nella quale era compresa la popolazione ebraica di lingua araba che da secoli viveva in Palestina.
Il 19 aprile 1936 scoppiò spontaneamente la rivolta palestinese - che vide uniti musulmani, cristiani ed ebrei autoctoni – e sotto la guida del Gran Mufti di Gerusalemme si formò il Supremo Comitato Arabo che proclamò lo sciopero generale arabo con l'obiettivo politico di porre fine all'immigrazione ebraica dall'Europa, di mettere fuori legge le organizzazioni terroriste sioniste e di vietare la vendita delle terre agli ebrei. Successivamente il Supremo Comitato Arabo proclamò lo sciopero fiscale totale contro l'amministrazione britannica, dichiarò fuori legge la dominazione britannica in Palestina, reclamando l'indipendenza nazionale palestinese ed elezioni immediate per la formazione di un governo arabo democratico, considerando che all'epoca la popolazione palestinese era in maggioranza sul territorio: gli inglesi, spalleggiati dalle bande armate sioniste, risposero con una durissima repressione e per quasi tre anni divampò una rivolta generalizzata che fu stroncata definitivamente soltanto nel marzo del 1939, alla vigilia dello scoppio della seconda guerra mondiale.
Eppure, nonostante questo clima di tensione, l'immigrazione di ebrei dall'Europa non si era certo fermata, e non si sarebbe fermata nemmeno durante la seconda guerra mondiale, perché dal 1939 fino al 1947 altri 110.000 ebrei europei raggiunsero la Palestina.
 
La lotta del popolo palestinese per la liberazione della Palestina dal 1947 a oggi
Finita la seconda guerra mondiale, nel 1947 la Gran Bretagna rimise la questione palestinese all'appena nata Organizzazione delle Nazioni Unite, all'interno della quale si sviluppò una notevole discussione tra le potenze vincitrici della seconda guerra mondiale: i sovietici proponevano un unico stato nel quale avrebbero dovuto convivere pacificamente e con rispettivi diritti le due nazionalità di lingua araba ed ebraica, ma alla fine – poiché la sua proposta era rimasta isolata - fu costretta a votare il 29 novembre 1947 all'Assemblea Generale la Risoluzione 181 che prevedeva, tra l'altro, la revoca del mandato britannico, la formazione di uno Stato ebraico sul 56% del territorio con una popolazione di 498 mila ebrei e 497 mila arabi, la formazione di uno Stato arabo sul 43% del territorio con una popolazione di 725 mila arabi e 10 mila ebrei, un regime speciale internazionale per la città di Gerusalemme e la zona limitrofa amministrata dall'Onu, con una popolazione di 105 mila arabi e 100 mila ebrei.
Si trattava però di una soluzione assai ingiusta e penalizzante per i palestinesi oltre che inaccettabile per il principio dell'autodeterminazione dei popoli proclamato dalle stesse Nazioni unite, e sia la totalità degli arabi che vivevano in Palestina sia la totalità degli Stati arabi già indipendenti respinsero il progetto, reclamando l'indipendenza dell'intera Palestina, dove gli abitanti di lingua araba erano più del doppio rispetto a quelli di lingua ebraica (1.237.000 arabi contro 607.000 ebrei).
I sionisti, timorosi della reazione araba in generale e palestinese in particolare, scatenarono le loro bande armate Haganah, Irgun e Lehi contro la popolazione civile palestinese già a dicembre del 1947 assaltando a mano armata – e con l'assoluta indifferenza degli inglesi, ormai in via di disimpegno nell'area - centinaia di villaggi arabi e costringendo decine di migliaia di persone a rifugiarsi in Egitto, in Giordania, in Libano e in Siria. Le violenze contro la popolazione civile palestinese si moltiplicarono nel 1948, soprattutto dopo la proclamazione dello Stato di Israele il 14 maggio 1948 e dopo lo scoppio della prima guerra arabo-israeliana che divampò in quell'area del Medio oriente tra il 15 maggio 1948 e il 20 luglio 1949, alla fine della quale Israele controllava un'area di territorio ben maggiore rispetto a quello previsto dalla spartizione dell'ONU. Le violenze dei sionisti contro i Palestinesi continuarono anche nel 1949 e nel 1950. Alla fine decine di migliaia di civili arabi furono uccisi, almeno 800.000 palestinesi furono espulsi e almeno 524 villaggi e cittadine palestinesi furono rase al suolo a seguito delle violenze perpetrate dalle neonate forze armate e forze di polizia israeliane. Non mancarono episodi di resistenza da parte palestinese, ma la lotta fu impari, perché i sionisti potevano contare sull'immigrazione di oltre 10.000 ebrei europei al mese e sul rifornimento costante di armi a Israele finanziato dal Congresso ebraico mondiale.
Secondo la maggior parte degli storici, tra i quali spicca lo studioso israeliano Ilan Pappé, la cacciata della popolazione palestinese e la distruzione dei loro insediamenti erano parte di un piano studiato a tavolino dalla dirigenza sionista – che coinvolse anche il Congresso ebraico mondiale - per potersi disfare degli arabi presenti nei territori del futuro Stato d’Israele e per spazzarli via da esso una volta costituito. Secondo i piani una piccola percentuale di arabi avrebbero dovuto restare nel Paese per svolgere i lavori più umili, e – guarda caso – oggi la popolazione araba all'interno di Israele ammonta al 20%, proprio come i saggi sionisti del Congresso ebraico mondiale avevano preventivato! Pappé ha parlato a tal proposito di pulizia etnica della Palestina volta a cancellare la presenza fisica, culturale, storica e politica dei Palestinesi.
Oggi i profughi palestinesi, provenienti da quello che ora è territorio israeliano, che sono ufficialmente riconosciuti dall’ONU come rifugiati sono circa 5.900.000, in larga parte discendenti da coloro che fuggirono nel 1948, e vivono in parte in Palestina e in parte in altri Paesi (in Cisgiordania 871.000, nella Striscia di Gaza 1.476.000, in Giordania: 2.307.000, in Siria 568.000 e in Libano 489.000), ma esistono comunità della diaspora palestinese in altri numerosi paesi del mondo. In Israele sono rimasti, come previdero i “saggi” sionisti del Congresso ebraico mondiale, circa due milioni di arabi con cittadinanza israeliana, pari a circa il 21% della popolazione di Israele, che sono i discendenti degli arabi che restarono nel territorio israeliano e che svolgono, insieme agli ebrei neri etiopi Falascià e ad altri lavoratori provenienti da paesi poveri, i lavori più umili all'interno della società israeliana.
Il conflitto tra il mondo arabo e Israele conobbe un ulteriore capitolo nel 1956 con la seconda guerra arabo-israeliana che vide contrapposti Israele, Regno Unito e Francia all'Egitto in quanto quest'ultimo aveva nazionalizzato il Canale di Suez, ma tale episodio militare non ha minimamente riguardato il popolo palestinese.
Nel maggio del 1964 ci fu un risveglio della coscienza nazionale palestinese con la fondazione a Gerusalemme dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina, creata da 422 personalità palestinesi a seguito di una precedente decisione della Lega araba con l'obiettivo della liberazione, attraverso la lotta armata, della Palestina all'interno dei confini che esistevano al momento del mandato britannico con diritto al ritorno dei profughi espulsi a partire dal 1947.
Hanno fatto parte dell'organizzazione per la Liberazione della Palestina varie formazioni politiche palestinesi le più importante delle quali sono state al-Fath diretta da Yasser Arafat e di orientamento socialista, il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina di ispirazione marxista e il Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina di ispirazione marxista.
Nel frattempo la guerra dei sei giorni che contrappose Egitto, Siria e Giordania a Israele nel giugno del 1967 si concluse con la conquista, da parte di quest'ultima, della Striscia di Gaza e del Sinai ai danni dell'Egitto, della Cisgiordania ai danni della Giordania e delle Alture del Golan ai danni della Siria, per cui i Palestinesi che si trovavano a Gaza e in Cisgiordania finirono direttamente sotto l'occupazione militare israeliana.
Questo è un fatto che fece fare un salto di qualità alla lotta armata del popolo palestinese con episodi eclatanti che portarono la questione palestinese alla ribalta internazionale, come l'irruzione ai Giochi olimpici di Monaco di Baviera del 1972, l'attentato all'aeroporto di Roma-Fiumicino del 1973, il dirottamento del volo Air France 139 del 1976, il dirottamento della nave Achille Lauro del 1985 e il duplice attentato simultaneo agli aeroporti di Roma-Fiumicino e di Vienna del 1985.
Intanto la tensione cresceva in Medio Oriente con la guerra del Kippur - che contrappose Egitto e Siria a Israele nel 1973 e si concluse senza vincitori né vinti – e la guerra civile libanese che, iniziata nel 1975 e terminata nel 1990, vide contrapposto un fronte progressista – del quale faceva parte l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina – a un fronte reazionario cristiano maronita appoggiato da Israele (che invase il Libano nel 1982). Tra il 16 e il 18 settembre 1982 milizie cristiano maronite con l'appoggio delle truppe israeliane fecero irruzione nei campi profughi palestinesi di Sabra e Shatila, alla periferia di Beirut, massacrando oltre 3000 tra profughi palestinesi e musulmani sciiti libanesi. Sotto i colpi congiunti delle falangi cristiano maronite e degli israeliani l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina dovette spostare il proprio quartier generale da Beirut a Tunisi.
Ma i tempi erano ormai maturi affinché i palestinesi affrontassero i sionisti direttamente nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania dove da dicembre 1987 e settembre 1993 divampò la prima Intifada (che in lingua araba significa 'rivolta') nella quale i Palestinesi attuarono la disobbedienza civile, gli scioperi generali, il boicottaggio di prodotti israeliani, eressero barricate, lanciarono pietre contro militari e poliziotti sionisti, lasciando sul terreno oltre duemila morti e inducendo la dirigenza israeliana ad acconsentire – con gli accordi di Oslo del 1993 stipulati da Arafat e dall'israeliano Rabin – alla nascita dell'Autorità Nazionale Palestinese che avrebbe avuto il compito di governare in futuro la Striscia di Gaza e vaste porzioni della Cisgiordania.
Eppure vasti settori dell'opinione pubblica palestinese non vedevano allora e non vedono tuttora nulla di buono negli accordi di Oslo in quanto soltanto la Striscia di Gaza è stata sgomberata dagli israeliani nel 2005, mentre la Cisgiordania resta ancora occupata dall'esercito israeliano e negli anni, anziché diminuire fino allo smantellamento completo come prevedevano gli accordi, i kibbutz israeliani si sono moltiplicati in modo esponenziale in quel territorio, con i coloni sionisti pesantemente armati che terrorizzano quotidianamente la popolazione palestinese.
Per queste ragioni nel mondo politico palestinese già nel 1987 sono nati partiti armati quali Hamas e Jihad Islamico Palestinese , movimenti islamici sunniti che hanno continuato a combattere militarmente contro l'entità sionista della quale vogliono la distruzione, così come ne vuole la distruzione Hezbollah , partito armato islamico sciita libanese che si propone parimenti l'obiettivo di far chiudere ai sionisti baracche e burattini in Medio Oriente.
Che i problemi in quell'area del mondo non siano stati risolti con gli accordi di Oslo lo dimostra lo scoppio, tra il 2000 e il 2005, della seconda Intifada , nella quale un ampio fronte palestinese che ha visto insieme Hamas, al-Fath, il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina e i Comitati Popolari di Resistenza hanno dato del filo da torcere ai sionisti infliggendo loro notevoli perdite, sia di militari sia di civili, con uno stillicidio di attentati dinamitardi in territorio israeliano,
Nel 2004, intanto, era morto Arafat e alla guida di al-Fath, oltre che dell'Autorità Nazionale Palestinese, si insediava Mahmud Abbas, mentre nel 2006 Hamas aveva vinto le elezioni nella Striscia di Gaza estromettendo così da quel territorio al-Fath e anche l'Autorità Nazionale Palestinese: a seguito di tale vittoria Israele ha imposto dal giugno 2007 al piccolo e densamente popolato territorio di Gaza un soffocante blocco terrestre, aereo e marittimo che ne ha fatto una vera e propria prigione, un lager a cielo aperto, e le organizzazioni di resistenza palestinese, in primo luogo Hamas, hanno reagito con lanci di razzi e con colpi di mortaio diretti verso Israele, la quale ha reagito con l'operazione Inverno Caldo nel 2008 e con l'operazione Piombo Fuso nel 2009, concluse entrambe con innumerevoli vittime civili palestinesi e imponenti distruzioni materiali a Gaza.
Tra luglio e agosto del 2006 si era poi incendiato il confine tra il Libano e Israele, quando alla cattura di due militari israeliani da parte di Hezbollah Israele reagì bombardando il Libano ed Hezbollah, per reazione, lanciò razzi in territorio israeliano che produssero notevoli danni e seminarono il terrore tra la popolazione civile. In quell'occasione la condotta militare di Hezbollah fu impressionante e dimostrò che l'organizzazione islamica libanese avrebbe potuto fare molto per la liberazione della Palestina.
In questi ultimi anni la situazione si è certamente aggravata per la popolazione palestinese sia nella Striscia di Gaza sia nella Cisgiordania sia tra gli arabi che vivono all'interno di Israele, perché nel maggio del 2021 sono scoppiati violenti disordini tra la popolazione palestinese residente - che solidarizzava con gli arabi della Cisgiordania e di Gaza – e oltranzisti sionisti locali nelle città israeliane di Lod, Acri, Gerusalemme, Haifa, Bat Yam, Tiberiade e Tamra. La mobilitazione della popolazione palestinese che vive all'interno dei confini israeliani è politicamente importantissima, in quanto dimostra che l'entità sionista può essere colpita non soltanto dall'esterno ma anche dal suo interno, ossia dai palestinesi che ci vivono.
Le recenti notizie relative all'attacco del 7 ottobre 2023, poi, non hanno certo bisogno di commenti, se non per affermare che la resistenza palestinese ha vissuto un folgorante momento di unità che ha dimostrato che l'entità sionista è una tigre di carta e che tutta la mitologia che è stata fatta nei decenni su di essa lascia il tempo che trova: Hamas, Jihad Islamico Palestinese, Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina e Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina si sono perfettamente coordinate da un punto di vista militare.
In modo particolare, mentre Hamas e Jihad Islamico Palestinese facevano partire contemporaneamente centinaia di razzi verso il territorio israeliano, il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina ha curato sia l'assalto alle torri di guardia israeliane al confine della Striscia di Gaza con l'utilizzo di droni e di sabotatori sia l'abbattimento di tratti di recinzione con l'esplosivo, aprendo così la strada a circa cinquemila combattenti di Hamas, Jihad Islamico Palestinese e Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina che hanno compiuto azioni di guerriglia in territorio israeliano. I miliziani del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina hanno curato aspetti tecnici e logistici dell'operazione.

1 novembre 2023